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sabato 17 settembre 2016

ETTORE BERNABEI - L'UOMO DI FIDUCIA...

Ettore Bernabei...dal libro : l’uomo di fiducia.


“Io sono un uomo molto curioso”: comincia più o meno così un libro-intervista di Ettore Bernabei (direttore generale Rai dal 1961 al 1974) dal titolo L’uomo di fiducia. Non si tratta di un testo appena uscito, si tratta però di un libro che, oggi più di ieri, permette di capire. “I retroscena del potere raccontati da un testimone rimasto dietro le quinte per cinquant’anni”, recita il sottotitolo. Seguiamo Bernabei nel suo tentativo di capire. Di capire come stanno le cose.
Tanto per cominciare dobbiamo dare per scontato che il ‘teatrino della politica’ non lascia intravedere che l’apparenza. Sicché, se ci si limita a leggere i giornali e a seguire le vicende partitiche, si rischia di non capire proprio nulla. Perché dietro la facciata della politica c’è dell’altro e molto spesso questo ‘altro’ è determinante per capire. E allora: come fanno i comuni mortali a sapere qualcosa di ciò che sta dietro e che nessuno racconta? Seguendo qualcuno -ammesso che lo trovino- che sa e che abbia voglia di raccontare.
Nel nostro caso seguiamo Bernabei. Tanto per cominciare: “Sui giornali escono le verità che si vogliono e si possono fare uscire”. Per continuare: “la stessa rappresentazione della politica come lotta tra i partiti e basta è manchevole e fuorviante. Il potere è fatto di tanti pezzi diversi: i partiti, ma soprattutto i boss della finanza, i capi delle industrie, le lobby affaristiche, i magistrati, i sindacati, gli stessi giornalisti. Senza una consapevolezza delle autentiche forze in campo si può credere, magari, che sia in atto uno scontro quando c’è un incontro o viceversa”…
Continua Bernabei: “Subito dopo la guerra De Gasperi e Mattioli si misero d’accordo proprio su questo punto: i cattolici avrebbero tenuto le fila della politica, e cioè avrebbero guidato il governo e il Parlamento, mentre i laici avrebbero curato i loro interessi nella finanza, nell’industria e nell’editoria giornalistica”. E chi era Mattioli che gestiva come un plenipotenziario questioni che, all’apparenza, non avrebbero dovuto interessarlo? “Raffaele Mattioli -scrive Bernabei- amministratore delegato della Banca Commerciale Italiana, capo indiscusso della finanza italiana e uomo di fiducia della finanza occidentale, andò a Washington tra la fine del ’45 e i primi del ’46 e spiegò agli americani che tipo di spartizione delle competenze era stato concordato in Italia. Gli americani capirono e approvarono”.
Per continuare: quella di tangentopoli non è stata certo la prima delle vicende che hanno visto la magistratura impiegata come arma politica. L’utilizzazione della magistratura come arma politica, però, si può fare solo ad una condizione: di avere la stampa come cassa di risonanza. “Quando si adoperano i giudici nella battaglia politica, bisogna sempre affiancargli i giornali, la cosiddetta grande stampa. E’ come una cavalleria che deve dare man forte ai fanti ed esaltarne le capacità di sfondamento”.
Bernabei descrive le vicende degli anni cinquanta e sessanta, ma le cose sono andate diversamente all’epoca del Tonino nazionale e della grande telenovela di mani pulite? E’ forse comprensibile il ruolo esorbitante svolto dalla magistratura milanese senza il decisivo concorso e la forza d’urto dei mezzi di comunicazione di massa? Dopo aver ricordato qualche esempio di guerra politica combattuta grazie all’accoppiata magistratura-stampa, Bernabei conclude: “I grandi giornali padronali, cioè ‘Corriere’, ‘La Stampa’, ‘Il Messaggero’ eccetera, sono sempre stati, al fondo, antidemocristiani”.
E perché? La risposta è davvero interessante: “stavano con le destre laiche, i repubblicani, i liberali e i circoli finanziari internazionali che li sostengono e che non amano per niente la Chiesa cattolica e il suo scarso interesse per i profitti e per i padroni”. Dai giornali alla Fiat il passo è breve. E così Bernabei parla del ruolo e degli interessi della Fiat: “La Fiat è sempre stata e sempre sarà governativa”. D’altronde, soggiunge, “nessuna azienda italiana aveva ricevuto dallo Stato aiuti neanche lontanamente paragonabili a quelli che aveva ricevuto la Fiat”.
A cominciare dal 1946 quando Einaudi attraverso l’Imi “prestò alla Fiat somme enormi per centinaia di miliardi, al tasso d’interesse dell’1%! Cento miliardi di quella volta saranno diecimila miliardi di adesso. La Fiat ha finito di restituirli all’inizio degli anni Ottanta, trentacinque anni dopo. Significa che, avendo avuto una stanza piena d’oro, ha dato indietro un carrettino di carta”. Ciononostante, continua Bernabei, la Fiat non amava né Eianudi e i liberali né i democristiani. E infatti fu la Fiat ad adoperarsi perché “dalle ceneri del Partito d’azione sorgesse un’altra forza laica, cioè i repubblicani”.
