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giovedì 22 ottobre 2015

SANITA'

A STRAGE DEL SANGUE INFETTO. IMPUTATI INCAPACI? GIUSTIZIA KILLER


10 luglio 2015 autore: Andrea Cinquegrani



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Più di seicento morti e uno stato del tutto assente. Una giustizia inerte. Incapace di processare i colpevoli di una strage. Che ora vivono nella più perfetta impunità. E per non rispondere dei loro reati ora si dichiarano “processualmente incapaci”.
Kafkiana, ai confini della realtà la storia del “sangue infetto”, il traffico di emoderivati portato avanti per anni dalle multinazionali e che ora, finalmente, è arrivato alle battute decisive, con un processo che dovrà vedere alla sbarra il re mida della sanità, l’ex super manager di stato Duilio Poggiolini, e il numero uno delle fabbriche del sangue, Guelfo Marcucci. Il procedimento è in corso a Napoli, dopo anni di attese e incredibili (e colpevoli) ritardi, come più volte documentato dalla Voce. Ora, però, i difensori degli imputati fanno sapere che le condizioni psicofisiche di Poggiolini e Marcucci non sono adatte ad un’aula processuale.
E’ per questo che, nell’udienza del 9 luglio, il giudice Giovanna Ceppaluni ha nominato due periti che dovranno valutare la “presunta incapacità processuale” dei due imputati.
Anche le persone offese dai reati (ossia i parenti delle nove vittime presenti al processo) e le associazioni hanno nominato dei loro consulenti perchè siano verificate le condizioni di salute di Marcucci e Poggiolini. “Dal 14-15 luglio si saprà quando verranno effettuati gli accessi ai domicili dei due imputati”, osserva l’avvocato Stefano Bertone, che difende 5 famiglie di vittime da sangue infetto. Che poi commenta con grande amarezza: “E’ un vergognoso scandalo nello scandalo che il sistema giudiziario italiano, se è vero che i due imputati sono realmente incapaci, si riduca nel 2015 a bloccare un processo così importante nella storia del nostro Paese. Più di seicento morti da farmaci, e responsabilità suddivise tra produttori stranieri, dirigenti ministeriali, ministri, e anche produttori italiani anche se in parte minoritaria”. E poi si interroga: “come è giustificabile che il sistema sia così efficiente da processare il conflitto sociale, che non fa morti, in tempistiche eccezionalmente brevi e poi dedichi risorse ridicole a casi di centinaia di omicidi?”.
A questo punto, sono risibili pezze a colori – e con stragrande ritardo – i risarcimenti che lo Stato (sic) sta incassando – e in previsione dovrà incassare – da chi ha orchestrato fatti & misfatti. A breve il nostro erario, tramite l’ufficio del contenzioso di palazzo Chigi, dovrà incamerare 1 milione 850 mila euro (sui 5 totali) dalle vendite di alcuni immobili targati Poggiolini. Mentre sarebbero già stati incassati 2 milioni 700 mila euro da Franco De Lorenzo, dal quale dovrebbero poi arrivarne quasi altrettanti (fino al totale fatidico di 5 milioni) derivanti da vendite di terreni e proprietà in Calabria. Deve ancora sborsare i primi euro, invece, l’ex segretario particolare di Sua Sanità, l’assicuratore Giovanni Marone, l’uomo che bruciava i documenti nel pentolone per ordine del capo: deve all’erario 2 milioni e mezzo. Spiccioli poi da altri funzionari pubblici che, all’epoca dei fasti di Sua Sanità e di re mida, pilotavano i prezzi dei farmici, su input delle case farmaceutiche, le quali ringraziavano a suon di miliardi (eravamo alle vecchie lire).
E in tutta la farmatruffa, ecco l’orrenda ciliegina del sangue infetto.



