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mercoledì 19 dicembre 2012

MICHELE AINIS - L'ESPRESSO

Governo laico, una chimera

di Michele Ainis
Monti, inflessibile con gli italiani, è stato sempre molto attento ai desiderata del Vaticano. L'ultimo esempio è il divieto di fecondazione assistita. Ma già sull'Imu e sulla scuola privata non ha avuto il coraggio di invertire la rotta
(19 dicembre 2012)
Mario Monti Mario MontiOra che il governo Monti sta per esalare l'ultimo respiro possiamo confermare l'idea che ne abbiamo avuto fin dall'inizio: inflessibile con gli italiani, troppo attento a non urtare i vaticani. Tanto da ricevere a ogni festa comandata l'incenso delle gerarchie ecclesiastiche («Presidente, la Chiesa la sostiene»: Bertone a Monti, 21 marzo). Gli osanna dei loro giornali ("Civiltà cattolica", 7 febbraio: «Basterebbe un decimo del suo programma per doverlo ringraziare»; "Avvenire", 9 dicembre: «Ecco uno che ci rispetta davvero»). Un'udienza-lampo dal pontefice due mesi dopo il giuramento (invece al cattolico Prodi toccò aspettare cinque mesi). E pazienza se in cambio questo esecutivo ha dovuto litigare con mezza magistratura, anche fuori dai confini nazionali.

D'ALTRONDE C'E' SEMPRE qualche santa causa da difendere, come il divieto di fecondazione assistita. Bastonato per 19 volte dai giudici italiani ed europei, in ultimo (il 28 agosto) dalla Corte di Strasburgo; dopo di che il governo ha traccheggiato per tre mesi, ma all'ultimo minuto dell'ultimo giorno utile (il 27 novembre) si è appellato alla Grande Chambre. Un appello contro la logica, oltre che contro la decenza. Perché la legge italiana impedisce la diagnosi preimpianto alle coppie portatrici di malattie genetiche, ma non impedisce poi l'aborto. Dunque se soffri di fibrosi cistica (il caso incriminato) delle due l'una: o metti al mondo un infelice o uccidi l'infelice prima che venga al mondo.

E la baruffa con il Consiglio di Stato? Questa volta c'è di mezzo l'Imu, una tassa che offende la suscettibilità del Cupolone, anche perché senza quattrini non si canta messa. I fatti: 4 ottobre, i magistrati amministrativi bocciano il regolamento del governo; troppi sconti a Santa Romana Chiesa. Ma il 2 novembre sbuca fuori un emendamento alla legge sugli enti locali, che permette l'esenzione dall'Imu per le attività senza fine di lucro svolte anche «in via indiretta»; in sintesi, se la Caritas compra una banca, zero Imu per la banca. Il governo benedice, poi – davanti allo sdegno generale – è costretto al dietrofront. Però il nuovo regolamento (19 novembre) è un monumento all'arzigogolo, uno sberleffo ai consigli del Consiglio.

Primo: niente Imu per gli enti assistenziali e sanitari della Chiesa, se il costo delle prestazioni non supera la metà dei «corrispettivi medi». Siccome nessuno conosce la media dei prezzi, è una norma scritta sull'acqua (santa?). E oltretutto inventa l'ineffabile categoria del lucro a metà, come ha osservato Marco Politi. Secondo: le scuole cattoliche non pagano l'Imu se la retta copre una frazione dei costi del servizio. Ma quanto costa il servizio? Vattelappesca. Sappiamo tuttavia che in giugno il ministro dell'Istruzione, Profumo, ha firmato due nuove intese con Bagnasco per rafforzare l'insegnamento del cattolicesimo. E sappiamo inoltre che i 26 mila docenti di religione, grazie al Concordato, intascano una busta paga più pesante rispetto a chi insegna matematica o latino.

C'E' ALLORA UNA PREGHIERA da rivolgere al governo in preghiera. Quella che ogni medico sussurra ai suoi pazienti: «Dica trentatré». Come l'articolo della Costituzione che autorizza le scuole private, purché «senza oneri per lo Stato». Oppure, per risparmiare fiato, basterebbe dire tre. Come quell'altro articolo che custodisce il principio d'eguaglianza, «senza distinzione di religione». Ma il gabinetto Monti, non meno dei suoi predecessori, ha preferito viceversa un silenzio incivile sui diritti civili: testamento biologico, divorzio breve, coppie di fatto, omofobia. Ha mantenuto in vigore la truffa dell'otto per mille (1.148 milioni nel 2012), così come gli sconti per le finanze vaticane (50 per cento sull'Ires), i regali (l'acqua gratis da parte dell'Acea), i benefit di Stato (190 mila euro l'anno per il Gran capo dei cappellani militari).
Domanda: ma ce l'avremo mai in Italia un governo finalmente laico? Difficile sperarlo, anche per chi abbia il dono della fede. Più facile che al Quirinale, dopo Napolitano, venga eletto il papa.
Michele.Ainis@uniroma3.It

lunedì 19 novembre 2012

MICHELE AINIS...DOVE C'E' UN PRIVILEGIO C'E' UNA DISCRIMINAZIONE...

