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giovedì 29 agosto 2013

STATI UNITI

US voti azione in Siria, anche senza il sostegno delle Nazioni Unite
I manifestanti gridano slogan durante una manifestazione contro l'attacco proposto alla Siria nel centro di Londra 28 Agosto 2013. [Foto / Agenzie]

martedì 27 agosto 2013

ALBERTO CAPECE - SIRIA

Siria, stragi “agghiaccianti” e umanità a fini bellici

bambiniSi annuncia un nuovo Irak, forse un nuovo Afganistan o molto più probabilmente una nuova Libia. E a darne la notizia per primo è stato, non a caso, il Wall Street Journal che l’altro ieri ha riportato le parole di un alto funzionario dell’amministrazione Usa, secondo il quale la decisione di Damasco di consentire agli ispettori dell’Onu la visita della zona dove sarebbe stato utilizzato il gas nervino, arriva “troppo tardi per essere credibile”.
Il ragionamento è in qualche modo sorprendente: “Se il governo siriano non aveva nulla da nascondere e voleva dimostrare al mondo di non avere fatto uso di armi chimiche in questa circostanza, avrebbe dovuto far cessare gli attacchi nella zona e consentire un accesso immediato dell’Onu cinque giorni fa, le prove disponibili sono state inquinate in maniera significativa a seguito dei continui bombardamenti del regime e di altre azioni intenzionali avvenute negli ultimi cinque giorni”. C’è allora da domandarsi su quali basi che non siano le sole dichiarazioni dei ribelli veri o presunti, si afferma che è stato usato il gas, visto che in pochi giorni le prove sarebbero ormai cancellate. E c’è da chiedersi come mai esse in 24 ore siano addirittura diventate “inequivocabili”.
Così ovviamente non è, anche se i media mainstream si affannano a raccontare leggende, tipo quella che i gas nervini non sono rilevabili nei corpi delle vittime. Il gas in sé, si, ma le alterazioni che esso apporta alla acetil-colina-esterasi, sono facilmente rilevabili con esami ematologici. Così non è perché tracce chimiche rimarrebbero comunque sugli abiti degli scampati e dei feriti oltre che sulla scena della battaglia, mentre gli ordigni destinati a questo uso hanno caratteristiche note e assolutamente riconoscibili. Così non è perché il rapporto tra vittime denunciate (1300) e abitanti non ha senso in relazione all’uso di questi gas che sono letali
Gli effetti di minime contaminazioni gas nervino sono assolutamente tipiche, come dimostra questa foto presa dopo le stragi al gas nella regione curda dell'Irak
Gli effetti di minime contaminazioni gas nervino sono assolutamente tipiche, come dimostra questa foto presa dopo le stragi al gas nella regione curda dell’Irak
anche a dosi bassissime. Altro che la “larga scala” di Kerry. Così non è perché foto e brevi filmati diffusi questi giorni parrebbero dimostrare – al contrario di come vengono presentati – che il totale scoordinamento motorio dovuto ai gas che attaccano le sinapsi delle cellule nervose, non si è affatto verificato. E non è presente nemmeno in quella davvero agghiacciante dei bambini sotto ghiaccio che sputtana in maniera grottesca il maneggio e il commercio di umanità per fini bellici. Così non è perché assieme ai morti ci dovrebbero essere anche molte decine di migliaia di feriti con lesioni tipiche e sindromi ben conosciute, tra cui la più comune è la cecità, mentre i 3500 di cui parla Medici senza frontiere (non presente in Siria se non come sigla di supporto ai sanitari locali) che si sarebbero presentati agli ospedali di Damasco lasciano piuttosto perplessi: chi li ha portati fin là senza le tute protettive necessarie ai soccorritori per non essere a loro volta intossicati? Come è possibile che 355 di essi siano morti dopo aver affrontato molti chilometri di spostamento? Insomma ben poco, anzi nulla  funziona in questa storia, compresa l’insensatezza di usare armi chimiche proprio nel momento in cui la guerriglia perde terreno. Ma si sa che a questo si può tranquillamente porre rimedio, creando da soli quello sconfinamento della “linea rossa” che oggi viene addebitata a Damasco. Anzi a dire la verità tutto questo è  ancora più grottesco perché arriva in contemporanea con le rivelazioni del Daily Mail sulle conseguenze della guerra chimica in Vietnam: 150 mila bambini venuti alla luce con gravissime malformazioni o affetti da cancro e diabete già alla nascita.
Una cosa comunque è certa: che le possibilità di dimostrare l’uso effettivo delle armi chimiche  ci sarebbe eccome anche a molti giorni di distanza dagli eventi e nonostante i tentativi di confondere le acque. Esiste a tal punto che un’analisi anche superficiale sarebbe in grado di svelare se l’eventuale gas arriva dalla Russia oppure dagli Usa o da qualche Paese europeo o ancora da qualche più artigianale fabbricante di morte. Cosa che di certo solleverebbe qualche imbarazzo. Ma l’atteggiamento riportato dal Wall Street Journal ci fa capire bene gli ultimi sviluppi di ieri e cioè che l’ultima cosa a cui si pensa è l’accertamento dei fatti, che ci troviamo di fronte a una verità prefabbricata destinata ad essere usata come pretesto e che trasforma in menzogna strumentale anche una possibile realtà. Che qualunque cosa possano scoprire gli ispettori dell’Onu non conterà nulla di fronte alla evidente volontà di intervenire, come del resto è stato per l’Irak.
Il premio nobel per la pace, dopo una serie impressionante di disastri, minaccia dunque la guerra e una guerra di quelle che hanno ampiamente dimostrato la loro perversa inutilità finendo per creare situazioni ancora più drammatiche di quelle che ufficialmente volevano sanare. Per la Siria non si è fatto nulla fin dall’inizio della guerra civile e adesso Obama si trova di fronte a due prospettive: o subire la permanenza del feroce Assad nel frattempo legatosi alla Russia e dall’Iran, oppure assistere  alla vittoria dei ribelli ormai egemonizzati dell’integralismo islamico. L’intervento dunque si rende necessario per tornare a contare qualcosa in Siria, per rimettere in gioco gli Usa e e determinare gli esiti di una futura pacificazione. Per riavere qualche voce in capitolo, senza rendersi conto dei guasti che ciò comporta, senza accorgersi che ogni invasione, no fly zone, scarica di missili, rappresenta una sconfitta futura oltre che la palpabile dimostrazione di una leadership così usurata e in declino da potersi fondare solo sulle armi.