Nella foto, Sua Sanità Francesco De Lorenzo

SANITA'

MORTI PER SANGUE INFETTO, SVOLTA FINALE NEL PROCESSO A MARCUCCI E POGGIOLINI


1 giugno 2015 autore: Andrea Cinquegrani



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Sangue infetto, sarà finalmente processo? Riuscirà ad iniziare il dibattimento a Napoli per nove famiglie che sperano ancora in un verdetto capace di inchiodare i responsabili e fare finalmente, dopo anni e anni, giustizia? Può darsi, nella corsa a ostacoli occorre ancora superare due udienze, quella dell’8 giugno e poi del 20 luglio. E sarebbe una goccia di giustizia nel mare: perchè le morti – in questa strage silenziosa, un vero eccidio di Stato – sono migliaia. Una strage che la Voce ha descritto negli anni, a partire da quei maledetti ’70 quando il sangue veniva raccolto in Centro Africa senza alcun controllo e immesso sul mercato nella più totale deregulation. Poi proseguita in quelli successivi, altre ‘raccolte’ killer, altre vittime sull’altare dei mega profitti di Big (o Pig) Pharma, i colossi nella distribuzione di emoderivati.
Ma procediamo con ordine, in questa ricostruzione. E partiamo dalle ultimissime. Alla sbarra, al processo di Napoli, due imputati “eccellenti”, Guelfo Marcucci, il re degli emoderivati in Italia a bordo di Sclavo, Kedrion, Aima e Farmabiagini, e Duilio Poggiolini, il re mida della Sanità quando il pli Franco De Lorenzo era ministro. L’8 giugno il tribunale dovrà decidere sulla riunificazione dei due procedimenti (circostanza che gli addetti ai lavori danno per scontata) e poi il 1 luglio si conoscerà l’elenco definitivo delle parti civili e verranno discusse le ultime eccezioni procedurali prima di fissare la data del dibattimento. I legali dei due imputati si oppongono a tutte le costituzioni di parti civili, tra familiari di vittime, associazioni e lo stesso ministero della Sanità, che chiede 55 milioni di euro come risarcimento danni, tra patrimoniali (per i risarcimenti alle vittime) e d’immagine, in quanto Poggiolini era all’epoca al vertice della burocrazia ministeriale.
Ma come mai sono presenti in aula solo nove familiari di vittime? Spiega l’avvocato Stefano Bertone, che ne assiste cinque. “Si tratta dei casi superstiti, perchè occorreva essere in presenza di alcuni requisiti: si tratta di persone decedute, la morte deve essere avvenuta non prima di 15 anni fa, devono aver assunto quei farmaci distribuiti da Marcucci”. A questo punto le prescrizioni hanno delle date molto lontane, quindi non si dovrebbe correre il rischio della solita mannaia. Ad esempio, una vittima è del 2012, con una prescrizione che scatta nel 2027. Resta il mare nero di altre morti, di altre croci senza giustizia. E poi i casi delle vittime che hanno assunto farmaci di altre industrie straniere, come Bayer, Baxter, Immuno. A quanto pare si tratta di un fitto elenco, almeno 200 vittime, e tutte in cerca di un processo e di una procura competente. “Se si crea un precedente significativo a Napoli, con una sentenza esemplare – osservano in tribunale – questo può rappresentare un precedente importante, una sorta di strada aperta per le altre procure e gli altri iter giudiziari”.
Un processo lungo una vita (o meglio tante morti), più di vent’anni. Parte a Trento, perchè al nord vennero scoperti alcuni carichi di emoderivati scaduti o infetti, poi per anni una danza macabra tra competenze, spostamenti, rinvii. Dopo una letterale via crucis tutto approda a Napoli dove comincia un’altra odissea. Uno dei problemi più grossi è quello della custodia delle carte e delle prove processuali: non solo quintali di faldoni, ma anche di scatoloni con campioni, reperti e tutto quanto possa documentare i fatti. Tutto buttato in depositi e scantinati senza alcun controllo, alla mercè di chiunque. E infatti molto di quel materiale sparirà. Passano gli anni, cambiano i magistrati, e anche i capi d’imputazione. Per approdare a quello finale, che ora porta alla sbarra Marcucci & Poggiolini: omicidio colposo plurimo, aggravato dalla prevedibilità dell’evento. “Quell’aggravato dalla prevedibilità – commentano alcuni – recupera in parte l’ipotesi che pure era concreta di epidemia colposa, e, pur se in piccola parte, anche il dolo. E’ un po’ come per gli incidenti stradali: mi ubriaco, guido e uccido, ora si comincia a guardare oltre la semplice colpa. Solo che nel caso degli emoderivati ci sono in ballo giganteschi interessi economici che fanno bypassare regole e controlli. E qui sta un altro nodo”.
