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venerdì 16 novembre 2012

LIMES....

Israele contro Gaza, una guerra annunciata

di Umberto De Giovannangeli
Il nuovo conflitto nasce dai calcoli elettorali dei falchi israeliani e da quelli politici dell'ala radicale palestinese, in lotta per il potere. Obama ha dato il suo assenso sperando che non si riparli di attacco all'Iran. Rispetto al 2008, è cambiato il Medio Oriente.

Il tempismo perfetto dell'attacco di Israele

israele
[Il ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman. Di fronte a lui, il premier Benjamin Netanyahu. Fonte: Ansa]
Il vuoto della politica è sempre riempito dal clamore sinistro delle armi.

È la legge non scritta in Medio Oriente. Una legge inesorabile che oggi viene di nuovo applicata nella guerra di Gaza. Una guerra annunciata.

Non solo dai razzi che a centinaia sono piovuti negli ultimi tempi da Gaza sulle città frontaliere israeliane. Ad annunciare la guerra è qualcosa di altro. Come 4 anni fa: calcoli politici. Che, da fronti opposti, uniscono i falchi israeliani con il composito fronte radicale palestinese, all’interno del quale è in atto, e non da oggi, uno scontro per la leadership giocato a colpi di razzi (su Israele) e di resa dei conti a Gaza.

Un doppio azzardo, dunque. I tempi - oltre che l’obiettivo “mirato” scelto da Benjamin Netanyahu e Avigdor Lieberman per una operazione “Piombo fuso” bis - sono calcolati: oggi, perché tra due mesi Israele va alle urne e per la destra israeliana è meglio che la partito con ciò che resta della sinistra sionista si giochi sul terreno più favorevole: quello della sicurezza.

In una terra che si nutre di simboli, è altamente simbolico l’obiettivo eliminato: Ahmed al Jabaari, capo militare di Hamas ma, soprattutto, l’uomo che agli occhi dei palestinesi della Striscia ha tenuto in scacco il potente “nemico sionista” orchestrando e gestendo il lungo sequestro di Gilad Shalit, riuscendo laddove il “moderato” Mahmud Abbas (Abu Mazen) non era riuscito: liberare mille prigionieri palestinesi in cambio del giovane caporale di Tsahal.

L’”eroe” che sembrava invincibile (era sfuggito a quattro tentativi di eliminazione da parte israeliana) è stato colpito e abbattuto. Nessuno è immune dalla vendetta d’Israele: un messaggio che vale mille spot elettorali.

Ma la guerra di Gaza, e la rappresaglia minacciata e già in parte avviate da parte di Ezzedine al-Qassam, il braccio armato di Hamas di cui al Jabaari era il capo, serve anche ad Hamas per tornare a praticare il terreno più consono al suo profilo: quello della lotta armata, facendo così dimenticare i suoi ripetuti fallimenti come forza di “governo” a Gaza.

Dunque la parola è tornata alle armi. Ed è cronaca di guerra. Quindici morti e decine di feriti nelle ultime 24 ore a Gaza e tre vittime nel sud di Israele: questo è il bilancio provvisorio del secondo giorno dell'operazione "Pillar of Defense" lanciata da Israele contro i gruppi armati nella Striscia di Gaza. Ed è un bilancio destinato a salire.

Come 4 anni fa. Stesso periodo politico, subito dopo le elezioni presidenziali negli Usa, e prima del voto (allora a febbraio, oggi a gennaio) in Israele. Ma la storia non si ripete mai uguale a se stessa. Perché stavolta, a essere profondamente cambiato rispetto a 4 anni fa, è lo scenario mediorientale.

In Egitto non comanda più l’”ultimo faraone”, Hosni Mubarak, ma al potere sono saliti i Fratelli musulmani e il loro presidente, Mohamed Morsi, non può dimenticare che Hamas nasce e si sviluppa come “costola” della Fratellanza musulmana egiziana. In un discorso al paese Morsi ha affermato che l'Egitto si schiera "accanto al popolo palestinese per mettere fine all'aggressione israeliana su Gaza". "L'aggressione israeliana nella Striscia è inaccettabile e porta solo instabilità nella regione", ha aggiunto. Ieri l'ambasciatore egiziano in Israele è stato richiamato e oggi è stato riaperto il passaggio di Rafah, al confine tra Gaza e l’Egitto.

Lo scenario è profondamente cambiato anche sul fronte Nord dello Stato ebraico, nella devastata Siria, in cui non è più saldamente al potere quel Bashar al-Assad che a Gerusalemme, fronte israeliano, viene ancora visto come il “male minore” rispetto ad un'opposizione in armi tra le cui file è sempre più invasivo il peso della componente jihadista.

L’unica cosa che è rimasta uguale a se stessa è l’inerzia internazionale, che, ieri come oggi, si consuma in appelli alla moderazione o - è il caso di Barack Obama - nel prendere decisamente le parti d’Israele e del suo “diritto di difesa”. Stavolta, il voto della comunità ebraica non c’entra, così come l’influenza, sempre molto forte, della trasversale lobby israeliana negli Usa.

Stavolta a guidare Obama è la scelta della “guerra minore”: dare via libera a Israele a Gaza per sbarrarla sul fronte iraniano. Ma a ben vedere, anche questo è un azzardo. Perché la “guerra minore” potrebbe deflagrare in un conflitto regionale con un devastante, e al momento incalcolabile, effetto domino sull’intero “Grande Medio Oriente”.
(15/11/2012)

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