sabato 24 agosto 2013

ALBERTO CAPECE

Fronte popolare contro il Monopoly

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Colpevolmente ero stato indotto a pensare che il Pd si fosse completamente convertito al liberismo al punto di provare persino fastidio – come accade a Boccia – al solo sentire parlare di eguaglianza ed equità. Che insomma avesse buttato alle ortiche persino le briciole della socialdemocrazia aderendo in tutto al modello di capitalismo finanziario che sta strangolando diritti edeconomia reale.
Ma mi ero clamorosamente sbagliato, infatti sette deputati democratici e per di più appartenenti alla corrente di quel Renzi che si accompagna alla finanza come Linus alla coperta, gliel’hanno cantata chiara ai padroni del vapore, senza paura e senza peli sulla lingua: hanno infatti scritto all’ambasciatore Usalamentandosi del fatto che nella nuova versione del Monopoli le proprietà immobiliari  di via Giardini e compagnia sono state sostituite con pacchetti azionari. Questo secondo i magnifici sette sarebbe diseducativo: come vi permettete di proporre una cosa simile in un Paese che ha una Borsa bonsai e invece la maggior densità di generosi palazzinari per metro quadro?
Ora non si capisce bene cosa c’entri l’ambasciatore statunitense con il monopoli, (mentre si intende benissimo quale ruolo possa avere nel pompare quei catorci di F35) e quindi c’è il leggero sospetto che in mancanza di cose da dire e da pensare ci si arrangi anche con queste corbellerie da Almanacco di Topolino, con tutto il rispetto per i livre de chevet di Renzi. Però diciamolo, fa piacere la ribellione all’impero della finanza, anche se ciò espone Renzi alle accuse del Corriere di Detroit di essere un po’ troppo a sinistra.
Un po’ mi è dispiaciuto che i sette deputati non abbiano preso in considerazione la presenza degli ori nelle carte napoletane, perché quel settebello è davvero diseducativo e potrebbe portare le nuove generazioni a pensare che il lavoro vada giustamente retribuito, quando invece bisognerebbe attribuire maggiore importanza a picche e bastoni. Ma insomma non si può pretendere tutto dalla vita: l’importante è che in qualche modo si reagisca, si faccia capire che siamo disposti a qualsiasi sacrificio, ad abolire le pensioni e il welfare, a far precipitare i salari, a distruggere la scuola, a rendere tutti i precari, ma per Dio il Monopoli con le azioni al posto delle case proprio no.
Alla fine non possiamo non apprezzare il fatto di avere parlamentari che valgono quanto i soldi del Monopoli, anche se stranamente non li accettano in pagamento della loro preziosa attività.

ANNA LOMBROSO

Il buio oltre gli spalti

0ITWSARA--280x190Anna Lombroso per il Simplicissimus
Chissà se qualcuno dei molti, sdegnati per le ingiurie alla ministra, nell’anonimato della curva sud parteciperà nella prima giornata di campionato  ai cori razzisti degli stadi, in cuor suo, si adombrerà per i successi di oriundi colorati, gioirà per i falli ai danni del bresciano Balotelligrazie alla licenza dalle regole di civiltà che vige in quella terra di nessuno che è la passione calcistica, svincolata dalla retorica dello sport  come esercizio di uguaglianza, bon ton e rispetto reciproco – che si sa, la squadra del cuore è una fede e come tale consente integralismi e fondamentalismi.
È perfino banale osservare che insieme alla paura dell’altro da sè, il razzismo si accompagna a indistinti complessi di inferiorità e insicurezze del proprio valore e della propria identità. E che se italiani brava gente pensano sianaturale e lecito ubbidire a infami leggi razziali, attuare misure anche individuali di segregazione, perpetrare inammissibili offese all’umanità, provano di certo una gran soddisfazione nel pigliarsela con chi è “arrivato”, si è affermato per meriti o qualità, sta meglio di loro, guadagna di più, incontra consenso e favori popolari, emancipandosi dalla mediocrità e dalla povertà, vecchia o nuova.
La Ministra Kyenge d’altra parte è una figura simbolica per questi particolari e diffusi cretini:  nera e donna,  rappresenta l’obiettivo simbolico per antonomasia del pregiudizio degli uomini nei confronti delle donne, di tutti nei confronti dei diversi  il cui braccio armato è appunto il razzismo, quell’ideologia che unisce gli uguali contro i differenti e che anima  parole, agita gli atti e, quando può, il potere della legge per realizzare il piano di ripulire la società degli indesiderati. Un’ideologia che raccoglie adepti con facilità perché facile da  tradurre  con le parole dell’ignoranza animale, istintiva.
In realtà è vero proprio il contrario:  xenofobia  e razzismo  si sono sostenuti da costruzioni sociale, frutto delle relazioni di potere tra dominatori e dominati per  accreditarle come così spontanei da farle accettare senza sforzo. E i target, grazie alla potenza di messaggi che si riferiscono a malintesi   principi e scienze naturali , sono tanti: l’eterosessualità è la norma; la razza bianca è biologicamente e intellettualmente superiore; il genere maschile ha una naturale disposizione alla leadership; i settentrionali sono più attivi  e  dinamici, in modo da rafforzare il senso della tribù, o meglio del branco,  per favorire l’esclusione  di altri, altre, diversi, stranieri.
Attecchiscono e prosperano negli stadi, nelle curve sud, in movimenti grazie all’amalgama che accomuna ignoranti, insicuri, velleitari, codardi, inetti, fa da codice  di identificazione e riconoscimento.  Genera emulazione e unisce soprattutto in paesi molto disgraziati,  che hanno promosso la legittimazione dei postfascisti e di un partito esplicitamente xenofobo, facendo  sì che il razzismo non sia più un tabù. Al contrario suscitando e alimentando i peggiori istinti, una volta riposti, rimossi, nascosti, autorizzati a venire alla luce come difesa ammessa dall’invasione di indesiderabili che  minacciano la composizione sociale. Paradossalmente in un Paese che si è lasciato espropriare della sovranità, si nutre il nazionalismo, in una narrazione pubblica che parla di globalizzazione,  si favorisce l’isolamento. E  un popolo costretto dal ricatto alla rinuncia dei diritti, sembra irrobustirsi dalla pratica comune di soffocare quelli di chi arriva come pèer un aberrante risarcimento.
Quando invece l’unica arma, l’unica forza consisterebbe nell’unità di reietti, poveri, emarginati, espropriati,   in cori capaci di cantare l’antica canzone della bellezza e della potenza dell’umanità.