Così ci sono stati “periodi in cui Ugo La Malfa e i suoi avevano più soldi della DC”. Se l’ostilità al partito dei cattolici può essere comprensibile, come si giustifica la lontananza della Fiat dai liberali? Perché, spiega Bernabei, “Einaudi voleva abbattere tutte le barriere doganali, cioè dare impulso alla libera concorrenza. Questo alla Fiat non è mai piaciuto”. Anche dalla Fiat ai repubblicani il passo è breve. E anche a questo riguardo Bernabei ha qualche notiziola di estremo interesse. Il merito della nazionalizzazione dell’energia elettrica, sostiene, -chi lo avrebbe detto?- spetta per intero ai superfinanziati repubblicani. Non i democristiani -che con Fanfani ne volevano l’irizzazione-, ma i rappresentanti del grande capitale hanno voluto la creazione della Montedison. Con quale conseguenza? Che “si vide un capannone d’alta montagna valutato, ai fini dell’indennizzo, come un grande albergo del centro di una città di un milione di abitanti”.
Torniamo al ruolo dei giornali perché con la grande stampa Bernabei non è tenero. Tutti omologati, tutti qualunquisti, tutti funzionali ai disegni del grande capitale internazionale, spesso impegnato in un testardo e ricorrente tentativo di destabilizzare l’Italia. In questo contesto, secondo Bernabei, rientra anche la questione del terrorismo.
Mai condannato dai giornali per quello che era. Sempre scusato, sempre in certa maniera nobilitato: “i giornali davano risalto enorme ad azioni che erano di puro teppismo. Certa stampa fu alleata del terrorismo nel senso che per anni e anni gli fece da cassa di risonanza, ingigantendone le gesta, trasformando in eroi quei poveretti. I sindacalisti dell’Alfa Romeo gli andavano a piscia’ sui tavoli, ai dirigenti di fabbrica, e un giornale serio che avrebbe dovuto scrivere? E che scrivevano o facevano capire, invece? Che era un atto grave, sì, però anche rivoluzionario, non privo d’una sua bellezza, d’una sua giustificazione”.
Insieme al terrorismo le forze occulte del potere internazionale hanno promosso contro l’Italia anche un altro attacco, molto più silenzioso e subdolo: l’invasione della penisola ad opera di un’immigrazione indiscriminata, molto ben indirizzata. Bernabei spiega in questo contesto la vicenda dei profughi albanesi. E infatti: i profughi albanesi “continuano ad arrivare in Italia anche grazie a un’eccezionale organizzazione che li spedisce, per mare, in Puglia, e che ancora una volta ha lo scopo di far nascere in Italia chissà quale pandemonio”. Quando finisce il terrorismo? si domanda Bernabei. Quando “quelli che lo avevano organizzato e finanziato capirono che non c’era niente da fare, che il paese non si faceva destabilizzare. Allora diedero l’ordine: ‘Rompete le righe!’ E siccome un modo pulito per rompere le righe andava trovato, misero in piedi tutta una serie di sceneggiate, tra cui quella dei pentiti”. Gli stessi che inventarono i pentiti ordinarono la liquidazione degli irriducibili. Quanti non volevano saperne di farla finita con la lotta armata, “quelli, zac, li fecero fuori tutti. Sa quanti morti ammazzati, che passano per vittime di regolamenti di conti tra camorristi, sono in realtà ex terroristi che non volevano smetterla? Ci fosse un giornale che una volta almeno andasse a vedere cosa c’è dietro quei morti ammazzati nei cosiddetti regolamenti di conti”.
A questo punto la domanda davvero interessante è: perché “forze economiche, politiche, lobby affaristiche che muovono le loro pedine sulla scacchiera dell’intero pianeta” hanno cercato con tanta determinazione di destabilizzare l’Italia? La risposta di Bernabei è ancora una volta netta: in primo luogo perché da noi “c’è la Chiesa cattolica”. C’è una linea precisa -scrive- che da Lutero ed Enrico VIII passa per la Rivoluzione francese ed il Risorgimento, “nato e cresciuto con l’appoggio inglese contro la Chiesa cattolica”.
Le società segrete che perseguono questa iniziativa incarnano “un’etica che si esaurisce nel guadagno e nel successo, un settarismo che ignora la pietà ed è pronto a schiacciare l’umanità intera in nome di un preteso Bene Assoluto e che trova la incarnazione più duratura nei riti delle società segrete programmaticamente anticlericali”. E d’altronde, si chiede Bernabei, qual è il vero significato dell’espressione globalizzazione? Globalizzare “significa conquista di tutto il pianeta attraverso l’omologazione di una logica. Quale logica? Quella del profitto”. Parlando di lobby affaristiche, Bernabei ne individua una particolarmente dedita ad interessarsi alle vicende italiane, con grande attenzione viceversa al mondo della sinistra: “il capitalismo anglo-olandese ha sempre avuto un occhio di riguardo per l’Internazionale socialista”, scrive l’Uomo di fiducia. Il discorso di Bernabei continua in tanti illuminanti rivoli. Noi ci fermiamo qui.
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venerdì 31 gennaio 2014