Comunque sia, si tratta di fatti gravissimi. Che in modo preciso fotografò a fine 2013 Elio Lannutti – storico e battagliero presidente dell’Adusbef – in un’interrogazione parlamentare rivolta all’allora ministro della Sanità Renato Balduzzi. “Il sangue infetto è la pagina più nera di Tangentopoli: quella scritta sulla pelle della gente. Plasma umano, reperito a basso costo negli Stati Uniti, nei ghetti delle grandi metropoli e nelle carceri di Arkansas e Alabama, così come in alcuni Paesi centroafricani, fu introdotto in Italia a partire dagli anni Settanta in modo del tutto illegale. Sangue di provenienza illecita o non certificata che, senza essere sottoposto ad alcun controllo, veniva trasfuso nei corpi ignari di cittadini in cerca di aiuto e improvvisamente affetti da nuove, impreviste malattie. Vittime non di un errore medico, ma di un piano premeditato fondato sulla connivenza tra malapolitica prezzolata, vedi Poggiolini ed altri, e una ristretta cerchia di aziende farmaceutiche specializzate nel trattamento e nel commercio di emoderivati”. Da allora – così proseguiva il j’accuse di Lannutti – “quasi 4.000 morti e più di 80.000 infettati, una vera e propria strage silenziosa veicolata attraverso l’operato di persone prive di scrupoli, il cui delitto, ancora impunito, è stato quello di utilizzare, senza i dovuti controlli e con la complicità di funzionari corrotti, sangue infetto reperito a basso costo”. E concludeva. “Vittime che ancora oggi, a distanza di più di vent’anni, sono in attesa di quella giustizia che porti alla condanna dei responsabili di questa strage, causata dalla logica del profitto”.
Proprio in quelle settimane, antivigilia del Natale 2013, dal governo Monti un cadeau per la Kedrion del gruppo Marcucci: molto più blandi – e ci mancherebbe – i controlli per sangue ed emoderivati provenienti dagli Usa e dal Canada, non dovendo più ricevere obbligatoriamente la preventiva autorizzazione da parte dell’Aifa, l’agenzia italiana sul farmaco. E’ il secondo regalo dell’anno, dopo quello da 150 milioni di euro elargito alla sempre fortunata Kedrion dalla Cassa depositi e prestiti. Come dire, quando lo Stato si fa quasi socio: tutto fa buon sangue…
Carceri a stelle e strisce, Arkansas e Alabama, denuncia Lannutti. E raccapricciante era infatti il docufilm girato nel 2006 da un regista americano, Kelli Duda, “Fattore 8 – Lo scandalo del sangue nella prigione dell’Arkansas”: sullo sfondo, le regine internazionali degli emoderivati, impegnate ad approvvigionarsi sul mercato yankee, puntando proprio sul sangue più a buon mercato, quello delle galere, di tanti carcerati finiti dentro per droga e, nella gran parte dei casi, affetti da Aids. Scioccanti le riprese di Duda nel penitenziario di Cummings, tra larve umane, siringhe, sporcizia.
Non meno sconvolgente sempre dieci anni fa, metà 2006, e del tutto ignorato da noi (come del resto Fattore 8), “The price of blood” mandato in onda da Panorama, una sorta di Report al cubo, programma di punta di Bbc 2. Nel lungo reportage, 45 minuti di interviste e riprese da brividi, in primo piano le imprese targate Marcucci, in particolare il gioiello di famiglia, Sclavo, e le sue controllate off shore, Padmore ltd, Sarafia ltd, Cmm. Ma a chi era affidata la regia “estera” del gruppo? A quel David Mills allora alla ribalta delle cronache, italiane e soprattutto britanniche, come legale d’affari di Silvio Berlusconi, e grande protagonista nell’inchiesta All Iberian. E gli impietosi riflettori di Bbc 2 venivano puntati anche sulla gentile consorte di Mills, Tessa Brown, nientemeno che ministro, allora, per la Cultura nell’esecutivo Blair, la lady di ferro dei laburisti inglesi. Fra le immagini scorrevano, per fare un solo esempio, quelle girate nei depositi Sclavo di Padova, in una giungla di maxi freezer “dove vengono stoccati – così veniva descritto – decine di scatoloni con flaconi di emoderivati, 55 tonnellate di sangue non testato”. Stessa sorte che toccherà anni dopo a carte & reperti nei bui scantinati del tribunale di Napoli.