venerdì 23 agosto 2013

MASSIMO D'ALEMA - ALBERTO CAPECE

Me ne faccio un Baffino

massimo-dalema-silenzioSu una cosa Massimo D’Alema ha ragione: sul pessimo ruolo dei media che raccontano al 70% delle bugie. Infatti se raccontassero tutta la verità o quanto meno non avessero il complesso dell’inginocchiatoio nei confronti del potere e delle carriere, Massimo d’Alema sarebbe già da decenni un capitolo chiuso. Invece, nonostante un’intera vita di sconfitte che hanno consegnato il Paese nelle mani del berlusconismo, nonostante non sia più in Parlamento è ancora protagonista della vita politica.
Se i giornali non fossero espressione diretta di interessi e potentati, come afferma Baffino, nessuno si sarebbe curato delle sue parole pronunciate davanti a un’ottantina di persone alla festa del Pd di Taizzano, luogo non distante dalle sue celebri vigne da cui si trae un banale Cabernet di nome Sfide, finanziato con 57 mila euro dalla Ue. Per non parlare di quell’altro vigneto, la Fondazione Italiani europei, che vendemmia benissimo in quel territorio opaco dove affari, politica e appalti convergono in letizia. Invece parla D’Alema, quello che si era tirato fuori ed ecco che spuntano i titoloni.
Adesso il lupo di mare, il gentiluomo del Papa, con una superba giravolta vuole Renzi premier e il “suo” Cuperlo alla segreteria. Non contento di aver ammorbato questo Paese persino con le cozze al caffè del suo chef di riferimento, il suo omologo in cucina, è ancora lì che tira i fili e detta legge grazie alla fondazione. Però si schermisce: “francamente chi parla della corrente dalemiana dice una scemenza. I dalemiani non esistono. E comunque neppure io ne faccio parte”.  E se invece fossero i dalemiani ad esistere e proprio lui a non esistere? Chi lo sa, ma di certo se l’informazione fosse degna del nome, la cronaca da Taizzano conterebbe una sola parola:  machissenefrega.

ALBERTO CAPECE...

Comincia lo striptease del Pd davanti a Silvio

Un sondaggio fatto da un noto sito di informazione online, Globalist, fa capire che ormai gli italiani scampati alla fede berlusconica, stanno mangiando la foglia: il 70 per cento  ritiene che in qualche modo l’ex cavaliere scamperà all’incandidabilità, vuoi per i franchi tiratori o per l’intervento di Napolitano o per cedimento del Pd stesso, mentre solo il 30% pensa che la legge Severino verrà rispettata.
E’ un’opinione più che fondata visto che ormai ci sono primi segni della calata di braghe, affidati per ora ai personaggi marginali intenti a cercare ragioni di opportunità nella salvezza di Silvio o a provare arrampicate sugli specchi per trovare inesistenti spazi nella legge Severino: come tutti gli strip tease che si rispettino, si comincia da particolari di vestiario lontani dall’epicentro, ma tutti sanno dove si va a finire.  E in ogni caso c’è un apripista d’eccezione, quel Luciano Violante a cui Silvio dovrebbe erigere un monumento equestre o quanto meno trovare un posto nel mausoleo di Arcore: il talebano dell’inciucio fa sapere che bisognerà soppesare con molta attenzione (e benevolenza) le argomentazioni di Andrea Augello, relatore pidiellino alla giunta del Senato.
In circa 8 mesi si è passati dal Berlusconi delinquente al mai con Berlusconi, al con Berlusconi per necessità, a non facciamo cadere il governo per “incandidare”Berlusconi. Manca solo il viva Berlusconi, ma tranquilli che ci si arriverà. Del resto quando si inizia a scivolare su un piano inclinato è difficile frenare la corsa e il Pd ha comiciato dal 2010 a dare chiari segni di volersi a tutti i costi conservare un “nemico” ormai assolutamente necessario a raccogliere voti.
A parte tutti i ricatti esercitabili dal tycoon, praticamente su tutto l’establishment, a parte la senescenza del Colle, a parte la sostanziale consociazione, gli apparati del Pd sanno bene che Berlusconi è il grande sterilizzatore della vita politica, l’uomo che catalizza l’attenzione e crea una guerriglia civile sul suo nome, senza che però questo corrisponda a reali differenze di visione e azione. Perdere Berlusconi per il Pd significherebbe la fine come partito contenitore, la diaspora delle sue componenti e la creazione di nuovi soggetti politici. Dunque finiranno per salvarlo, sapendo di salvare solo se stessi dopo tanti tradimenti dell’elettorato. E più lo salvano, più sono costretti a salvarlo. Ormai da questo circolo vizioso non si esce. E’ per questo che di fronte a Silvio non sono solo le olgettine a calarsi le braghe.

