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sabato 16 marzo 2013

CARNE SCADUTA DA OTTO ANNI ...


La carne scaduta di otto anni fa pronta a finire nelle macellerie

10/03/2013 - La storia la racconta Libero nella cronaca di Milano, e riguarda un grossista del milanese: I militari dell’Arma andavano in cerca di carne di cavallo macellata clandestinamente e introdotta nella catena alimentare e si sono trovati di fronte cinque tonnellate

La carne scaduta di otto anni fa pronta a finire nelle macellerie
La storia la racconta Libero nella cronaca di Milano, e riguarda un grossista del milanese:
I militari dell’Arma andavano in cerca di carne di cavallo macellata clandestinamente e introdotta nella catena alimentare e si sono trovati di fronte cinque tonnellate e mezzo tra polli, conigli, agnelli e vitelliin parte di provenienza italiana, in parte di provenienza ignota, stivati in celle frigorifere in condizioni pessime. Carni bruciate dal freddo con le fibre penetrate dal ghiaccio, involucri lacerati e soprattutto merce scaduta da otto anni.
E che erano destinate a?
Il grossista milanese rifornisce un buon numero di macellerie e punti vendita, anche di ambulanti, dell’hinterland, ma i carabinieri non hanno diffuso il nome di questo furbetto del filettino che si è beccato una denuncia anche per contravvenzioni amministrative, ma nulla più. Nonostante quelle carni possano essere un serio pericolo.

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venerdì 19 ottobre 2012

GIANFRANCO FINI...

FONTE: IL QUOTIDIANO LIBERO
di Guido Paglia
Caro Francesco, in attesa che Gianfranco Fini tenga fede alla parola data (risata) e si dimetta (altra risata), visto che è ormai dimostrata la proprietà della casa di Montecarlo, consentimi di raccontare ai nostri lettori ciò che so di Giancarlo Tulliani. Per esperienza diretta, non per sentito dire. È una vicenda «parallela» a quella dell’appartamento di Boulevard Princesse Charlotte, ma non meno indicativa per tracciare il ritratto del cognatino. Un ragazzotto arrogante e presuntuoso, per favorire il quale l’ex-leader della destra ha cinicamente lesionato l’immagine e la credibilità di un’intera comunità.
Me lo mandò in Rai a metà del 2008, appena compiuta la truffaldina compravendita della casa ereditata dalla contessa Colleoni. Voleva mettere in piedi nientemeno che una società di distribuzione cinematografica. Cercai di dissuaderlo, lo feci parlare con gli amici di Rai Cinema, perché si convincesse dell’impossibilità di realizzare un progetto del genere senza adeguati capitali da investire. Per settimane, non ci fu niente da fare. Nel frattempo, in pieno delirio di onnipotenza, provvedeva a martellare di mail un mio amico grafico per la realizzazione (gratis) di un sobrio logo per la società : «Giant», giocando cioè sulle sue iniziali e sul termine inglese «gigante». Chiesi aiuto a Fini per frenare il megalomane. Fece finta di essere disinteressato al problema: «Cinema? Credevo si interessasse di investimenti immobiliari… Se vuole buttare soldi, faccia come gli pare…». Era proprio vero, si interessava, eccome, di investimenti immobiliari.  Lui lo sapeva benissimo.
Tulliani insiste e mi chiede di aiutarlo ad accreditarsi al Festival del Cinema di Roma. Lì, finalmente, si rende conto dell’impraticabilità del progetto. Ma non si arrende, anzi raddoppia. La «Giant»  diventa «Giant Entertaiment». Ora l’obiettivo è proprio la Rai: oltre al cinema, intrattenimento e fiction. Gli spiego che non si può fare niente, che esistono regole precise e ci sono file lunghissime di professionisti con ottimi prodotti, tutti in lista d’attesa. La reazione è un misto di arroganza e di isterismo. Alla fine, tanto per usare un eufemismo, lo metto alla porta.
Passano pochi giorni e vengo convocato alla Camera. Arrivo nell’anticamera dell’ufficio del Presidente e subito dirottato più su, nell’appartamento privato. Fini mi aspetta con il cognato. Sento subito odore di bruciato e non mi sbaglio. Un po’ imbarazzato, Gianfranco mi chiede di aiutare Tulliani ad ottenere dei fatturati minimi garantiti a base di prime serate, fiction e acquisti di film stranieri. Resto basito e ricomincio la spiegazione di come funziona la Rai: iscrizione all’Albo dei fornitori, presentazione di progetti di spettacoli e di soggetti per seriali, mini-serie e movie, proposte d’acquisto o diritto d’antenna per i film. Valutazioni che richiedono tempi lunghi e rendono impossibili sia i cosiddetti «minimi garantiti» che – soprattutto - un volume di fatturato importante per un imprenditore sconosciuto e privo di esperienza. Tulliani non mi fa finire e strilla come un’aquila (chiedo scusa alle aquile). Secondo lui, le mie risposte nascondono la difesa di altri «interessi» e che  non gli  interessano le «briciole». Vorrei mettergli le mani addosso e mi trattengo solo per Gianfranco: per me, è ancora un amico. Mi alzo, prendo l’impermeabile e me ne vado, inseguito invano dai richiami imbarazzati di Fini. Il giorno dopo, gli scrivo una lettera accorata, convinto che abbia capito la «gaffe» che il cognato gli ha fatto fare. Non mi ha mai risposto. Anzi, da quel momento sono diventato un nemico e mi ha danneggiato come ha potuto.
Ma né lui, né Tulliani, si sono arresi. Cambiati i vertici Rai, ho ritrovato questo squallido personaggio nelle anticamere di altri alti dirigenti. E alla fine qualcosa è perfino riuscito ad ottenere: le tanto disprezzate «briciole», appunto.
Tutto questo, condito di date, nomi, cognomi  e ulteriori dettagli, lo racconterò esattamente tra un anno quando sarò sentito come testimone nella causa civile che lo sfacciato cognato del Presidente della Camera ha intentato contro Panorama. Nella citazione, sostiene di non aver mai avuto niente a che fare con la Rai. Non vedo l’ora di incontrarlo (spero abbia il coraggio di essere presente) e di rispondergli davanti a un giudice.