Nelle immagini di “The price of blood” era un susseguirsi di navi, navi che approdano, caricano, sbarcano col loro carico mortale. Ma da dove venivano quelle navi? Quali sono state le mete preferite? Ecco la precisazione geografica di Bbc 2: Stati Uniti, Canada e, soprattutto, Africa. In particolare il Congo di Mobutu. Le telecamere di Panorama intervistano l’allora parlamentare europea Tana De Zulueta, giornalista, che traccia un identikit del patriarca e re del sangue Guelfo Marcucci descritto come “un vero e proprio Dracula”, mentre sullo sfondo scorrono le immagini di Klaus Kinsky-Dracula nel suo castello avvolto tra le nebbie. E precisava, in quel 2006, De Zulueta: “Era un grande amico di Mobutu”. Un altro ‘re’, non meno sanguinario.
Riavvolgiamo il nastro e andiamo proprio alle origini. Ci spostiamo nel 1977 e sfogliamo la raccolta della Voce (allora Voce della Campania) . Ecco un articolo di luglio sulle “imprese” di Marcucci all’ombra del Vesuvio. Così scrivevamo, la bellezza di 38 anni fa: “Ha l’oligopolio del sangue in Italia. E’ infatti proprietario degli stabilimenti Isi della Campania per la produzione di emoderivati e degli stabilimenti Aima Plasma e derivati spa con sede a Città Ducale, in provincia di Rieti, ad altissima densità di capitale e pochi addetti, una sessantina”. E poi: “Quali le fonti di approvvigionamento del sangue trattato negli stabilimenti Marcucci? In gran parte il terzo mondo, fino al ’75 prevalentemente il Congo ex belga. Qui l’abile finanziere aveva impiantato un centro poliambulatoriale e un centro di raccolta sangue dove, mediante una tecnica assai sofisticata, veniva prelevata agli ignari donatori una quantità tripla di plasma sanguigno, reimmettendo in circolo i globuli rossi in apposita soluzione fisiologica” . E ancora, scriveva quella Voce ’77: “Marcucci gestisce diversi centri raccolta di sangue in varie parti del mondo, impiantando enormi speculazioni, per gli elevatissimi costi di vendita, basti pensare al Kryobulin che costa 162.400 lire a confezione! Marcucci ha poi letteralmente ricevuto in dono dai multinazionali americani dell’ex Richardson Merrell i due stabilimenti di Napoli, in via Pietro Castellino e Sant’Antimo, valore tra i sei e i sette miliardi di lire”. A decidere quel lucroso (per i Marcucci) spacchettamento della casa farmaceutica Usa era stato l’allora ministro del Bilancio Giulio Andreotti, coadiuvato dal suo rampante sottosegretario, poi pluriministro Vincenzo Scotti.
E nel volume “Sua Sanità – Viaggio nella De Lorenzo spa” edito dalla Voce e dalla trentina Publiprint nel 1992, campeggiava proprio la famiglia Marcucci. Non solo Guelfo, il patriarca, ma anche il fratello Leopiero e la prole. Da Marialina, una passione per l’editoria sfociata nelle tivvù della Toscana fino a Telemontecarlo, e poi al timone dell’Unità; ad Andrea, una passione smisurata per la politica. Ecco alcuni passaggi da “Sua Sanità”: “I Marcucci sanno bene dove vogliono arrivare e se danno i numeri non lo fanno senza un preciso scopo. Degli ottimi numeri, sul fronte delle preferenze, li ha raggranellati il più giovane onorevole italiano eletto alle ultime politiche del 5 aprile 1992, Andrea, figlio del padre-padrone Guelfo. Sotto il vessillo tricolore dell’Altissimo (Renato Altissimo, allora segretario Pli, scomparso pochi mesi fa, ndr), naturalmente. E l’amico Franco De Lorenzo, non a caso, si è presentato proprio nel collegio di Firenze: ‘si sono dati un buon aiuto scambievole – raccontano in ambienti politici fiorentini – i Marcucci hanno appoggiato De Lorenzo, il ministro ha sponsorizzato il giovane rampollo’. Missione compiuta, con reciproca gran soddisfazione. E non basta a turbarla un fresco avviso di garanzia recapitato ad Andrea Marcucci per abusi edilizi che sarebbero avvenuti al Ciocco, la tenuta di famiglia”. Così nel ’92.
Acqua strapassata, adesso ci sono nuove stelle comete e diversi approdi, altro che le anticaglie di casa liberale. Ora Marcucci siede, con la maglietta del Pd, tra gli scranni di palazzo Madama, “l’antenna di Renzi al Senato”, ed è presidente della commissione Cultura.
Ma tutte queste cose, forse, Matteo non le sa…


