Quello italiano è un popolo diviso: da una parte i privilegiati, dall’altra i
discriminati. Solo che nessuno riesce a cambiare lo stato delle cose, perché
anche i discriminati alla fine lottano per diventare privilegiati.
I
ferrovieri hanno il treno gratis per loro, il coniuge e i figli fino ai 25 anni.
Gli impiegati Enel hanno uno sconto sulla bolletta della luce. I commessi
dell'Assemblea regionale siciliana intascano un assegno fisso da 700 euro per
l'acquisto di calze e camicie.
I dirigenti della Regione Emilia Romagna
pagano l'abbonamento annuale per il trasporto su bus 50 euro anziché 300 come ai
loro elettori.
I dipendenti del Senato prendono la sedicesima, alla Camera
uno stenografo può guadagnare 259 mila euro. E ancora. I sindacalisti sono
esentati dai contributi pensionistici. E i figli dei bancari, spesso e
volentieri, ereditano il posto di lavoro dei loro padri.
Un sistema che
secondo il costituzionalista Michele Ainis può essere scardinato solo cambiando
il punto di osservazione: «Non possiamo lavarci la coscienza con questo rito
orgiastico che è diventato l’accusa alla politica», dice a
Lettera43.it, «perché così le loro malefatte proverebbero la nostra
innocenza. Invece c’è una colpa collettiva».
OGNUNO DIFENDE LA SUA
CASTA. Per questo Ainis, nel suo ultimo libro, Privilegium
(Rizzoli editore) non salva nessuno. «Senza giustificare gli sprechi e le
ruberie di Stato», descrive un'Italia fatta di imprese che danno la caccia al
contributo, di partiti, radio e giornali sovvenzionati dallo Stato, di ordini
professionali intenti a difendere i loro privilegi, di cittadini in costante
conflitto di interesse. Perché «ogni italiano ha la sua casta da difendere», e
dimentica che «il privilegio è una medaglia con due facce, perché dove c’è un
privilegio c’è una discriminazione».
Domanda. Siamo tutti colpevoli, quindi, ma qual è il peccato
originale?
Risposta. L’articolazione corporativa della società
italiana da cui derivano diseguaglianze, blocchi sociali e un sentimento
dell’ingiustizia. Basta parlare con un ragazzo di vent’anni per
avvertirla.
D. Insomma dalla Camera dei deputati alla Camera dei
fasci e delle corporazioni. È un eterno ritorno?
R. Soffriamo ancora
i retaggi del fascismo e più anticamente della società municipale medievale. Ma
tutto dipende dal fatto che non abbiamo mai aperto le porte alla cultura
illuministica se non per un paio di anni nel ‘700.
D. Siamo ancora
nel Medioevo?
R. L’Italia è il Paese del Papa dove regna una cultura
nemica di quella illuministica, che aveva un' idealità dell’uguaglianza, della
legge uguale per tutti.
D. Invece abbiamo l’aristocrazia
parlamentare. Per evitarla propone operai, casalinghe e insegnanti a
Montecitorio?
R. Nel 2011 il 44% dei membri del Parlamento era
iscritto a un albo, la lobby dei professionisti è la più potente. Servirebbe un
Parlamento più includente, con gli esclusi che sono i giovani, le donne e i
rappresentanti dei ceti con il reddito più basso.
D. Il 26 novembre
l'aula del Senato inizierà l'esame della legge elettorale. Che cosa
vorrebbe?
R. Un Parlamento di una sola Camera - ma sottoposta a
recall (per revocare gli eletti immeritevoli) - che scrive le leggi e governa. E
un Senato di cittadini designati per sorteggio, che propone, verifica e
controlla.
D. Un po’ utopistica come idea...
R. Una
proposta visionaria, lo so, che non sarà mai applicata, ma bisogna parlarne
perché al punto in cui siamo l’aspirina non serve a nulla. Abbiamo bisogno del
chirurgo.
D. Non basterebbe il voto di preferenza?
R. Il
preferito è sempre un uomo cooptato dai partiti o che fa i favori.
D.
Franco Fiorito docet: l'ex capogruppo del Pdl alla Regione
Lazio fu eletto con quasi 30 mila preferenze.
R. Con una
provocazione direi: se volete le preferenze beccatevi anche le “spreferenze”.
Ovvero un sistema per cui hai due voti, per esempio: con uno voti Alfano e con
l’altro castighi Berlusconi. Così per essere eletto devi avere un certo numero
di voti da cui detrai quelli sfavorevoli.
D. E per evitare
degenerazioni propone anche di abolire il finanziamento pubblico ai
partiti.