Italiani e il privilegium della casta

I ferrovieri hanno sconti sui treni. I funzionari di Bankitalia il bonus per gli abiti. Ainis racconta il paese delle lobby.

di Antonietta Demurtas
Quello italiano è un popolo diviso: da una parte i privilegiati, dall’altra i discriminati. Solo che nessuno riesce a cambiare lo stato delle cose, perché anche i discriminati alla fine lottano per diventare privilegiati.
I ferrovieri hanno il treno gratis per loro, il coniuge e i figli fino ai 25 anni. Gli impiegati Enel hanno uno sconto sulla bolletta della luce. I commessi dell'Assemblea regionale siciliana intascano un assegno fisso da 700 euro per l'acquisto di calze e camicie.
I dirigenti della Regione Emilia Romagna pagano l'abbonamento annuale per il trasporto su bus 50 euro anziché 300 come ai loro elettori.
I dipendenti del Senato prendono la sedicesima, alla Camera uno stenografo può guadagnare 259 mila euro. E ancora. I sindacalisti sono esentati dai contributi pensionistici. E i figli dei bancari, spesso e volentieri, ereditano il posto di lavoro dei loro padri.
Un sistema che secondo il costituzionalista Michele Ainis può essere scardinato solo cambiando il punto di osservazione: «Non possiamo lavarci la coscienza con questo rito orgiastico che è diventato l’accusa alla politica», dice a Lettera43.it, «perché così le loro malefatte proverebbero la nostra innocenza. Invece c’è una colpa collettiva».
OGNUNO DIFENDE LA SUA CASTA. Per questo Ainis, nel suo ultimo libro, Privilegium (Rizzoli editore) non salva nessuno. «Senza giustificare gli sprechi e le ruberie di Stato», descrive un'Italia fatta di imprese che danno la caccia al contributo, di partiti, radio e giornali sovvenzionati dallo Stato, di ordini professionali intenti a difendere i loro privilegi, di cittadini in costante conflitto di interesse. Perché «ogni italiano ha la sua casta da difendere», e dimentica che «il privilegio è una medaglia con due facce, perché dove c’è un privilegio c’è una discriminazione».