In basso, l’articolo della Voce di luglio 1977 e, a destra, la copertina di Sua Sanità, 1993

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leggi anche l’inchiesta della Voce di luglio 2009

SANITA'

AFFARI NEL SANGUE

di Andrea Cinquegrani
In una eccezionale inchiesta-documento della Bbc la vera storia del sangue infetto in Italia, protagonista la dinasty dei Marcucci e - spunta ora - l’avvocato d’affari David Mills, fresco di rinvio a giudizio a Milano con Berlusconi. Non solo traffici di antenne e frequenze tivvù, ma anche di sangue, sangue infetto.
L’avvocato inglese David Mills, appena rinviato a giudizio con Silvio Berlusconi dalla procura di Milano nell’inchiesta su tangenti alle fiamme gialle e affare All Iberian, negli anni ’90, è stato il braccio operativo estero del gruppo Marcucci, leader nel commercio di emoderivati. La notizia-bomba arriva via Bbc 2, che in un programma mandato in onda e metà ottobre da Panorama (una sorta di Report al cubo) col titolo “The price of blood”, il prezzo del sangue, in 45 minuti di riprese e interviste mozzafiato ricostruisce le tappe di un mega affare che ha portato decine e decine di miliardi di vecchie lire nelle casse della Sclavo (la sigla regina dei Marcucci) e delle tante controllate straniere, mietendo al tempo stesso lutti e tragedie per i tanti infettati dalle trasfusioni a rischio. In Italia l’inchiesta della magistratura era partita nel 1994. Che fine ha fatto? La solita, classica, inevitabile bolla di sapone. O colpo di spugna, se volete. Per la gioia di tutti. Assolti, prescritti e contenti. «Strumentalizzazioni», sbotta col suo faccione Mills ai microfoni della Bbc, ed ora accusa la prestigiosa tivvù inglese di aver ordito un complotto ai suoi danni, con un «unfair trial by television», un processo mediatico poco elegante contro di lui, e di rimbalzo anche contro sua moglie, una big nel Labour di Tony Blair. Per i lettori della Voce, scorriamo testi e immagini del documento choc, esemplare per la perfezione stilistica e per i contenuti da autentico giornalismo investigativo.
L’IMPERO DI DRACULA
«Red oil», petrolio rosso, «blood game», il gioco del sangue, «traffici per milioni di sterline», «questioni di vita o di morte», sono le prime frasi che si rincorrono nel fuori campo del giornalista. Cui si alternano quelle di alcuni “intercettati” durante le prime fasi dell’inchiesta e ricostruite fedelmente in studio: «roba degli anni ottanta», dicono i due trafficanti a proposito della “merce”, di quel sangue killer che sta per essere commercializzato. E poi: «nessun esame per l’hiv»; e poi, «abbiamo a che fare con gente grossa o piccola?», «con figli di mignotta»; ancora: «non so che cazzo hanno fatto…», «devono distruggere tutto?», «non devi rompere il cazzo». Siamo in pieno “organized crime”, viene precisato dal reporter, crimine organizzato. A ritmo serrato, si susseguono ricostruzioni e interviste. La prima, drammatica, con un “condannato a morte”, Angelo Magrini, infettato da una trasfusione killer che lo ha ridotto pelle e ossa su un letto. Seguono le parole di un ematologo, Paul Giangrande. Quindi il minuzioso racconto del colonnello delle fiamme gialle Marco Tripodi: «abbiamo cominciato le indagini per trovare dei reati di tipo amministrativo, ma un po’ alla volta ci siamo resi conto che si trattava di una colossale truffa per il commercio di sangue».