LA RAI COMPIE 60 ANNI...MA QUANTO C'E COSTA LA LOTTIZZAZIONE POLITICA?

LA GRANDE MOSTRA DELLA STORIA DELLA RAI...60 ANNI DI TELEVISIONE...

potrebbero mettere anche quanto c'è costata la lottizzazione politica...

quanto ci costa la famiglia numerosissima dell'ex direttore generale della RAI Ettore Bernabei democristiano DOC...da buon cristiano ha messo al mondo 8 figli...e cosa si è inventato il caro Bernabei per arricchire tutta questa famiglia numerosa? si è inventato la LUX VIDEO S,p.A ..
prima serie le storie della BIBBIA...
poi la storia di tutti i santi che stanno nel calendario...meno S.Linda che non esiste per fortuna...
poi la storia di qualche PAPA per esempio Papa Giovanni...
poi la serie Don Matteo...siamo alla nona serie...la nonna serie ha fatto incazzare un
vescovo...perche'? perche' è cambiata la location, Don Matteo si è trasferito da Gubbio a Spoleto...non immaginate quanto si sia incazzato il vescovo di Gubbio, lo potete leggere qui...
http://tuttoggi.info/articolo/53310/

Poi oltre tutti i santi i papi e i preti, ci sono i generi, il genero piu' famoso di Ettore Bernabei
è GIANNI MINOLI ...quello della "LA STORIA SONO IO" ...BRAVO GIORNALISTA MA CHISSA' PERCHE' LO ALLONTANARONO DALLA RAI PER UN PAIO D'ANNI...che aveva combinato? ma chi lo sa, tanto nessuno parla, e il tipo andato in pensione chissa' con quale paccata di soldi nostri...non si è rassegnato a fare il pensionato e se lo cucca RADIO 24 ...sempre con il racconto de "LA STORIA SONO IO" .
Cito solo la famiglia piu' vecchia dei lottizzati politici alla Rai, ci sarebbe anche quella della famiglia LEONE...e poi e poi e poi...una marea di figli amanti fidanzate mogli mariti compari di tutti i poltici - giornalisti e sindacalisti che si sono succeduti e si succedono nell'arco politico italiano.
continua...

martedì 15 ottobre 2013

BEPPE GRILLO

Che Fazio fa

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Guarda il video
(01:30)
fazio_stipendio.jpg
Il programma "Che tempo fa" di Fazio, lo stuoino del pdmenoelle, è prodotto da Endemol di proprietà al 33% (fino ad aprile 2012) di Mediaset (*). La RAI ha comprato il suo programma da Berlusconi invece di produrlo internamente. Non ci vorrebbe molto a farlo da parte dell'emittente pubblica, la RAI ha 10.476 dipendenti. Quando Fazio afferma "Io faccio guadagnare la mia azienda", a chi si riferisce? A Endemol? Fazio dice che lui si guadagna i suoi soldi: "Questo programma è interamente pagato interamente dalla pubblicità". Il suo contratto è stato rinnovato per tre anni per un importo di 5.400.000 euro, pari a 1.800.000 all'anno. Fazio di che parla? Quali guadagni si attribuisce? La RAI è tecnicamente fallita, nel 2012 ha perso 245,7 milioni di euro e le previsioni per il 2013 sono di una perdita superiore a 400 milioni. Gubitosi e la Tarantola dove trovano i soldi da dare a Fazio? Come giustificano un contratto che è un insulto alla condizione del Paese e ai lavoratori della RAI? Con che faccia? I ricavi della RAI sono di 1.748 milioni, dalla pubblicità entrano 675 mil. Nel 2012 gli incassi pubblicitari sono diminuiti di 209 mil e quest'anno forse ne perderà il doppio. In questa situazione cosa farebbe un qualunque amministratore, con un organico pletorico e conti in rosso? Si affiderebbe alle professionalità interne e diminuirebbe i costi dei programmi acquistati all'esterno. Invece la coppia Tarantola&Gubitosi fa esattamente il contrario. La RAI ha incassato lo scorso anno 2.683 milioni e ne ha speso il 60% "per consumi di beni e servizi esterni", un'allucinante cifra di 1.612,6 milioni. La RAI è pagata dal canone e le sue perdite sono ripianate con le tasse, è un'azienda pubblica, deve essere trasparente come una casa di vetro. Fazio la pensa diversamente "Credo che la RAI debba essere tutelata. E' un'azienda sul mercato (?). Credo che rivelare continuamente conti, soldi, scelte non faccia bene a questa azienda". Invece la RAI farebbe molto bene a fornire i dati sulle spese, in particolare quelle esterne anche se questo dispiace (e ti credo!) a Fazio "Io non posso dire quanto guadagno. L'azienda mi vincola alla riservatezza. Non vado contro la mia azienda".
Ps: Verremo a cantare a Sanremo. Ripeto: verremo a cantare a Sanremo.
(*)"Che tempo che fa, programma di RAITRE prodotto da Endemol Italia, con due diverse scenografie, una per il sabato e l’altra per la domenica"

mercoledì 9 ottobre 2013

RAI - M5S - ROBERTO FICO

Sarei curiosa di sapere il pensiero sulla richiesta delle dimissioni di Fico, di
Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi...il duo non approvano mai nulla... di fronte a un deficit annuale del 2012 di 200 milioni di euro e a un possibile indebitamento tra i 550 e i 600 milioni (come ammesso dal dg Gubitosi sempre in commissione) chiedono trasparenza,mentre si regalano a iosa centinaia di migliaia e milioni di euro a tutti i dipendenti di questo ente di Stato fatto di familismo e privilegiati.
Ne cito solo uno a caso, anni 90 - 250 milioni di lire di scivolo,piu' una pensione di 3 milioni al mese, ad una semplice dipendente che la Rai si voleva togliere dalle palle, ne vecchia ne giovane, ma di prassi si svecchia per far posto ad altri raccomandatissimi figli di qualcuno che conta, basta leggere i cognomi e vedere che intere faniglie ci stazionano da anni.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/08/rai-pd-e-scelta-civica-chiedono-dimissioni-di-fico-da-commissione-vigilanza/736654/

sabato 5 ottobre 2013

IL CAIMANO - SPRECHI


La Rai acquista da Nanni Moretti il film "IL CAIMANO" per un milione e mezzo di euro...per cinque passaggi...invece lo tengono in cantina, fino a che scadono i diritti e Nanni Moretti lo vende alla TV 7 che lo mette in onda ieri sera insieme allo speciale di Enrico Mentana.

sabato 18 maggio 2013

LIA CELI...



Lia Celi, non sapevo neanche chi fosse se non spuntasse all' improvviso su Rai tre nell'ora di cena con una trasmissione "CELI MIO MARITO" ...mentre facevo la frittata ho subito pensato: chi l'avra' raccomandata? informamdomi un po' in rete ho letto che
la Celi è sposata con Roberto Grassilli. Chi è Grassilli? Un fumettista, oggi collaboratore del Fatto quotidiano, che ha sposato la Celi, anche lei collaboratrice su IL FATTO ma sembra si siano conosciuti nella redazione di CUORE satira.
La tipa alla conduzione di "CELI MIO MARITO", mi è sembrata senza ne capo e ne coda, senza attrazione al confronto con la frittata che stavo facendo, meglio la mia frittata che sapere del marito di Celi.
La tipa l'ho rivista ieri sera dalla Gruber che parlava di Ruby, descrivendola come una ragazzina inteligentissima in gambissima che ha saputo sfruttare bene il proprio corpo.
Avendo tre figlie femmine la tipa non si sbottona, non si puo' mai sapere, qua' i giovani so tutti figli di silvio, ( come faceva notare la silvia che lo contestava a Brescia) molti gli somigliano e molti no, per fortuna altrimenti saremmo messi assai male.
Insomma questa Celi molto graziosa ma come si dice: un po' sciapa, vede Ruby come una icona di successo per il solo fatto che sia riuscita a fare soldi solo per un incontro col miliardario di STATO.