lunedì 19 agosto 2013

BEPPE GRILLO

Passaparola- La lunga trattativa Stato - Mafia


 | 

Intervista a Giovanni Fasanella
(26:00)
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Con le stragi del 92 – 93 i boss di Cosa Nostra lanciarono dei messaggi e tra questi la richiesta di ammorbidire il regime del carcere duro previsto dal famoso articolo 41 bis. In una lettera inviata al Presidente della Repubblica Scalfaro lo chiedevano esplicitamente.
I cappellani penitenziari fecero da intermediari tra Cosa Nostra e lo Stato per ottenere l’alleggerimento del carcere duro per i boss mafiosi in cambio della cessazione della strategia terroristica della mafia.
Ci fu poi tutto un altro contesto su ciò che avvenne tra Cosa Nostra, gli apparati della guerra clandestina contro il comunismo, organizzati durante la guerra fredda e i loro referenti italiani, ma forse anche internazionali, e cioè gli anglo-americani con cui avevano stretto un patto ferreo durante la guerra, un patto che era durato fino alla caduta del muro di Berlino e alla fine della guerra Fredda.Giovanni Fasanella
Il Passaparola di Giovanni Fasanella, giornalista
Un saluto a tutti gli amici del blog. Io mi chiamo Giovanni Fasanella, sono un giornalista che da molti anni tenta di ricostruire aspetti nascosti della storia italiana recente e passata, nascosti perché occultati , occultati perché aspetti troppo imbarazzanti per poter essere raccontati, detti, all’opinione pubblica.
Il tema del libro è la trattativa Stato – mafia, che sarebbe avvenuta tra il 1992 e il 1993, negli anni del crollo della prima Repubblica, di Tangentopoli, delle bombe, delle stragi, degli omicidi eccellenti di Falcone e Borsellino. Ma non è una ricostruzione di tipo giudiziario, anzi il presupposto del libro è che la verità giudiziaria fino a ora raggiunta è assai fragile e che anzi lo strumento dell’inchiesta giudiziaria non sia adatto da solo a ricostruire uno scenario così complesso e complicato com'è quello che ha prodotto nel corso degli anni l’intreccio perverso, patologico, tra lo Stato, le istituzioni, l’economia, la politica e la mafia.
La mafia non è solo una organizzazione di malavitosi, è una forma di potere che trova la sua legittimazione, la sua linfa vitale, la sua capacità di auto-riprodursi, proprio nelle relazioni intrecciate con il potere nel corso della nostra storia unitaria.
La mafia moderna nasce con l’Italia unita. Garibaldi sbarca in Sicilia grazie anche all’aiuto dei picciotti, prosegue la sua impresa grazie all’aiuto dei picciotti e nel periodo post-risorgimentale, nell’età liberale la mafia consolida il suo legame con la politica, in uno scambio di favori: voti in cambio di potere e di affari. Inoltre la mafia viene usata dal potere, dallo stato, come un vero e proprio strumento di repressione delle rivolte sociali e del dissenso politico.
In epoca fascista, quando naturalmente sciolti i partiti, sciolte le organizzazioni sindacali, abolita la libertà di stampa, la libertà di pensiero, e quindi ogni forma di protesta e di dissenso, la mafia criminale perde un po' della sua funzione, del suo ruolo e viene smantellata, come una zavorra inutile, da gettare a mare.
Ma l’ "alta mafia", quella delle grandi relazioni politiche, delle grandi relazioni economiche, invece resta fortemente legata al regime fascista e anzi in Sicilia è una delle condizioni che consentono al regime di mantenere il controllo nell’isola.
Per smantellare la mafia criminale, la manovalanza malavitosa, il fascismo usa il prefetto Mori, ne fa un mito, che alimenta la propaganda del regime. In realtà nel libro questo mito viene demolito, perché attraverso documenti, testimonianze si capisce come in realtà il fascismo volle sbarazzarsi dalla zavorra ingombrante, mantenendo, però, un legame molto stretto con l’alta mafia, dall’altro utilizzò il prefetto Mori per regolamento di conti all’interno delle organizzazioni mafiose, tra le famiglie mafiose e quindi per ridisegnare nuovi equilibri.
E questo succede nel '43, quando gli americani sbarcano, gli anglo - americani, sbarcano in Sicilia. Attraverso le famiglie italo americane che già i servizi della marina militare americani avevano coinvolto nella difesa dei porti americani della costa atlantica dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, che aveva cambiato completamente lo scenario della seconda guerra mondiale, l’America entrò direttamente in guerra e si preoccupò innanzitutto di difendere i suoi porti. E per difendere i suoi porti della costa Atlantica utilizzò le famiglie mafiose italo americane e poi attraverso le famiglie mafiose italo americane stabilì un contatto con le famiglie di Cosa Nostra in Sicilia.
E grazie al contributo dei boss siciliani gli anglo - americani sbarcarono in Sicilia senza troppi problemi, perché la mafia aveva provveduto a creare le condizioni logistiche per lo sbarco e anche quelle di intelligence, fungendo da vero e proprio servizio di informazione dell’esercito alleato.
Liberata la Sicilia mentre gli anglo - americani salivano verso nord, verso la linea gotica, lo scenario cambiò di nuovo. Ufficialmente era una guerra combattuta contro il nazifascismo, ma in realtà dentro a questa guerra se ne combatteva un’altra, la guerra contro un nuovo nemico che si stava già profilando, nel 44, e cioè il comunismo, il comunismo sovietico, che era particolarmente aggressivo e aveva una sua quinta colonna molto forte e attiva sia sul piano militare che su quello politico in Italia, e era il Partito Comunista.
Quindi gli anglo americani si posero il problema di costruire già nel 44, nell’ultima fase della guerra, si posero il problema di come creare le condizioni per fronteggiare il nuovo nemico del dopoguerra.
E così strinsero un patto con le famiglie mafiose e non solo con le famiglie mafiose, inglobarono nei loro apparati anche molte organizzazioni, molti uomini e organizzazioni dell’esercito nazista e della Repubblica sociale, e crearono in Sicilia un vero e proprio apparato per la guerra clandestina contro i comunisti, un apparato militare segreto che si fondava proprio sulla alleanza strettissima tra servizi angloamericani, ex organizzazioni della Repubblica sociale e cosche mafiose.
In cambio dell’aiuto dato agli anglo americani la mafia naturalmente ottenne dei benefici enormi.
L’ultimo atto di Re Umberto prima di abdicare fu la approvazione del decreto che istituiva la regione autonoma siciliana, insieme a quel decreto vennero creati tutti una serie di enti, economici, finanziari, che vennero di fatto assegnati alla mafia e quindi la mafia riuscì a creare i presupposti per il suo potere economico, per il suo dominio politico e economico sulla Sicilia.
Questo equilibrio venne poi blindato addirittura attraverso il trattato di pace del 1947, il trattato di pace imposto dalle forze vincitrici della guerra, americani e inglesi, alla nazione sconfitta, l’Italia, trattato di pace in cui c’era una clausola aggiuntiva, aggiuntiva perché inserita all’ultimo momento, addirittura a pena, in cui si imponeva al governo italiano di garantire l’impunità ai cittadini del nostro paese che avevano aiutato gli anglo americani dal 1943 al 1947. Quindi anche i boss mafiosi utilizzati per lo sbarco. E tra i documenti allegati c’era un elenco di persone a cui l’Italia, il governo italiano, non avrebbe dovuto torcere un capello, e tra questi c’erano molti personaggi che nei decenni successivi sarebbero diventati gli uomini più potenti e più noti di Cosa Nostra.
Fu in questo modo che quell’equilibrio creato durante gli anni della guerra, tra il 43 e il 1945 in Sicilia venne difeso, blindato, perché serviva durante la guerra fredda in funzione anticomunista.
Organizzazioni mafiose e organizzazioni neo fasciste vennero inglobate nel sistema difensivo clandestino, segreto, anticomunista, quel sistema per la guerra non ortodossa che funzionò durante l’intero arco della guerra fredda, fino alla caduta del muro di Berlino.
Quando il muro di Berlino cadde si creò un vuoto, perché il sistema della guerra clandestina, di cui mafia e neo fascisti facevano parte del suo ruolo e con tangentopoli e con le inchieste della magistratura che decapitarono l’intero ceto politico anticomunista della prima repubblica questo mondo che durante la guerra fredda era stato utilizzato contro i comunisti e per mantenere il controllo totale, assoluto, sulla Sicilia che in quel contesto aveva un ruolo strategico di fondamentale importanza, quel sistema, dicevo, si trovò improvvisamente privo di rappresentanza politica e delle protezioni politico – istituzionali e internazionali di cui aveva goduto fino a quel momento.
Fu allora che si ruppe qualche cosa! Quelle forze che avevano partecipato, compresa la mafia, che avevano partecipato alla guerra segreta contro i comunisti spaventate dall’iniziativa della magistratura e dal pericolo che gli ex comunisti che avevano combattuto per quasi 50 anni potessero ora conquistare il potere si attivarono, si mobilitarono e lasciarono segnali, chiesero di essere difesi, chiesero di rinegoziare, di fatto, il vecchio patto del 43 – 47, e lo fecero nel modo più brutale, attraverso omicidi eccellenti, attraverso le bombe, le bombe del 92 – 93.
Con le stragi del 92 – 93 i boss di Cosa Nostra lanciarono dei messaggi e tra questi la richiesta di ammorbidire il regime del carcere duro previsto dal famoso articolo 41 bis, in una lettera inviata al allora Presidente della Repubblica Scalfaro lo chiedevano esplicitamente e nel libro attraverso molte testimonianze racconto quello che avvenne intorno al 41 Bis, come attraverso la mediazione dei cappellani penitenziari, utilizzati tra l’altro in un’altra delicatissima missione qualche decennio prima all’epoca del sequestro di Aldo Moro, utilizzati dal Vaticano per trattare con la liberazione con le brigate rosse la liberazione di Moro, che cosa che fecero per 55 giorni, anche se non riuscirono a ottenere il risultato.
Ecco, nel 92 – 93 i cappellani penitenziari si mobilitarono di nuovo per fare da intermediari tra Cosa Nostra e lo stato per ottenere l’alleggerimento del carcere duro per i boss mafiosi in cambio della cessazione della strategia terroristica della mafia.
Ma questo era soltanto un aspetto, ci fu poi tutto un altro contesto che si aprì e riguarda ciò che avvenne tra Cosa Nostra, gli apparati della guerra clandestina contro il comunismo, che erano stati organizzati durante la guerra fredda e i loro referenti, non solo interni, italiani, ma anche e forse soprattutto internazionali, e cioè gli anglo americani con cui avevano stretto un patto ferreo durante la guerra, un patto che era durato fino alla caduta del muro di Berlino e alla fine della guerra Fredda.
Nel libro c’è un lungo capitolo basato su una testimonianza inedita, che io registrai nel 1998 per un altro libro, era dell’ambasciatore Reginald Bartolomew il quale mi diede la sua testimonianza su quella fase critica dell’Italia e sul suo ruolo anche personale nel nostro paese.
Bartolomew mi raccontò la sua storia e la ragione per cui Bill Clinton, appena eletto Presidente degli Stati Uniti aveva deciso di mandarlo in Italia, lui era ambasciatore americano alla Nato a Bruxelles, stava per lasciare quell’incarico, aveva ricevuto un’altra destinazione, Israele, aveva già presentato le sue credenziali al governo Israeliano, ma all’ultimo momento Clinton lo chiamò e gli disse lei non va più in Israele, lei va in Italia.
Quando Bartolomew chiese ma perché proprio io e perché in Italia, si sentì rispondere perché data la situazione che si è creata in Italia a Roma ci serve un professionista come lei, un diplomatico di carriera con il suo curriculum. Allora quando io gli chiesi ma ambasciatore che curriculum ha lei? Lui chiamò la sua segretaria e fece portare un elenco o di cose che aveva fatto, di operazioni a cui aveva partecipato, di missioni che aveva compiuto per conto della amministrazione americana, era stato dal Libano alla Bosnia, della Cina di Piazza Tienanmen alla crisi iraniana, al Golfo Persico, era stato in tutti i teatri di guerra civile con il compito di rimettere le cose a posto e di salvaguardare gli interessi americani.
Lo stesso compito che aveva ricevuto da Clinton per l’Italia.
Lui assunse la sede, si insediò nella ambasciata americana a Roma con il compito di stabilizzare la situazione italiana così difficile e così drammatica.
E questo fece Bartolomew. Una volta stabilizzato il sistema politico italiano e quindi scongiurato il rischio di una rottura territoriale o di una guerra civile, un colpo di stato, un colpo di stato è una espressione che non uso io nel libro, ma è una espressione usata all’epoca da un ministro dell’interno, Vincenzo Scotti e poi in tempi più recenti ripresi dal Presidente del consiglio dell’epoca e poi divenuto Presidente della Repubblica Carlo Azzeglio Ciampi, e quindi una volta salvata l’Italia, diciamo così, da quel pericolo che cosa è avvenuto? Che esattamente come era successo durante il periodo fascista la zavorra criminale della mafia, i boss malavitosi sono stati arrestati a centinaia, ma l’alta mafia ancora una volta si è riciclata! Si è inabissata e è tornata discretamente ai propri affari.
Oggi siamo esattamente in questa situazione.
C’è da domandarsi essere e quanto può reggere un paese, uno stato, che pure avendo liberato grande parte della Sicilia dalle bande criminali mafiose è però fortemente inquinato e condizionato dal potere economico della mafia.
E come potete immaginare è un tema molto scabroso, è un tema su cui molti vorrebbero che calasse definitivamente il silenzio, ma io credo che faccia bene al paese invece conoscere la storia dalla quale arriva.
Passate parola.