E’ la volta della parlamentare Verde Tana De Zulueta, che traccia un identikit del magnate Guelfo Marcucci, «un vero e proprio conte Dracula», mentre scorrono le immagini di Klaus Kinsky nel suo castello avvolto fra le nebbie. E subito ci troviamo negli stabilimenti della Sclavo, tra altri fumi e altre provette. Poi si susseguono, con ritmo martellante, i depositi di Padova, i maxi freezer dove vengono stoccate tonnellate di scatoloni con flaconi di emoderivati (55 tonnellate di sangue non testato, è la precisazione anglosassone). E navi, navi che approdano, caricano, sbarcano, col loro carico mortale. Ma da dove venivano, quelle navi? Quali sono state le mete preferite per almeno un quindicennio? Stati Uniti, Canada e, soprattutto, Africa. In particolare il Congo di Mobutu, «grande amico di Marcucci», ricorda proprio De Zulueta. Fanno capolino una serie di sigle estere, perché «Mills - osserva la puntuale voce fuori campo - è un avvocato specializzato in società off shore, quelle che servono soprattutto per non far pagare le tasse ai ricchi», «è un trader del sangue», «era in pieno nel gioco, non poteva non sapere», «is a master of elusion» (maestro nell’evasione). Eccoci allora in pieno oceano, nel super paradiso fiscale delle isole Vergini, a bordo di Padmore ltd, il cui nome è ben impresso sugli scatoloni contenenti sangue infetto; poi un salto a Panama, al timone di Sarafia Ltd; quindi CMM, altro crocevia. Scatole cinesi - viene ampiamente documentato - che coprono traffici colossali. Mills davanti agli inquirenti si trincera dietro ad un «non sapevo niente degli affari Padmore», «Cmm aveva 400 fra funzionari e collaboratori, che ne potevo sapere io?». «Bugie - bolla la Bbc - è come mettere indietro gli orologi, cambiare le date», mentre scorre un esilarante filmato a “indietro tutta”. Il rush finale è tutto da vedere, con un’inchiesta che implode passo dopo passo, fino alla tempesta finale, che fa volar via le carte più scottanti in possesso di un super teste, Dennis Lawin: «La finestra si è aperta di colpo e proprio quel faldone ha preso il volo», ricorda con candore. E’ la fine della storia, timbrata 2004, quando il processo va in soffitta perché «non è stata provata la colpa» degli incriminati, anche se sono provati una serie di reati e di comportamenti fuorilegge.
MILLS, MIA CARA MILLS
Un autentico pezzo da novanta del Labour Party, la lady di ferro nell’inossidabile (ancora per poco) esecutivo guidato da Tony Blair. Moglie di David Mills, Tessa Towell è l’attuale ministro della Cultura, un pedigree istituzionale più che ricco: dal 1997 al 1999, infatti, è stata ministro della Salute pubblica e per il successivo triennio è passata al dicastero del Lavoro. Insomma, una pedina strategica nello scacchiere di Downing street. I suoi avversari, però, malignano di qualche conflitto di troppo: «con la Cultura finisce per interessarsi anche di diritti televisivi, e si sa che il marito è consulente di alcuni gruppi, oltre ad esserlo stato per Berlusconi. Quanto alla Sanità, il gruppo Marcucci si dà molto da fare sul fronte del commercio internazionale, e Mills lo ha seguito fino a tutti gli anni novanta». Lei, però, non ha paura dei conflitti. Anche nell’ultimo, pesantissimo caso, dove è coinvolta col marito per un’operazione che tira in ballo proprio i 600 milioni di euro al centro dell’inchiesta milanese su “tangenti alla guardia di finanza e All Iberian” finiti a Mills. «Sono certa - dichiara Towell - che non ci sia conflitto d’interessi fra la transazione e i miei doveri ministeriali. Ho firmato un’ipoteca sulla casa di cui siamo co-proprietari per avallare un prestito chiesto solo da mio marito alla sua banca».