lunedì 29 aprile 2013

RAI - ZORO


Questa societa' che da lavoro sempre ai figli di...
La Rai è piena di figli di...
Sono anni che vediamo trasmissioni di satira oppure di altro genere ma soprattutto di satira, in cui il regista e il figlio della Gina Lollobrigida ...Milko Skofic...lo Skofic guida la regia della trasmissione di ZORO con la partecipazione del giornalista DAMILANO dell'espresso...fanno una satira che a me non piace molto...anzi non la ritengo manco satira, lo spettacolo è pieno di primi piani della faccia di ZORO...chi lo raccomanda ZORO?

sabato 1 dicembre 2012

RAI - LE REGOLE...

LA TRASMISSIONE FATTA DA SKY SULLE PRIMARIE CON BERSANI E RENZI...NON E' STATA INTERROTTA DALLA PUBBLICITA' ...QUELLA PER IL BALLOTTAGGIO FATTA DALLA RAI - SERVIZIO PUBBLICO - E' STATA INTERROTTA DALLA PUBBLICITA'.

venerdì 23 novembre 2012

LA PUPA E IL SECCHIONE...LA SIMONA ERCOLANI DAL PCI OCCHETTO E LA CIPRIANI...


La showgirl Francesca Cipriani, oggi in aula come teste al processo Ruby Bis a carico di Nicole Minetti, Emilio Fede e Lele Mora, ha confermato un “aiuto di diecimila euro”, ricevuto di recente da Silvio Berlusconi. “Dopo l’avvio di questa farsa”, ha detto la Cipriani fuori dall’aula, “non riesco più a lavorare. E Berlusconi mi ha aiutato”. Un aiuto che secondo lei le avrebbe permesso di continuare con la sua carriera di “comica”. “Perché”, aggiunge, “voglio far ridere l’Italia”. Un talento innato che non poteva sfuggire al Cavaliere: “Mi ha notata proprio per la mia ironia”, ha detto la teste rispondendo al pm Antonio Sangermano. In aula anche Alessandra Sorcinelli, altra assidua delle serate ad Arcore. Nel corso dell’esame la teste ha confermato di aver ricevuto nei primi mesi del 2010 bonifici da Silvio Berlusconi per un valore complessivo di 115mila euro. “Deve aver avuto problemi seri”, ha commentato il presidente del tribunale, innescando le risate dell’aula. Più modestamente, oggi la Sorcinelli percepisce un mensile di duemilacinquecento euro. La stessa cifra ammessa da molte altre testimoni al processo  di Franz Baraggino

La Cipriani e la vincitrice DEL PREMIO DI 500 MILA EURO della  trasmissione la PUPA E IL SECCHIONE  della SIMONA ERCOLANI: qui


Simona Ercolani - Roma 20 ottobre 1963. Giornalista tv. Nota soprattutto come autrice del programma Rai Sfide. È sposata col giornalista Fabrizio Rondolino. «Non mi interessa il calcio, ma il calciatore».
«Producevo spot pubblicitari e piccoli documentari. Militante del Pci andai con una piccola telecamera al congresso di Rimini, quello che sancì la trasformazione del partito in Pds. In ballo c’era l’approvazione della linea Occhetto. La sua conferma alla segreteria sembrava una formalità, tanto che i giornalisti decisero di abbandonare l’aula in attesa di conoscere l’esito scontato delle votazioni. Qualcosa andò storto, Occhetto non fu confermato e io mi trovai, unica, a documentare il dramma di un leader tradito dai suoi compagni. Quelle immagini, esclusive, hanno fatto la mia fortuna. Iniziai a collaborare con Raitre. Prima Storie vere poi Chi l’ha visto?, una scuola tosta, quella di Guglielmi, che mi ha insegnato il mestiere. La collaborazione per il programma della Raffai fu notata da Freccero. Passai a Raidue con la possibilità di fare un programma tutto mio, di idearlo. Nacque il rotocalco Passioni».
• « Sfide ha incollato al televisore anche chi con il calcio ha poco a che fare, al punto tale da meritarsi il Premio Ennio Flaiano per la migliore trasmissione televisiva del 2001» (Alessandro Catapano). Autrice anche dei reality La pupa e il secchione (assieme al marito), La fattoria, Uno due tre... stalla!: « Sfide è la bottega artigiana, Fattoria è l’azienda. La bottega tiene con i piedi per terra, lavorare con un budget basso obbliga a risolvere in fretta, a decidere. Nell’azienda ci sono maggiori problemi di marketing, ma anche mezzi maggiori».
• «La “vera” Simona Ercolani qual è, quella di Sfide o quella de La pupa e il secchione? L’ unica risposta irricevibile è anche la più scontata: l’Ercolani è tutt’e due, l’alto e il basso, il cuore alla Rai e il portamonete a Mediaset. No, bisogna stabilire in fretta quale delle due mente» (Aldo Grasso).
• Nel 2008 ha diretto con Paolo Fattori La classe operaia va all’inferno, film sul rogo della Thyssen-Krupp (Torino nella notte tra il 5 e 6 dicembre 2007, 7 vittime).Giorgio Dell’Arti - Massimo Parrini
Catalogo dei viventi 2009, Marsilio
scheda aggiornata al 5 ottobre 2008


ALTRO PROGRAMMA DELLA ERCOLANI:

MENTANA, LERNER, SANTORO E VESPA, MATADOR DELLA TV

ENRICO Mentana è il primo protagonista di Matador, il nuovo programma in quattro puntate, in onda da domani alle 23.30 su RaiDue. La trasmissione di Simona Ercolani ripercorre le vite professionali di quattro tra i giornalisti italiani che da oltre 25 anni si distinguono nell' arena dell' informazione televisiva: Enrico Mentana, Bruno Vespa, Gad Lerner e Michele Santoro. Si tratta di autentiche biografie semi autorizzate di anchormen di successo raccontate nell' ineludibile intreccio che lega le loro carriere all' attualità e ai momenti cruciali della vita pubblica nazionale di quest' ultimo quarto di secolo. Con interviste esclusive, immagini di repertorio originali, testimonianze dirette dei protagonisti, Matador ripercorre i fatti fondanti della seconda Repubblica, raccontati da chi all' epoca li seguiva. Un punto di vista privilegiato che svela al pubblico il "dietro le quinte" di trasmissioni che hanno fatto la storia della tv, da Samarcanda, a Matrix, a Porta a Porta, a Milano Italia.

martedì 20 novembre 2012

FILM - I NUOVI ANGELI - 1962 . GREGORETTI


Semidocumentario d'inchiesta, girato con attori non professionisti, in 6 episodi più 1 prologo. Diario di viaggio alla scoperta dei ventenni dell'Italia del boom economico: 2 in Sicilia, 1 a Napoli, 1 su una grande spiaggia adriatica, 2 a Milano. Il prologo offre la chiave di lettura: quelli che sembrano teppisti violenti sono moralisti d'assalto. Come dire: prima di giudicare, cercate di capire. Il film dell'esordiente Gregoretti non giudica, non predica, non denuncia. Racconta, lasciando libero lo spettatore di trarre le conclusioni. Lo fa con garbo scanzonato che non è né ipocrisia né rifiuto di un impegno. 1° film italiano che tocca l'evoluzione industriale nel Sud e i problemi del lavoro in un'industria del Nord. Episodi di ambiente borghese meno convincenti. Quello finale è più abile che persuasivo. V.M. 16 anni. qui
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Gregoretti viene intervistato dal sociologo Paolo De Nardis e si parla di raccomandazioni nel mondo del lavoro...raccomanda la mafia, il prete l'onorevole etc etc. Una mattina vidi in Rai il programma UNO MATTINA era l'anno 2003 e mi colpi una ragazza un po' goffa con un difetto di pronuncia biondona, pensai subito: ma questa chi la raccomandata? be' ho scoperto poi che era la figlia del sociologo Paolo De Nardis...si chiamava Eleonora e lavorava in Rai...quella Rai lottizzata dove nessuno entra se non raccomandato.

domenica 28 ottobre 2012

VALENTINO PARLATO...E IL FIGLIO SISTEMATO ALLA RAI...

PARLATO, Matteo...I COCCHI DI PAPA'...QUI


E’ figlio del Ventennio. No, non quello del Regime Fascista ma quello del Regime Comunista che in effetti è durato ben più di 20 anni.
Matteo Parlato è  figlio di Valentino Parlato che, dicono, abbia fatto il “giornalista”. Giornalista di parte, quindi in antitesi piena con il concetto di “giornalista” e, semmai, più che altro, portavoce di analisi e notizie pre/concette di stampo comunista (mi pare abbia letto da qualche parte fossero anche “vetero/comuniste”). Il Parlato senior si è fatta tutta la carriera “slavorativa” tra politica e giornalismo-di-politica.
Ed ha avuto la capacità di mettere dentro a “slavrorare” anche il figlio, tal Matteo, che è in carico (a noi contribuenti) a RaiNews.
Non fa tante cose. Quale giorno fa l’ho visto in tv balbettare qualche fesseria. Ma è un protetto di ferro perchè il direttore di RaiNews è Corradino (Mineo) che a 21 anni era al Manifesto, guarda caso, toh, fondato e poi diretto da Parlato papà. Quando si dice il culo!
Certo che ci si domanda: ma perchè Parlato figlio non va al Manifesto? Risposta: perchè quelli (de Il Manifesto) adesso devono lavorare per guadagnarsi lo stipendio (non succhiano più soldi pubblici com’han fatto per-anni-ed-anni) e di un Parlato come l’attuale ne fanno a meno.
Meglio parcheggiato a MammaRai, tanto lo stipendio glielo paghiamo noi.
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Matteo Parlato, figliolo. Vero che uno può usare foto del cazzo a corredo di un pezzo ma giuro che questa la auto-pubblicata lui sul profilio Twitter. Evidentemente la ritiene rappresentativa. Si, lombosianamente rappresentativa dell’intelligenza   :)
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Valentino Parlato, papà. Chiacchiere a non finire come “lavoro”  (sic) e per supportare il regime Comunista che sua volta supportava i chiacchieroni. (Ma se un “giornalista” è certamente di parte..può essere seriamente “giornalista”?: boh!)

sabato 20 ottobre 2012

SE IN PENSIONE CI ANDASSE ANCHE GIULIETTI?