domenica 15 luglio 2012

Si è stufato di spendere milioni: l'emiro compra Valentino alla moglie Dopo aver speso decide di milioni di dollari per il guardaroba della bellissima Mozah, l'emiro Al Thani del Qatar compra la maison


Sul piatto ha messo 700 milioni di dollari: così non ne dovrà sborsare altri per i capi che desidera la sua signora, la vera concorrente - in quanto a bellezza - di Rania di Giordania

Dopo avere speso decine di milioni di dollari per il guardaroba della sua signora, che ama follemente ogni abito di Valentino, l’emiro del Qatar Hamad bin Khalifa al Thani ha preso la decisione: ha messo quasi 700 milioni di euro sul piatto del fondo Permira, chiedendo di comprarsi direttamente la celebre maison di moda italiana. Se qualcuno altro al mondo ha la stessa passione della sua signora sceicca - avrà pensato l’emiro - almeno le casse del Qatar avranno rimborsato un po’ di quel guardaroba da mille e una notte. Lei - la donna per cui l’emiro fa questa ultima sua follia - è considerata una delle cinquantenni più belle e affascinanti del mondo.
Sua Altezza Mozah bint Nasser al Missned, nonostante la classe 1958, sette figli, e già i primi nipotini, è sposata con l’emiro che allora era semplice erede al trono da quando aveva 18 anni.
Gli ha fatto girare la testa fin dal primo minuto. In Qatar infatti esiste la poligamia, e l’emiro è sposato anche con altre due cugine che gli hanno dato folta prole. Mozah è riuscita a metterle nell’ombra e ad esser scelta come first lady, l’unica che lo accompagna nelle visite di Stato. Ha imposto anche come erede al trono il suo primogenito, ritagliandosi il potere anche da emira madre. Un paio di anni fa ha aperto un profilo Twitter e uno Facebook, facendo concorrenza alla sua vera rivale nel mondo arabo, la regina Rania di Giordania, che ha 12 anni meno di lei. Ad ogni visita di Stato Mozah è capace di cambiare abito in una sola giornata anche sei sette volte: ne indossa uno diverso per appuntamento. Il suo fascino ha letteralmente stecchito i capi di Stato europei incontrati, generando anche qualche gag con Filippo di Inghilterra e re Juan Carlos in Spagna. Anche Giorgio Napolitano non è sembrato insensibile quando l’ha incontrata nel 1997 al Quirinale. Ha colpito tutti il fisico statuario e l’altezza, che solo poche modelle possono vantare. Perfino Carla Bruni ha dovuto cambiare scarpe, mettendosi i tacchi scartati in un primo momento per non sfigurare di fianco a lei durante la visita in Qatar da prima donna di Francia…


venerdì 15 giugno 2012

CHI PAGA IL MANIFESTO?