sabato 17 agosto 2013

ALBERTO CAPECE

Questa Europa d’egitto

primaveraaraba2L’estate infuocata dell’Egitto ce ne fornisce la prova palmare: l’Europa che escogita marchingegni per confiscare qualsiasi politicadi bilancio e dunque sociale, che impone massacri sociali e chiede agli stati continue cessioni di sovranità, messa alla prova semplicemente non esiste, non ha alcuna sovranità propria. Di fronte alla  drammatica crisi del Cairo, balbetta, non sa cosa fare, cosa dire tanto che solo verso la fine della settimana prossima, se tutto va bene ci sarà, forse, una riunione dei ministri degli esteri. Una lentezza che esprime in realtà la viva speranza che nel frattempo le cose si siano calmate e si possa far a meno di decidere alcunché.
Le telefonate si inseguono tra le cancellerie, ma l’unica cosa che risulta è una teorica volontà di avere un’azione comune mentre partono in ordine sparso i soliti e inutili appelli e già ogni Paese comincia a chiedersi come eventualmente “riesaminare le relazioni ” con l’Egitto ciascuno secondo l’angolazione dei propri interessi. Si perché la parola d’ordine che viene diffusa dai media  è quella di rivedere le relazioni dell’Ue con l’Egitto, ottimo e meritorio intento  che tuttavia si scontra con il fatto che le relazioni dell’Unione con l’Egitto semplicemente non esistono: gli unici veri rapporti sono quelli bilaterali con i singoli stati a parte la zona di libero scambio per i prodotti industriali che fino ad oggi è stato un tentativo di dominare il mercato egiziano, sostanzialmente fallito.
D’altro canto l’inesistenza dell’Europa è nei fatti, visto che al limite potrà avere un ruolo marginale nella concessione di un prestito del Fondo monetariointernazionale di 4,8 miliardi di dollari  finora sospeso perché nessun  governo egiziano si è sentito di sottoscrivere le impossibili condizioni, ovvero  aumento delle tasse e riforma dei sistemi dei sussidi per beni alimentari e carburanti, che incidono per oltre il 40% sulla spesa pubblica. Siamo alle solite. Per il resto ci sono gli Usa che forniscono una media di 3 miliardi e 300 milioni di dollari l’anno, quasi tutti per l’armamento( made in Usa, ovviamente) e l’addestramento, la Cina che è padrona delle telecomunicazioni, del settore energetico e dei parchi industriali, il Quatar e l’Arabia Saudita che forniscono soldi soprattutto per appoggiare i movimenti salafiti (si ipotizzano circa 2 miliardi di euro l’anno nel complesso).  L’Europa in quanto tale concede  150 milioni scarsi l’anno, praticamente spiccioli per alimentare le proprie esportazioni.
Quindi ci troviamo di fronte all’assurdo di a un’Europa che conta poco o nulla e tuttavia si allea all’Fmi nella richiesta di cose che i governi egiziani, già così fragili per via anche della crisi economica, non possono fare, pena nuove rivolte. E qualcosa mi dice che negli ambienti di Bruxelles, la mano dura dei militari non dispiaccia. Chissà magari con un governo che si impegni manu militari ai massacri sociali potranno muoversi – come ventilato dopo la caduta di Mubarak – la Banca europea per gli investimenti (Bei) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Con i soldi dei nostri sacrifici per chiedere sacrifici agli egiziani.