DAL SITO ART 21 DI GIULIETTI

Lo ”smemorato” Scalfari e il calo di consensi per Monti

scalfarieugenio A volte la memoria fa dei brutti scherzi. Anche al più grande giornalista e commentatore dei fatti italiani, il “decano” Eugenio Scalfari, che da alcuni mesi da quando Monti è diventato presidente del consiglio, non smette ogni domenica di fornire lezioncine di economia politica alla sinistra e alla CGIL. La sua deriva neoliberista è ormai straripata. La sua trasformazione da analista-editorialista a grande guru, “padre nobile” di una nuova maggioranza politica di centro-centro-sinistra, affinchè si instauri un governo “montiano”, magari evitando anche che si svolgano le elezioni politiche del 2013, stridono con il suo senso di rigore costituzionale, mostrato in varie occasioni durante la strenua battaglia del suo giornale, “La Repubblica”, al ventennale regime ingannatore di Berlusconi. Ma in quella battaglia tutto il fronte del giornale era unito come un sol uomo, anche perché così voleva il suo editore, l’ingegner De Benedetti, acerrimo rivale del Cavaliere; mentre oggi la linea editoriale e politica del quotidiano-partito è quanto meno divisa tra pro-Monti e gli scettici. Qualcosa però è cambiato da qualche settimana, da quando cioè il “patron” del gruppo editoriale, l’ingegner De Benedetti, ha rilasciato una dura intervista a “Servizio pubblico”, dove criticava senza mezzi termini l’operato del governo Monti, l’incapacità del PD di svolgere un ruolo propositivo e soprattutto sparava a zero sulla trattativa per la riforma del mercato del lavoro, decretando la parola fine al “simbolo ideologico” da abbattere: l’Articolo 18. Per l’ingegnere questo accanimento sullo Statuto dei lavoratori è assurdo e dannoso, perché non è vero che sia d’impaccio agli investimenti stranieri in Italia né blocchi le aziende nel loro percorso di sviluppo e di ampliamento dell’occupazione.
Un monito che in parte “Repubblica” ha recepito, ma che ha colto in affanno il suo direttore Ezio Mauro, scopertamente ancora pro-Monti, seppure con qualche ravvedimento; ma che certo non ha smosso di un millimetro il neoliberista Scalfari.

Questo giornale-partito, cui va l’onore delle armi per la sua battaglia antiberlusconiana, ha spesso cercato di imporre nell’opinione pubblica di centrosinistra personaggi e progetti politici ad uso e consumo proprio: dal democristiano “di sinistra” De Mita, al socialista “ravveduto dal craxismo”, Amato, al “bacio del rospo” durante il governo Dini, per finire con Veltroni e Rutelli e oggi Monti. Forse abbiamo saltato qualcuno dei leader toccati dalla “mano infausta” di “Barbapapà” (soprannome che circolava un tempo nella sua redazione), ma certo non dimentichiamo le pulci che il suo giornale ha sempre fatto contro il “troppo democristiano” Prodi, quando era presidente del consiglio e quando fu uccellato tutto il centrosinistra con lo scoop “bufala” dello scandalo Telekom Serbia.
Forse qualcuno ha dimenticato gli editoriali plaudenti il “patto scellerato” tra De Benedetti e Berlusconi quando fu siglata l’intesa tra la Mondadori e il gruppo L’Espresso, poi finito in carte bollate e processi ultradecennali? Forse qualcuno ha dimenticato il plauso per l’infausta Bicamerale D’Alema-Berlusconi? Forse qualcuno ha dimenticato l’appoggio alle conversioni interessate, poi subito tramontate, dell’ingegnere con il suo fondo d’investimenti che voleva fare affari comuni col Cavaliere?

Quando si tratta di commentare affari di grande livello politici o finanziari, il nostro “improvvisato Cuccia de noantri” non si tira indietro e ogni volta, alla luce della storia, sbaglia cavallo. E con lui vengono abbagliati anche vasti strati di opinione pubblica progressista. Perché Scalfari è un signor giornalista, che si è formato alla scuola antifascista di quello che fu il grande Raffaele Mattioli, mitico presidente della Comit, la “banca dei massoni” come veniva sprezzantemente definita dai banchieri di scuola cattolica e democristiana. Mattioli fu sempre convinto che si potesse unire le diverse componenti ideologiche del paese (liberali, cattolici e comunisti) per il supremo interesse del paese e per garantire l’equilibrato sviluppo delle grandi imprese familiari. A questo scopo fondò Mediobanca e durante il fascismo ospitò i grandi intellettuali resistenziali, cercando anche di aiutare in segreto Antonio Gramsci, fondatore del PCI, recluso nelle carceri fasciste. Grazie a lui furono salvati e fatti conoscere i “Quaderni dal carcere” del grande intellettuale marxista sardo.

Forse Scalfari, in tarda età, ha scambiato la sua funzione professionale in quella di “padre nobile della patria”, in compagnia del Presidente della Repubblica Napolitano. Certo è che con le sue ultime esternazioni deve aver urtato i sentimenti laici, di azionista, di autentico emulo di Mattioli, che è stato il presidente della repubblica Ciampi.
L’ex-governatore di Bankitalia riuscì nel 1993 a traghettare il nostro paese fuori dalla palude Stigia della bancarotta e della crisi della Lira, grazie anche all’intuizione della cosiddetta Concertazione, patto tra governo e parti sociali per trovare punti di convergenza in grado di far riprendere il cammino dello sviluppo e della speranza all’Italia. Fu anche decisa una forte accelerazione delle privatizzazioni, che però Ciampi voleva fossero attuate secondo il “modello renano” (adottato in Germania con la compartecipazione nei Consigli di sorveglianza delle grandi imprese, anche bancarie, di rappresentanti dei Lander, le regioni-stato, i sindacati e gli azionisti privati), e non quello inglese, che fu poi invece largamente utilizzato seguendo le ricette neoliberiste del professor Andreatta, economista bolognese, senatore della sinistra DC.
Le grandi imprese del “Capitalismo familistico italiano” (definizione quanto mai azzeccata del professor Guido Rossi) ringraziano ancora. Scalfari appoggiò quella scelta ideologica e ancora oggi rimpiange una certa riluttanza della sinistra e della CGIL a proseguire il cammino allora intrapreso.