Il Pd: Bersani è un fascista e usa per sé i soldi del partito

Diluvio di polemiche e proteste dei militanti per il manifesto con cui il segretario annuncia la sua discesa in campo alle primarie 14/06/2012



Il manifesto è già affisso in molte città. Titolo “Accettiamo la sfida”, ed è l’annuncio ufficiale del Partito democratico per l’avvio delle primarie. Colori verde-bianco e rosso, dentro solo una frase di Pierluigi Bersani che dice “Io mi candiderò”. Il manifesto è stato subito un pugno nello stomaco dei militanti. Che non l’hanno affatto gradito, sommergendo i propri leader, i blog del partito e perfino quelli dell’agenzia di design che l’ha ideato di critiche, proteste violente e anche qualche insulto. Prima accusa: il design ricorda quello del ventennio, il bianco della simil-bandiera ricorda un fascio littorio. Seconda accusa, piuttosto diffusa: il manifesto riporta come committente “Partito democratico- Direzione nazionale”, quindi sembra pagato dai fondi del partito. Solo che è un manifesto che lancia non le primarie in sé, ma la candidatura di Bersani alle primarie. Quindi si accusa il leader di barare al gioco: se per sé usa fondi del partito, viola la par condicio con gli altri candidati che non hanno la cassa del Pd a loro disposizione.

Le critiche politiche stanno infiammando i blog, finendo nei profili facebook di molti imbarazzati leader nazionali del Pd. A quelle stilistiche ha scelto di replicare l’agenzia di design che ha ideato il manifesto. Si tratta della FF3300, fondata nel 2006 da Alessandro Tartaglia, Carlotta Latessa e Nicolò Loprieno. Il filosofo del gruppo è Tartaglia, una sorta di Gianroberto Casaleggio della sinistra italiana. Nel 2010 è stato Nichi Vendola ad associarselo, e lui gli ha fatto tutta la campagna di comunicazione delle regionali, riempendo la Puglia di manifesti senza il volto di Nichi e con lo slogan “Vendola- la poesia è nei fatti”. Tartaglia difende il manifesto spiegando di avere voluto andare “oltre la bandiera italiana”. Replica anche a chi dice che manco si capisce che c’entri il Pd, visto che il nome del partito è scritto in rosso su sfondo rosso: “Un marchio non è un adesivo, e può essere declinato, adattandosi al contesto, trasformandosi da marchio in marca..”. Quanto allo stile considerato fascista Tartaglia crede che “sia fondamentale per il Pd che studi, provi, sperimenti, innovi i linguaggi della comunicazione politica, anche recuperando, citando e interpretando i linguaggi che hanno fatto la storia della sinistra in Italia. Non fasci littori, ma la sinistra”. Sarà,. ma quel manifesto con cui Bersani ha rubato a Vendola il suo Casaleggio usando i soldi del Pd per la campagna personale alle primarie, sembra tanto il più classico degli hara-kiri della sinistra italiana…

di Franco Bechis



giovedì 7 giugno 2012

GIOVANNI MINOLI...LA STORIA SONO IO...




È davvero un peccato che Giovanni Minoli, quello de «La Storia sono io», non condurrà il talkshow del giovedì sera che dovrebbe sostituire la vacatio di Santoro. Minoli era l’ideale, perché le ha davvero tutte. Giovane: ha solo 67 anni. Dinamico: è pensionato dal 2010 e da poco prima, cioè, che la Rai vietasse le collaborazioni ai dirigenti pensionati. Umile: ha un contratto con la Rai per due milioni di euro e pare ne volesse altrettanti per il talkshow. Incorruttibile: è solo per caso che le sue redazioni siano cognomeidi.