ALBERTO CAPECE


Scalfarotto, il gay omofobo che piace a Pd e Pdl

25702010_le-lgbt-unite-contro-il-nuovo-testo-della-legge-anti-omofobia-0Una volta, quando non esisteva ancora il politicamente corretto si sarebbe parlato di una checca isterica. Isterica non nel senso di una pedissequa ed enfatica imitazione femminile, ma nel senso che il conflitto tra l’essere gay e il senso di peccato o di colpevole diversità che ne deriva non è risolvibile e dà luogo a una futile, ansiosa giostra di idee incoerenti e di comportamenti egotici.  La checca isterica non si nasconde, anzi esterna il suo conflitto, quasi che il super io scegliesse questa forma di fustigazione e di espiazione. Nulla di più pericoloso che affidare la battaglia di libertà degli omosessuali  a tipi del genere che invece di mortificare le loro segrete pulsioni attraverso l’omofobia, sembrano voler mortificare la loro segreta omofobia con l’essere gay.
Ivan Scalfarotto è per l’appunto uno di questi personaggi: gay per natura, omofobo per cultura cattolica, politicamente transessuale e dunque a suo agio nell’ormai informe Pd. E’ stato eletto come paladino dei diritti Lgbt, ma appena seduto sulla poltrona ha pensato bene di acquisire prestigio presso la casta pretendendo per i parlamentari e solo per loro l’estensione della copertura sanitaria anche per i gli eventuali compagni dello stesso sesso. Un puro privilegio che segna la differenza abissale tra essere elettori ed essere eletti che il Marchese Del Grillo  potrebbe magistralmente sintetizzare.
Poi dopo aver formulato assieme a Sel e M5S un progetto di legge contro l’omofobia che estendeva a questo campo la legge Mancino e che dunque comprendeva anche sanzioni per campagne omofobiche e transfobiche, ha cambiato idea, si è spostato su input del partito e dei suoi dirigenti, in campo Pdl e ha proposto con il raffinato nullologo Antonio Leone, un emendamento al testo da lui stesso redatto che in sostanza lo svuota di efficacia. Per di più la definizione originale di reati  «motivati dall’identità sessuale della vittima»  viene sostituita da una dizione apparentemente analoga - «fondati sull’omofobia o transfobia» – che tuttavia ha il piccolo difetto di proporre termini che non esistono nella giurisprudenza italiana e dunque sono praticamente aperti a qualsiasi libera interpretazione. Con tutte le conseguenze del caso.
Come dire facciamo la legge anti omofobia perché dopotutto è una delle pochissime cose in cui possiamo mostrare una qualche microscopica differenza,  ma dietro il fumo cerchiamo di togliere più arrosto possibile per venire incontro al Pdl e alle componenti devote del partito, diamo in qualche modo fiato alla tesi grottesca che l’incitamento all’omofobia o la sua aperta manifestazione non possano essere sanzionate in quando espressione di libertà e in particolare di quella libertà religiosa che impone di considerare l’omosessualità un peccato o una malattia . Ignari loro e Scalfarotto che la libertà che si può esercitare è quella che non colpisce o ferisce gli altri. E’ scritto nell’abbecedario delle elementari ed è scritta in quelle norme che rendono la bestemmia un reato o che sanzionano le ingiurie verso qualcuno. Ma possiamo privarci del governo Letta e degli appoggi vaticani per fare una volta tanto qualcosa di decente, di chiaro, di intelligente? Non sia mai.
Ovvio che tutte le associazioni omosessuali abbiano protestato contro questa sterilizzazione compromissoria,  ma Scalfarotto invece di riconoscere l’errore in cui è stato indotto dal devoto Super Io cattolico e di essere incorso in un gravissimo lapsus freudiano legislativo, invece di liberarsi dall’inciucismo senza se e senza ma del Pd,  accusa tutti di voler combattere una guerra “di sterminio” contro i cattolici. Addirittura. Questo alla fine è checchismo isterico allo stato puro: mica è un’offesa, è libertà di pensiero.

venerdì 16 agosto 2013

LIMES - EGITTO


LIMES - EGITTO

di Lucio Caracciolo
RUBRICA IL PUNTO In Egitto i Fratelli musulmani hanno fallito, ma quelli che secondo noi sono meno distanti dai valori democratici si sono affidati a un golpe militare per rimuovere i vincitori di tutte le elezioni democratiche dell'era post-Mubarak. [articolo pubblicato su la Repubblica il 5/7/2013]


[Carta di Laura Canali]
Se nei paesi della "primavera araba" vuoi far votare il popolo, preparati a un probabile governo islamista.

Se non vuoi gli islamisti, vai sul sicuro e non far votare il popolo. Se poi il popolo ha votato e rivotato gli islamisti e tu sei abbastanza certo di non poter mai vincere un’elezione, scatena la piazza, accendi la mischia e chiama i militari a scioglierla.

Questa regola, sperimentata nel 1991-92 in Algeria, quando dittatori più o meno utili alla causa occidentale punteggiavano la galassia araba, è confermata oggi in Egitto. Dove il fallimentare esperimento dei Fratelli musulmani, incarnato dal presidente Mohammed Morsi, è stato liquidato per vie brevi dal potere militare, invocato da Piazza Tahrir e dintorni.

Paradosso: coloro che - con qualche ottimismo - consideriamo meno distanti dai valori democratici, si affidano al colpo di Stato per affermarsi sui vincitori - certo non inclini al modello Westminster - di tutte le elezioni più o meno democratiche tenute in Egitto dopo la caduta di Mubarak.

Ma il generale Abdel Fatah al-Sisi, capo delle Forze armate e quindi del massimo conglomerato economico nazionale, non intende intestarsi la responsabilità di un paese ingovernabile. Dal suo cappello ha quindi estratto il presidente della Corte costituzionale, Adly Mansour, cui è stato affidato ad interim il portafoglio di Morsi, in vista della formazione di un altrettanto provvisorio governo che dovrebbe preparare nuove elezioni.

Siccome errare è umano, perseverare diabolico, s’immagina che se e quando gli egiziani saranno richiamati alle urne, verranno prese le opportune misure perché il risultato non costringa i militari a ulteriori chirurgie d’urgenza. Magari adottando il suggerimento del celebre scrittore dentista Ala al-Aswani, icona degli intellettuali “liberali”, per il quale conviene negare il diritto di voto agli analfabeti, ossia a un egiziano su quattro - una donna su tre.