Oggi la “Stella polare” della Concertazione, come la definì Ciampi, che ci portò dritti a testa alta nell’Euro e che ha permesso all’Italia di superare le varie crisi finanziarie dell’immenso debito pubblico senza grossi strappi sociali, per Monti e Scalfari non ha più senso e i sindacati dovrebbero abbandonare le loro rendite di posizione, per il bene ultimo della stabilità economica e politica, pronube Mario Monti e la grande accoppiata PD-UDC e parte del PDL ripulito dalle scorie berlusconiane. Altrimenti, è la sua infausta previsione da Cassandra, lo spread tornerà a volare, la recessione si aggraverà e il “bau-bau” Berlusconi-Bossi tornerà a vincere. Da qui il suo plauso per la riforma “lacrime e sangue” delle pensioni, l’orrido decreto sulle finte liberalizzazioni, le riforme strutturali e istituzionali, compreso il famigerato mercato del lavoro con tanto di abolizione ideologica dell’Articolo 18. Se poi, il popolo italiano, dai metalmeccanici Fiat, ai cassintegrati, ai giovani precari e disoccupati, ai pensionati e alle famiglie non sanno più come tiare a campare, tutto questo va preso come un “male minore” per il bene sommo della stabilità dei conti pubblici e del sistema capitalistico “compassionevole”. Non si capisce, comunque, perché il PD e il resto della sinistra dovrebbero ingoiare una medicina così amara, quando per anni hanno contrastato con successo proprio queste ricette iperliberiste che Berlusconi e Tremonti cercavano di far passare, nonostante (o per fortuna!) l’opposizione interna della Lega di Bossi. Forse perché: “se lo dice Scalfari, è cosa buona e giusta”? Anche a costo di perdere le elezioni del 2013!
La crisi dei partiti  è forte e lacerante per il tessuto democratico del paese e la disaffezione per le elezioni sono un allarme minaccioso per il nostro futuro; il calo dei consensi del 20% quasi dell’opinione pubblica nei confronti dell’operato del governo Monti, la settimana dopo la disastrosa battaglia vinta dalla ministra Fornero sull’Articolo 18 e la ritrovata unità di azione dei sindacati confederali provano che non sempre le ciambelle escono con i buchi. Ecco, quindi, la virata a 180 gradi di “Repubblica” (il vicedirettore Giannini in primis e il direttore Mauro a ruota), che cerca di prendere le distanze e navigare verso nuovi lidi, per ora sconosciuti, dell’opposizione che verrà.
Chissà dunque se l’ultimo  “decano” del giornalismo democratico italiano (dopo la morte di Montanelli, Biagi e Bocca) se ne accorgerà!

Dimenticarsi la storia patria è un vezzo da grandi intellettuali. Chiudere gli occhi alla realtà che ci circonda, purtroppo, è frutto o di scelte ideologiche oppure di invecchiamento senile delle sinapsi.
29 marzo 2012

  • Italo Pattarini scrive:
    IL CREPUSCOLO DEGLI DEI. SE ANCHE GLI DEI ANDASSERO IN PENSIONE CI RISPARMIEREBBERO QUALCHE DELUSIONE.
    -------------------

    Caro Pattarini, signore che stava a p.zza Farnese col cartello in onore di Gilioli,  mentre io mi incazzavo per i soliti discorsi triti e ritriti, il rimpallo delle colpe, lui se ne stava zitto zitto lontano dal palco e si faceva i cavoli suoi, tanto avra' pensato: 
    quella è matta, ma come si permette di disturbare cotanti celebri giornalisti? pussa via...
    INSOMMA IO DIREI:
     E SE CI ANDASSE ANCHE GIULIETTI IN PENSIONE?  
    NON E' ORA DI SMETTERLA DI PRENDERE PER IL CU@O GLI ITALIANI?

venerdì 19 ottobre 2012

GIUSEPPE GIULIETTI...LO ZINGARO...PDS DS IDV GRUPPO MISTO...

GIUSEPPE GIULIETTI ...LA DELEGAZIONE DI ARTICOLO 21 ALLA "NOTTE BIANCA " A PIAZZA FARNESE ...
Giulietti deputato in cinque legislature ...PDS - DS - IDV - ultima casacca GRUPPO MISTO, quest'uomo vuole liberare la Rai dalla politica e restituirla ai cittadini...un  uomo che ha passato tutta la sua vita  a rappresentare la politica...un uomo che non si è accorto che il suo partito fa accordi con Berlusconi  e si spartiscono la Rai, non risolvono il conflitto di interessi, e come possono, si sono accordati sottobanco, di nascosto, come i ladri, e dopo una ventina d'anni, Giulietti vuole liberare la Rai.
La P.zza era deserta si e no un centinaio di persone, una decina di dipendenti Rai, un po' di gente che non sapeva perche' stava li, un esercito di  FAMOSI tra politici giornalisti attori attrici nani e ballerine..chiusi in un recinto a parlottare , ridacchiare,  come in un salotto privato,
 tra vecchi amici.
Non mi ricordo chi, un giornalista  chiedeva aiuto alla gente di borgata per protestare contro l'occupazione della politica alla Rai.
La gente di borgata che deve allacciare il pranzo con la cena, combattere lo spaccio capillare di droghe, combattere la delinquenza,   l'ignoranza, l'emarginazione...viene chiamata in causa per liberare la Rai,  incredibile la pretesa di questi privilegiati, schizzofrenici, politici, giornalisti  de sinistra ipocriti.
Io che sono de sinistra ma naturalmente votero il M5S, e della Rai sinceramente me ne frega poco, sono per privatizzare due reti e una deve rimanere pubblica, punto.
Lo sfogo di
Ferdinando Imposimato
presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, dove dichiara che: 
Il patto scellerato tra D’Alema e il suo amico di Arcore
Fu Massimo D’Alema – lo diciamo da anni- che diede a Silvio Berlusconi, nel 1994, l’assicurazione che il suo impero mediatico non sarebbe stato toccato. Ignorava l’allora capo della opposizione che il 69,3% degli italiani decide come votare guardando la TV. La verità la confessò Luciano Violante nel febbraio 2002, quando disse, nello stupore del Paese: “L’on Berlusconi sa per certo che gli è stata data garanzia piena nel 1994 che non sarebbero state toccate le televisioni.


Cera un freddo in quella piazza, sembrava gia' di stare in pieno inverno, la gente del palco sembrava lontano chilometri dalla gente, sembrava  gente vissuta sulla luna...(...)








lA NOTTE BIANCA UN FALLIMENTO...C'ERANO QUATTRO GATTI...