R. Sì, dobbiamo separare ciò che è pubblico da ciò che è
privato. I partiti e i sindacati per esempio sono associazioni libere di
cittadini che difendono concezioni di parte dell'interesse generale, che invece
è espresso dallo Stato. Tuttavia sono anche pezzi dello Stato perché
usufruiscono di finanziamenti pubblici.
D. Soffrono quindi un
conflitto di interesse?
R. In un sistema costruito sui privilegi
intesi come legge privata per una categoria, ciascuno entra in conflitto di
interesse con se stesso.
D. E infatti tutti stanno in
silenzio.
R. Ciascuno italiano è iscritto a una categoria e pensa ai
vantaggi, magari anche piccoli che potrebbe avere. Ma non considera mai i
vantaggi altrui, la cui somma alla fine lo danneggia molto più che non averne
alcuno.
D. Ogni italiano ha la sua casta?
R. Sì e nemmeno
il governo Monti è riuscito a scardinare questo sistema. Non ha fatto nessuna
liberalizzazione. Si è limitato per esempio a mettere 500 posti da notaio in
più. Ha solo allargato il numero dei monopolisti, ma non ha reciso il
monopolio.
D. Tanto che in Italia i notai sono ancora meno di 5 mila,
mentre negli Stati Uniti sono 4,8 milioni.
R. Qui
abbiamo il culto delle forme e delle carte bollate. Ma poi gli scandali sugli
immobili e le case comprate a insaputa dei proprietari e i casi Ricucci si
sentono ogni giorno, nonostante esistano i notai.
D. Ognuno difende i
propri privilegi, perfino Banca d'Italia che da un parte vigila
sulla stabilità finanziaria e dall'altra elargisce un buono-sarto
semestrale di 8.500 euro ai suoi funzionari generali...
R.
Forse in pochi conoscono questi benefici, ma la vera tragedia è che c'è una
corsa a recuperare l’uguaglianza verso l’alto: tutti aspirano ad avere i
privilegi non a eliminarli.
D. Lei invece propone di iniziare una
dieta: una legge in meno, un Parlamento in meno, un ministero in meno. Per
esempio?
R. Potremmo fare a meno del ministero per l’Attuazione del
programma ed eliminare quello per la Pubblica amministrazione e semplificazione.
Siamo l’unico Paese che per ridurre i ministeri se ne è inventato uno
nuovo.
D. Matteo Renzi propone un governo con dieci ministri anzichè
17, che cosa ne pensa?
R. Non so se sono pochi o troppi. Bisogna
però evitare gli eccessi, perché se semplifichiamo troppo, rischiamo di eleggere
un solo parlamentare, un solo ministro, un solo presidente del Consiglio. E poi
lo chiamiamo Duce.
D. Duce o meno, il privilegium è ancora
prima di tutto maschile.
R. La nostra è una società maschile,
sessista e anche razzista. In Italia ci sono solo 5 donne su 79 rettori, un
unico direttore di quotidiano, il 7,4% dei giudici di Cassazione con funzioni
superiori, il 18% di presenza femminile in Parlamento, due soli presidenti di
Regione, 902 sindaci su oltre 8 mila.
D. Le quote rosa potrebbero
essere uno strumento per favorire l’uguaglianza?
R. Sono d’accordo
per le
affirmative action, ma anziché una quota rigida preferisco un
sistema di incentivi che possa aiutare chi è più svantaggiato a seconda delle
situazioni.
D. Lei dice che in Italia «contano i parenti non i
talenti». Le viene in mente qualcuno?
R. Il nepotismo è il sistema
che blocca il nostro Paese, dove la promozione del cretino è spesso la
promozione del figlio cretino. In politica abbiamo avuto il caso del figlio di
Umberto Bossi, consigliere regionale della Lombardia, in Sicilia il figlio di
Raffaele Lombardo. Senza dimenticare il figlio di Antonio Di
Pietro.
D. Infatti un italiano su due rimane intrappolato nel
proprio ceto d’origine: 7 operai su 10 sono ancora figli di operai, il 42% degli
avvocati genera avvocati…
R. Dagli Anni '80 la disuguaglianza
sociale è cresciuta del 33%. Leo Longanesi diceva che nella
nostra bandiera sul tricolore ci dovrebbe essere scritta la frase “Tengo
famiglia”. È questo il vero motto che unisce gli italiani.
D. Una
famiglia cristiana, che paga ancora l'acqua - più che santa, cara - al
Vaticano.
R. Esatto. Del resto siamo cittadini di due Stati, e
inseriti in questo contesto di privilegiati e discriminati il Vaticano ha un
posto di favore. Noi italiani siamo così: forti con i deboli e deboli con i
forti.
Twitter @antodem
Lunedì, 19 Novembre 2012