Ciò che ai militari interessa è il controllo del vasto apparato produttivo di cui sono i capofila, la gestione in perfetta autonomia del proprio bilancio e la garanzia del supporto finanziario americano: quasi un miliardo di dollari e mezzo all’anno.

Ma per intascare questa tangente - il prezzo che gli americani pagano per potersi considerare azionisti di riferimento dei militari egiziani, a tutela della sicurezza di Israele - ad al-Sisi occorre che il governo sia presentabile al peraltro assai geopolitico vaglio di legalità del Congresso Usa. Di qui lo sbarramento semantico del generale, che mentre metteva agli arresti domiciliari il primo presidente democraticamente eletto del suo paese e colpiva d’interdetto la Fratellanza musulmana, lanciava i blindati nelle piazze e censurava i media ostili, curava di comunicare che non era in corso alcun colpo di Stato.

Il golpe che non si può definire tale non elimina certo le cause che l’hanno originato. Il rebus egiziano resta insoluto nelle sue componenti economica, politica e socio-culturale.

L’Egitto è sull’orlo del collasso, con la lira in picchiata, le casse dello Stato vuote,la disoccupazione galoppante, turismo e rimesse degli emigrati ai minimi termini. Non sono bastati i pelosi oboli dell’emiro del Qatar - interessato a mettere le mani sul Canale di Suez - e di altri finanziatori affini alla galassia della Fratellanza musulmana a impedire che la crisi precipitasse, finendo per esasperare buona parte della popolazione, insofferente per la mala gestione di Morsi e associati.

Il campo politico è polarizzato e paralizzato. I Fratelli musulmani, dopo 85 anni di opposizione semiclandestina, si sono rivelati incapaci di convertirsi in forza di governo. Si sono illusi che bastasse vincere le elezioni per governare. E nelle componenti più conservatrici, di cui Morsi è espressione, hanno immaginato di poter non troppo gradualmente imporre la propria agenda al resto del paese.

Quanto alle opposizioni, che vanno dalla sinistra radicale agli ipernazionalisti, dai (pochi) liberali occidentalizzanti agli avanzi (corposi) del vecchio regime - le notizie sulla sua morte si confermano premature - non hanno mai considerato Morsi un presidente legittimo, o con il quale si potesse comunque stipulare un compromesso. Per tacere della galassia salafita, che conta di profittare della sconfitta dei Fratelli per ingrossare le proprie file.

L’eco del golpe egiziano risuona in tutta la regione e nel mondo. Esulta il presidente siriano al-Asad, contro il quale Morsi, in uno dei suoi molti gesti inconsulti, aveva chiamato alla guerra santa. Protesta inquieto il leader turco Erdoğan, finito a suo tempo in galera nell’ultimo “golpe bianco” delle Forze armate kemaliste, vieppiù allarmato dalrimpallo non solo mediatico fra Piazza Taksim e Piazza Tahrir.

E gli americani, che tanto avevano puntato sui Fratelli musulmani allo scoppio delle “primavere”? A Obama va bene tutto, purché sia scongiurato il fantasma dell’ennesima guerra civile, a massacro siriano ancora in corso, che rischierebbe di risucchiare gli americani nei conflitti mediorientali da cui cercano in ogni modo di districarsi, per dedicarsi alla sola priorità: la Cina.

I prossimi mesi ci diranno se dall’intervento delle Forze armate egiziane potrà scaturire la pacificazione fra le principali componenti politico-religiose, islamisti inclusi. Oppure se le opposizioni approdate al governo sull’onda della piazza anti-Morsi e dei carri armati di al-Sisi vorranno continuare nella prassi dei Fratelli, solo a segno rovesciato: il potere è tutto nostro, guai a chi lo tocca.

In tal caso, la reazione violenta degli islamisti frustrati è scontata. Battesimo ideale per l’ennesima leva jihadista.
(5/07/2013)

venerdì 9 agosto 2013

ALBERTO CAPECE MINUTOLO ...

Pensioni d’oro: i diritti acquisiti valgono solo per i ricchi

Pensioni-d-oro-Germania-e-Italia-a-confronto-500x312E’ come un incubo febbrile: tutte le estati il Paese riscopre il problema delle pensioni d’oro contrapposte a milioni di pensioni da fame. Tutte le estati si discute animatamente una settimana e poi si ripone il problema nel cassetto. Quest’anno qualcuno ha anche scoperto che altrove – come in Germania, per esempio -la forbice delle pensioni è molto più ristretta che da noi come dovrebbe essere ovvio: se le differenze di retribuzione sono giustificate da una differenza nel lavoro, che senso hanno quando ci si mette a riposo e quel lavoro non lo si svolge più?
Infatti quello che da noi colpisce è che non ci sono solo le pensioni d’oro, ma anche quelle d’argento, di rame, di peltro che galleggiano fiere sul mare di quelle di merda, che nei trattamenti di quiescenza come burocraticamente si  chiamano, si conservino e si acuiscano tutte le disuguaglianze sociali, le iniquità si mostrino spogliate dagli orpelli ed emerga il panorama di una società arcaica e ingiusta. Con il passaggio al sistema contributivo, tutto si è immiserito, vaste fasce sociali sono state di fatto private della pensione anche se ancora non lo sanno, ma le differenze tra i vlasti, i garantiti, chi ha guadagnato bene nella propria vita e chi ha invece fatto fatica vengono sottolineate e moltiplicate rispetto al sistema retributivo. Se come nella vicina Germania si ponesse un tetto di 3500 euro sulle pensioni, si potrebbero risparmiare non meno di 12 miliardi l’anno ed elevare a 1000 euro le pensioni sociali e minime con immediati benefici sull’economia.
Certo il discorso sarebbe lungo perché ciò che è entrato in crisi è la pensionecome parte essenziale del welfare, divenendo un risparmio forzoso che nell’era della precarietà servirà solo a dare una mancia nemmeno di sopravvivenza alla maggior parte della popolazione. Qui mi vorrei concentrare sul fatto che ogni intervento sulla riduzione delle pensioni d’oro viene escluso come una lesione di diritti acquisiti: politici e Corte Costituzionale (tutti tra l’altro direttamente interessati alla questione) sono corali su questo: i primi con la circolarità ipocrita della ricerca di consenso, i secondi con le sentenze. Naturalmente hanno ragione, ma è proprio qui che si rivela la sostanza iniqua della società italiana: perché la riforma Fornero andava proprio a toccare e ad eliminare i diritti acquisiti di milioni di persone, di gente che ha fatto delle scelte di vita e di lavoro in vista di un trattamento pensionistico che è stato improvvisamente cambiato. E questo non coinvolge solo gli esodati che sono solo un caso speciale di cialtroneria dentro un patto sociale spezzato e buttato alle ortiche..
Però in questo caso, trattandosi di persone senza potere e prive di una vera rappresentanza politica, il discorso dei diritti acquisiti non si è nemmeno affacciato all’orizzonte, non c’è stata Corte Costituzionale e nemmeno l’inutile ipocrisia da consenso  di qualche onorevole: è sembrato del tutto naturale che i diritti acquisiti di cittadini senza rilievo di casta, di clan, di censo, di clientela o di visibilità venissero calpestati e aboliti. A volte nemmeno le stesse vittime se ne sono sorprese, pur essendo travolte, incazzate, inviperite. E allora diventa chiaro che qui non si parla tanto di diritti acquisiti, ma di diritti senza altri aggettivi: diritti che solo una minima parte della popolazione possiede ancora, mentre la stragrande maggioranza ne è privata con la scusa della necessità. Chi ha di più se lo tiene e chi ha poco viene man mano depredato anche di quello: non è uno scandalo, è la linea politica di questi anni.