A  P.zza Farnese ieri sera  non c'era quasi nessuno...i soliti discorsi triti e ritriti sulla RAI  ...robba da vomitare..i cittadini presi da mille preoccupazioni per allacciare il pranzo con la cena ...e un pugno di giornalisti privilegiati e riccastri...senza spina dorsale piagnucolavano sulla Rai che non appartiene ai cittadini...
ma andate a fare in cu@o...
al terzo discorso dei soliti noti me ne sono andata...annoiata a morte.
Nel frattempo poco vicino un uomo si dava fuoco per mancanza di lavoro...era disperato.


giovedì 18 ottobre 2012

RAI E LA PUBBLICITA' ...1985


la Repubblica - Giovedì, 1 agosto 1985 - pagina 2
di DANIELA BRANCATI

Nel pomeriggio alla Camera la decisione sul decreto per i network
RAI, OGGI ULTIMO APPUNTAMENTO MA L' ACCORDO POLITICO NON C' E'

Niente nomine, forse il voto sulla pubblicità

ROMA - L' accordo sulla Rai non c' è più. Ma la commissione di vigilanza era stata convocata quando i partiti erano convinti di averlo raggiunto, così oggi pomeriggio i 40 parlamentari che dovrebbero vigilare sulla Rai e indirizzarla, sono chiamati ugualmente a discutere sui due punti all' ordine del giorno: la nomina del consiglio di amministrazione del servizio pubblico e il tetto di pubblicità consentita alla azienda per l' 85. Ad accoglierli - ammesso che si presentino - sarà un nutrito gruppo di giornalisti della Rai, che accompagnerà i rappresentanti della Federazione nazionale della stampa. I sindacalisti seguiranno infatti i lavori della commissione perchè, nel caso che le decisioni siano nuovamente rinviate, attueranno le proteste già programmate. Fin da domani ad esempio, sono state convocate assemblee nelle redazioni giornalistiche della Rai che potrebbero far andare in onda in forma ridotta i notiziari televisivi e radiofonici. Tutto il pomeriggio di ieri è stato utilizzato dai vari leader di partito per discutere, fra un voto e l' altro alla Camera, della possibilità che almeno il tetto per la pubblicità venga approvato, anche se il rinvio a settembre della nomina dei 16 consiglieri Rai sembra certo. I repubblicani hanno ribadito in un editoriale della Voce, la decisione irrevocabile di non votare in contrasto con il loro "modo di intendere la politica come servizio e non come occupazione permanente di posti". Hanno anche detto però, chiacchierando in Transatlantico, che non drammatizzeranno se gli altri quattro partiti della maggioranza voteranno senza di loro. Il responsabile del dipartimento comunicazioni sociali della Dc, Mauro Bubbico, per aggirare il principale ostacolo ha proposto di invertire l' ordine del giorno della riunione, discutendo prima della pubblicità per l' 85. Ma l' idea ha incontrato solo l' approvazione liberale, i socialisti non hanno preso ufficialmente posizione e ne hanno discusso in una riunione a porte chiuse. Tuttavia la questione, e per portata politica e per l' impatto sull' opinione pubblica, non sembra più di competenza dei dirigenti di settore; tutto sembra nuovamente tornato nelle mani dei segretari di partito. Se le scadenze istituzionali - il consiglio è scaduto da due anni e il tetto doveva essere fissato un anno fa - sono state ampiamente disattese, oggi pomeriggio c' è alla Camera il voto sul decreto che non può attendere, poichè decade sabato. Gli interessi incrociati della Dc ad avere il tetto pubblicitario (del quale ha fatto una bandiera di difesa del servizio pubblico) e del Psi a far passare il decreto che proroga la legittimità delle trasmissioni dei network privati fino alla fine di dicembre, sono forti e forse finiranno per prevalere, agevolando la ricerca di una soluzione almeno su questi due aspetti. Teoricamente, anche senza i repubblicani ci sarebbero i numeri in commissione di vigilanza per votare il "tetto" ma i comunisti si sono dichiarati contrari ad invertire l' ordine del giorno. "A che servirebbe - dice Veltroni - uno schiaffo al regolamento in assenza di una normativa generale e del consiglio di amministrazione?". La stessa proposta di De Mita sulla pubblicità illustrata al nostro giornale dal ministro delle Poste Gava, anzichè tranquillizzare gli oppositori, ha suscitato molte reazioni negative. "Il mercato pubblicitario deve essere lasciato libero" afferma il presidente dell' Upa Giulio Malgara. "Imporre ad una quota di pubblicità destinazioni diverse da quelle decise dalle aziende, è come imporre ai consumatori di mangiare riso piuttosto che pasta: è dirigismo bello e buono. Siamo tutti preoccupati del destino della stampa, ma la soluzione non sta in sovvenzioni obbligatorie, bensì in un suo ulteriore sviluppo che la renda sempre più appetibile come veicolo di pubblicità. Il migliore ed unico intervento possibile sul mercato è quello di ridurre gli indici di affollamento. Tanti minuti di seguito di pubblicità sono un grave danno anche per noi utenti: dopo il primo spot la gente calcola i tempi e si alza, va in giro per casa e non vede gli altri messaggi. Noi però li abbiamo pagati, e allo stesso prezzo di quelli che vanno in onda per primi". L' Upa fa notare che ogni stanziamento pubblicitario rappresenta per l' azienda un importante investimento capace di influire sulle buone o cattive sorti dell' impresa: "Incanalarlo forzosamente su un mezzo piuttosto che su un altro significa coartare le scelte imprenditoriali". Lo stesso presidente della Fieg, Giovannini, ha affermato "Apprezziamo la buona volontà che indubbiamente c' è, ma i politici devono convincersi che l' unica soluzione possibile è quella di diminuire l' affollamento di spot nelle ore di principale ascolto. Questo evita fastidi ai telespettatori e mantiene le tariffe televisive su livelli giusti, tali per cui la stampa possa competere".