Domanda. Siamo tutti colpevoli, quindi, ma qual è il peccato originale?
Risposta.
L’articolazione corporativa della società italiana da cui derivano diseguaglianze, blocchi sociali e un sentimento dell’ingiustizia. Basta parlare con un ragazzo di vent’anni per avvertirla.
D. Insomma dalla Camera dei deputati alla Camera dei fasci e delle corporazioni. È un eterno ritorno?
R.
Soffriamo ancora i retaggi del fascismo e più anticamente della società municipale medievale. Ma tutto dipende dal fatto che non abbiamo mai aperto le porte alla cultura illuministica se non per un paio di anni nel ‘700.
D. Siamo ancora nel Medioevo?
R.
L’Italia è il Paese del Papa dove regna una cultura nemica di quella illuministica, che aveva un' idealità dell’uguaglianza, della legge uguale per tutti.
D. Invece abbiamo l’aristocrazia parlamentare. Per evitarla propone operai, casalinghe e insegnanti a Montecitorio?
R.
Nel 2011 il 44% dei membri del Parlamento era iscritto a un albo, la lobby dei professionisti è la più potente. Servirebbe un Parlamento più includente, con gli esclusi che sono i giovani, le donne e i rappresentanti dei ceti con il reddito più basso.
D. Il 26 novembre l'aula del Senato inizierà l'esame della legge elettorale. Che cosa vorrebbe?
R.
Un Parlamento di una sola Camera - ma sottoposta a recall (per revocare gli eletti immeritevoli) - che scrive le leggi e governa. E un Senato di cittadini designati per sorteggio, che propone, verifica e controlla.
D. Un po’ utopistica come idea...
R.
Una proposta visionaria, lo so, che non sarà mai applicata, ma bisogna parlarne perché al punto in cui siamo l’aspirina non serve a nulla. Abbiamo bisogno del chirurgo.
D. Non basterebbe il voto di preferenza?
R.
Il preferito è sempre un uomo cooptato dai partiti o che fa i favori.
D. Franco Fiorito docet: l'ex capogruppo del Pdl alla Regione Lazio fu eletto con quasi 30 mila preferenze.
R.
Con una provocazione direi: se volete le preferenze beccatevi anche le “spreferenze”. Ovvero un sistema per cui hai due voti, per esempio: con uno voti Alfano e con l’altro castighi Berlusconi. Così per essere eletto devi avere un certo numero di voti da cui detrai quelli sfavorevoli.
D. E per evitare degenerazioni propone anche di abolire il finanziamento pubblico ai partiti.
R.
Sì, dobbiamo separare ciò che è pubblico da ciò che è privato. I partiti e i sindacati per esempio sono associazioni libere di cittadini che difendono concezioni di parte dell'interesse generale, che invece è espresso dallo Stato. Tuttavia sono anche pezzi dello Stato perché usufruiscono di finanziamenti pubblici.
D. Soffrono quindi un conflitto di interesse?
R.
In un sistema costruito sui privilegi intesi come legge privata per una categoria, ciascuno entra in conflitto di interesse con se stesso.
D. E infatti tutti stanno in silenzio.
R.
Ciascuno italiano è iscritto a una categoria e pensa ai vantaggi, magari anche piccoli che potrebbe avere. Ma non considera mai i vantaggi altrui, la cui somma alla fine lo danneggia molto più che non averne alcuno.
D. Ogni italiano ha la sua casta?
R
. Sì e nemmeno il governo Monti è riuscito a scardinare questo sistema. Non ha fatto nessuna liberalizzazione. Si è limitato per esempio a mettere 500 posti da notaio in più. Ha solo allargato il numero dei monopolisti, ma non ha reciso il monopolio.
D. Tanto che in Italia i notai sono ancora meno di 5 mila, mentre negli Stati Uniti sono 4,8 milioni.
R. Qui abbiamo il culto delle forme e delle carte bollate. Ma poi gli scandali sugli immobili e le case comprate a insaputa dei proprietari e i casi Ricucci si sentono ogni giorno, nonostante esistano i notai.
D. Ognuno difende i propri privilegi, perfino Banca d'Italia che da un parte vigila sulla stabilità finanziaria e dall'altra elargisce un buono-sarto semestrale di 8.500 euro ai suoi funzionari generali...
R.
Forse in pochi conoscono questi benefici, ma la vera tragedia è che c'è una corsa a recuperare l’uguaglianza verso l’alto: tutti aspirano ad avere i privilegi non a eliminarli.
D. Lei invece propone di iniziare una dieta: una legge in meno, un Parlamento in meno, un ministero in meno. Per esempio?
R.
Potremmo fare a meno del ministero per l’Attuazione del programma ed eliminare quello per la Pubblica amministrazione e semplificazione. Siamo l’unico Paese che per ridurre i ministeri se ne è inventato uno nuovo.
D. Matteo Renzi propone un governo con dieci ministri anzichè 17, che cosa ne pensa?
R.
Non so se sono pochi o troppi. Bisogna però evitare gli eccessi, perché se semplifichiamo troppo, rischiamo di eleggere un solo parlamentare, un solo ministro, un solo presidente del Consiglio. E poi lo chiamiamo Duce.
D. Duce o meno, il privilegium è ancora prima di tutto maschile.
R.
La nostra è una società maschile, sessista e anche razzista. In Italia ci sono solo 5 donne su 79 rettori, un unico direttore di quotidiano, il 7,4% dei giudici di Cassazione con funzioni superiori, il 18% di presenza femminile in Parlamento, due soli presidenti di Regione, 902 sindaci su oltre 8 mila.
D. Le quote rosa potrebbero essere uno strumento per favorire l’uguaglianza?
R.
Sono d’accordo per le affirmative action, ma anziché una quota rigida preferisco un sistema di incentivi che possa aiutare chi è più svantaggiato a seconda delle situazioni.
D. Lei dice che in Italia «contano i parenti non i talenti». Le viene in mente qualcuno?
R.
Il nepotismo è il sistema che blocca il nostro Paese, dove la promozione del cretino è spesso la promozione del figlio cretino. In politica abbiamo avuto il caso del figlio di Umberto Bossi, consigliere regionale della Lombardia, in Sicilia il figlio di Raffaele Lombardo. Senza dimenticare il figlio di Antonio Di Pietro.
D. Infatti un italiano su due rimane intrappolato nel proprio ceto d’origine: 7 operai su 10 sono ancora figli di operai, il 42% degli avvocati genera avvocati…
R.
Dagli Anni '80 la disuguaglianza sociale è cresciuta del 33%. Leo Longanesi diceva che nella nostra bandiera sul tricolore ci dovrebbe essere scritta la frase “Tengo famiglia”. È questo il vero motto che unisce gli italiani.

D. Una famiglia cristiana, che paga ancora l'acqua - più che santa, cara - al Vaticano.
R.
Esatto. Del resto siamo cittadini di due Stati, e inseriti in questo contesto di privilegiati e discriminati il Vaticano ha un posto di favore. Noi italiani siamo così: forti con i deboli e deboli con i forti.
Twitter @antodem
Lunedì, 19 Novembre 2012