EUSTEMA - CISL - BONANNI


BUSINESS RICCO MI CISL FICCO - I SUPER RICAVI DEL SINDACATO DI BONANNI CON GLI APPALTI PRESI DALL’ENTI PREVIDENZIALI

Per Eustema, la società informatica controllata dal sindacato di Bonanni, i risultati sono in crescita grazie ai maxiappalti degli enti previdenziali per l’aggiornamento dell’infrastruttura tecnologica: un giro d’affari da 44 mln € - Fino a marzo tra gli azionisti figuravano due non meglio precisate fiduciarie…

Stefano Sansonetti per "La Notizia"
Raffaele BonanniRAFFAELE BONANNI
La crisi economica, a quanto pare, non morde tutti. Anzi, sembra essere totalmente inoffensiva nei confronti della Cisl. Già, perché il sindacato oggi guidato da Raffaele Bonanni, grazie alla società informatica Eustema, ha aumentato alla grande il suo giro d'affari. Qualche esempio? Nel 2007, anno di esplosione della crisi, Eustema aveva messo a segno ricavi per 34,6 milioni di euro.
Alla fine del 2012, in base all'ultimo bilancio depositato dalla società, siamo arrivati a 44 milioni. Un aumento del 27% proprio mentre l'economia nazionale (e mondiale) collassava. Di più, perché anche gli utili della società hanno dato ottimi risultati. Nel 2010 ammontavano a 1 milione 77 mila euro, poi diventati 1 milione e 192 mila euro nel 2011 e 1 milione e 522 mila euro alla fine dell'anno scorso. Davvero niente male.
Raffaele BonanniRAFFAELE BONANNI
LA SOCIETÀ
Eustema fa capo per il 35,5% del capitale alla Finlavoro, una spa riconducibile direttamente alla Cisl. In entrambe siede come consigliere di amministrazione Donatello Bertozzi, uomo di massima fiducia di Bonanni. Buona parte del restante capitale di Eustema, invece, fa indirettamente capo agli stessi manager della società. Ma qual è il segreto del suo successo?
Semplice. Basta leggere l'ultimo bilancio 2012 per rendersi conto che una fetta consistente del giro d'affari deriva direttamente dall'Inps, l'Istituto nazionale di previdenza socialeguidato da Antonio Mastrapasqua. Il fatto è che Eustema, nel corso degli ultimi anni, si è aggiudicata un mucchio di appalti pubblici, andando ad attingere soprattutto dalle parti degli enti previdenziali.
Mastrapasqua AntonioMASTRAPASQUAANTONIO
documenti contabili recentemente approvati dalla società contengono un elenco dettagliato di tutte le fatture emesse nell'ultimo anno nei confronti dei clienti Inps e Inpdap (il quale però è nel frattempo confluito nel medesimo Inps). Per l'Istituto di Mastrapasqua, Eustema ha curato l'aggiornamento dell'infrastruttura tecnologica presentando nel corso dell'anno un conto da 1,2 milioni. Per il servizio di riuso dei software applicativi dell'Inpdap la fattura è stata di 3,8 milioni.
Ancora, per un servizio di abilitazione dell'Inps "al nuovo ruolo nel sistema Welfare" il conto presentato da Eustema ha raggiunto i 4 milioni di euro. Poi ci sono i servizi di adeguamento del software applicativo Inps per altri 1,4 milioni. Infine la realizzazione di vari progetti di sicurezza applicativa, sempre per l'Inps, ha portato a una fattura di 4,5 milioni. E questo solo per limitarsi ai lavori eseguiti nel corso del 2012.
Mastrapasqua AntonioMASTRAPASQUA ANTONIO
Per carità, tutti gli appalti sono stati ottenuti da Eustema a seguito di una procedura di gara. Di certo il "canale" con l'Inps in questi anni si è dimostrato molto remunerativo. Ma non si tratta dell'unico cliente istituzionale della società informatica. Sempre nel 2012 Eustema si è aggiudicata due maxiappalti dell'Inail. L'ultimo, predisposto all'epoca dalla Consip (la centrale acquisti del ministero dell'economia) per la manutenzione e lo sviluppo dei siti internet dell'Inail, ha visto Eustema vincere in coppia con Accenture. Il tutto per una torta che complessivamente vale 14 milioni.
Mastrapasqua con moglieMASTRAPASQUA CON MOGLIE
RIVOLUZIONE TRA GLI AZIONISTI
Che poi, negli ultimissimi mesi, l'azionariato di Eustema ha subìto un bel po' di scossoni. Il tutto, guarda caso, dopo l'inchiesta con cui La Notizia (vedi il numero del 12 marzo scorso) aveva svelato la presenza di non meglio precisate fiduciarie. Il secondo azionista di Eustema, dopo Finlavoro, risulta ancora oggi la società Innovazione Lavoro, con il 33,6% del capitale. A marzo, però, questa società era partecipata al 99% della Cisl, per il tramite del Laboratorio del lavoro.
Adesso, invece, la Innovazione Lavoro risulta al 49% della Marises srl, società costituita il 18 aprile del 2013 e riconducibile a Stefano Buscemi, manager di Eustema. Il restante 51%, invece, è detenuto dalla E-World Consultants, società che è in possesso (allora coma ora) di una partecipazione diretta in Eustema del 28,8%. In questo caso la novità è che è completamente cambiato l'azionariato di E-World Consultants.
segretario CISL raffaele bonanni lapSEGRETARIO CISL RAFFAELE BONANNI LAP
A marzo la società faceva capo a due fiduciarie: l'Unione Fiduciaria, formalmente riconducibile al mondo della banche popolari, e la Fiduciaria Servizio Italia, controllata dai francesi di Bnp Paribas. La Notizia aveva sollevato la questione della presenza in Eustema delle fiduciarie, di fatto strumenti utilizzati per "schermare" i veri proprietari. Ebbene, dopo gli articoli la fiduciarie sono state tolte di mezzo e la E-World adesso risulta al 100% di Enrico Luciani, ad di Eustema, e di alcuni suoi parenti.
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