Trasparente: ha solo il suocero ex direttore storico della Rai, la moglie a capo della società Lux (che ha il più alto budget in Rai) e il cognato ministro. Indipendente: è appeso ai partiti come Tarzan alle liane ed è stato solo martelliano, veltroniano, prodiano, berlusconiano (non richiesto) e soprattutto craxiano; in uno spot in cui intervistava Craxi in un supermercato (1987) Minoli stava alla cassa; in una lettera ancora a Craxi (1989) concludeva così: «Se servo, ci sono».

È pure un investimento: è lui che ha prodotto il disastro di Agrodolce per cui la Rai è stata condannata a pagare vagonate di milioni (e altre cause sono in corso) con 300 persone che perderanno il lavoro. È lui che ha prodotto le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia con ascolti degni dei Mille di Garibaldi. Insomma, è un peccato.

mercoledì 23 maggio 2012

DE BENEDETTI...



la morte politica dei democratici

De Benedetti al segretario
"Il Pd ha vinto? Balle"
L'Ingegnere rottama Bersani dopo il voto alle amministrative e lancia il listone civico che dovrà essere guidato da Roberto Saviano
Il segretario: "Abbiamo vinto, nessuno può dire il contrario". L'editore di Repubblica lo smentisce: "La sinistra cambi" FONTE: LIBERO

domenica 29 aprile 2012

GIANFRANCO FINI...


Casta senza vergogna

Fini gran pavone della Camera la sua vanità ci costa 200mila euro
Tanto ci ha fatto spendere nel 2011 Gianfranco per farsi ritrarre dal suo fotografo personale Enrico Para
L’unica volta che non l’ha chiamato è stato lo scorso 18 aprile, quando Gianfranco Fini ha preferito dare meno pubblicità possibile a un suo incontro diplomatico: quello con l’ambasciatore delle Maldive, Iruthisham Adam. Si capisce perché: l’ambasciatore è utilissimo a chi - come Fini - ama le vacanze alle Maldive, ma quell’incontro non fa aumentare la popolarità. Per quello il presidente della Camera non ha chiamato Enrico Para, il fotografo personale che sta incollato a Fini come un francobollo praticamente da quando l’ex leader missino ha ottenuto i primi incarichi istituzionali. Tutte le altre volte Para era lì con la sua macchina fotografica. Che gli sarà restata incollata alla mano nel 2011, visto che Fini si è fatto fotografare come mai gli era accaduto nella vita. Si deve piacere un fracco il presidente della Camera, visto che per le sue foto ha fatto sborsare (ai contribuenti, mica paga lui) la bellezza di 201.014,44 euro l’anno scorso.


A tanto ammontano le fatture pagate nel primo e nel secondo semestre alla Impero Fotografico srl di Para (che ne è il proprietario insieme alla moglie, anche lei fotografa). Nel primo semestre una fattura da 73.075,20 euro, e una da 34.449,60 euro. Nel secondo semestre la terza fattura, da 93.489,64 euro. Per Fini dunque il 2011 è stato l’anno del Gran Pavone, e per il fido Para l’anno della cuccagna. L’anno prima, secondo i dati rivelati dai soliti radicali e messi a disposizione dei contribuenti su Linked Open data Italia alla Impero fotografico srl erano stati pagati in tutto 76.692 euro. In un anno dunque la cifra è quasi triplicata. Fini ha viaggiato come una trottola e anche all’estero ha sempre voluto il suo fotografo di fiducia al seguito, pagandogli oltre alle fatture anche le spese di viaggio e di pernottamento. E anche il 2012 non sarà da meno: Fini si è già fatto ritrarre in ogni posa nella visita negli Usa: stretta di mano a Barack Obama, visite accompagnate dalla vecchia amica Nancy Pelosi. Subito prima un viaggetto nella penisola balcanica e subito uno a Londra con raffica di strette di mano e di foto. Nelle feste comandate al presidente della Camera piace invece mettersi la divisa (pure la mimetica) e andare a farsi fotografare insieme ai militari in qualche missione italiana in giro per il mondo: l’ha fatto ad Herat, in Libano e in Kossovo (qui però si è tenuto il caldo suo giaccone, perché si battevano i denti dal freddo). Il fotografo personale lo ha accompagnato in tutti gli altri viaggi all’estero. E naturalmente corre in ufficio non appena c’è qualche visita di rango anche alla Camera dei deputati.

La Camera ha anche altri fotografi ufficiali: c’è Umberto Battaglia, che fu fotografo personale di Pier Ferdinando Casini e che Fini ha mantenuto a corte pagando profumatamente sia lui che la sua Image communication net srl (circa 142 mila euro per gli scatti istituzionali nel 2011). C’è infine la Luxardo foto di A. Sulpizi che raccoglie le briciole (38 mila euro l’anno scorso).

Para e la sua società non lavorano solo per Fini. Come molti fotografi vivono anche di servizi banali (matrimoni, cresime, battesimi etc…), e poi dove c’è un ex missino sono sicuri di trovare lavoro. Lui era il fotografo ufficiale del Secolo di Italia e del Msi, e ancora oggi risulterebbe fotografo ufficiale di Alleanza Nazionale. Con Fini ha lavorato (anche come vide operatore) a palazzo Chigi quando questi era vicepremier e agli Esteri appena il nume di Para è sbarcato lì. In contemporanea, però, Para e la sua società diventavano anche fotografi ufficiali di tutte o quasi le istituzioni in cui arrivava al potere un ex missino. Silvano Moffa lo portò con sé alla provincia di Roma, Francesco Storace alla Regione Lazio, Mirko Tremaglia al ministero degli italiani nel mondo, Altero Matteoli a quello dell’Ambiente, Gianni Alemanno alle politiche agricole, e così via.

di Franco Bechis - LIBERO


mercoledì 22 febbraio 2012

SAVIANO COSTRETTO A CHIEDERE SCUSA...


Saviano Sparò sul sindaco Pdl: "Camorrista" Finì in galera da innocente, Roberto si scusa
Nel 2003 l'autore di Gomorra accusò Giorgio Magliocca (Pignataro Maggiore). Undici mesi in carcere e scagionato, poi la lettera


Nel 2003 aveva scritto un pezzo sul settimanale Diario accusando alla sua maniera (cioè senza mezze misure Giorgio Magliocca, allora sindaco Pdl di Pignataro Maggiore nel Casertano, di presunti legami con la camorra. Nel 2009, 6 anni dopo, Roberto Saviano ha fatto marcia indietro e chiesto scusa: avevo tempi stretti per scrivere quell'articolo - spiega nella lettera inviata a Magliocca l'autore di Gomorra -, le sue fonti erano attendibili. Non ha potuto verificare e si è sbagliato. Piccolo particolare, infatti: l'ex sindaco era innocente. Facile, in fondo, sparare nel mucchio in una zona ad altissima densità di infiltrazioni criminali. Anche sulla scia di quella pubblica denuncia, Magliocca ha passato 11 mesi in galera e ha visto distrutta la propria carriera politica. Chi condusse le indagini contro l'esponente Pdl, ricordano Gian Marco Chiocci e Simone Di Meo sul Giornale, era un poliziotto dichiaratamente di sinistra poi candidato alle elezioni nello stesso Comune. Il pm aveva chiesto per Magliocca 7 anni e mezzo di carcere, ma il Gup De Gregorio lo assolse con formula piena. Non è vero che Magliocca favorì la cosca Ligato-Lubrano né ebbe rapporti col boss Raffaele Ligato. Né promise appalti e finanziamenti pubblici. Tutto questo è stato appurato col tempo, ma intanto il danno era fatto anche grazie a Saviano. "Chi combatte la criminalità può essere ucciso in due modi: con le pallottole o con il fango", ha commentato un amaro Magliocca. Tutto sommato, sono le stesse parole usate spesso da Saviano per ribattere a chi lo critica. Solo che dall'altra parte stavolta c'è lui, l'ex santino di Gomorra. Quelle scuse, tardive, sono solo un atto di decenza.
22/02/2012
FONTE:Libero

mercoledì 8 febbraio 2012

L'INCIUCIO PD PDL CONTINUA...

FOTO DEL GIORNALE LIBERO...
Bechis: l'inciucio gela più della neve. Video
Il vicedirettore di Libero: "Clima politico da rabbrividire. Il vento della grande coalizione Pdl-Pd arriva direttamente da Berlino..."