E’ il Sunday Times, in un suo reportage, a ricostruire i tasselli di questo ennesimo puzzle. A settembre 2000 i coniugi accendono un mutuo da 700.000 sterline sulla loro casa attraverso la società finanziaria Hambros. I soldi vengono subito smistati in un fondo off-shore (Mills è uno specialista del ramo), Centurion. Nel giro di un mese, in vorticosa successione, il passaggio attraverso la bellezza di sette conti, sparsi in mezzo mondo, da Gibilterra fino ai Carabi, passando per la canonica Svizzera. Alla fine del viaggio approdano sulle rive di un altro fondo, manco a dirlo off shore, il Torrey Global. Chiariti tutti i passaggi, resta l’interrogativo di fondo. Da chi sono partiti i soldi? E per quale motivo? A questo punto Mills fornisce le sue tre verità. La prima versione sembra schietta e attendibile, perché scritta in tempi non sospetti, e inviata al suo commercialista di fiducia. In sostanza, Mills chiede al suo consulente come fare per non pagar tasse su quel gruzzolo, tenuto conto dei sacrifici fatti, dei rischi corsi, e del fatto che i suoi soci hanno mangiato i due terzi della torta (da 2 milioni di sterline). E testualmente scrive: «Alla fine del 1999 mi fu detto che avrei ricevuto dei soldi che avrei dovuto considerare come un prestito a lungo termine o un regalo. 600 mila dollari furono messi in un “hedge fund” e mi fu detto che sarebbero stati a mia disposizione». Precisa ancora: «consideravo il pagamento come un regalo. Di cos’altro poteva trattarsi? Non ero un loro dipendente, non li rappresentavo, non stavo facendo nulla per loro, avevo già reso la mia testimonianza ma sussisteva ancora il rischio di futuri costi legali e di una grossa dose di ansia». Il gioco, però, valeva la candela, visto che «sapevano bene che il modo in cui io avevo reso la mia testimonianza avesse tenuto Mr. B. fuori da un mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo». Più chiari di così… Seconda verità, davanti ai pm milanesi Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo il 18 luglio 2004. Una piena conferma di quanto scritto al suo commercialista. «Nell’autunno del 1999 - dichiara Mills - Carlo Bernasconi mi disse che Silvio Berlusconi a titolo di riconoscenza per il modo in cui ero riuscito a proteggerlo nel corso delle indagini giudiziarie e dei processi, aveva deciso di destinare a mio favore una somma di denaro». Qualche particolare in più, o in meno, circa il viaggio dei soldi: «quanto al percorso del denaro - precisa l’avvocato d’affari - esso affluì su Torrey Global tramite una società BVI che si chiamava Strie, società gestita per me da fiduciari e sul cui conto erano affluiti denari di alcuni clienti nel corso del tempo. In effetti una consistente somma di denaro era stata immessa in Strie da Bernasconi già nel 1997, ma fu solo nel 1999 che Bernasconi mi ha autorizzato a disporne nella misura di 600 mila dollari».
MILLS NAPOLETANO
Terza versione, diametralmente opposta. Mills tira in ballo un armatore napoletano, originario di Monte di Procida, il cinquantasettenne Diego Attanasio. Davanti agli sbigottiti pm, in sostanza, nega che il “regalo” gli sia pervenuto dagli amici di mr.B., e racconta al contrario che deriva dai suoi rapporti di consulenza con Attanasio. Il quale, a sua volta, viene interrogato dai magistrati e - raccontano in procura - nega di aver dato ordine di far confluire somme di danaro dalle Bahamas sul conto aperto da Mills presso una banca di Ginevra. Anche perché - motiva - «in quello stesso periodo ero in carcere a Salerno». L’armatore, infatti, è rimasto impigliato in una storia di corruzione per l’acquisto di un immobile nella locale zona Asi (ora la vicenda è in appello), e detenuto per settanta giorni. Una terza versione densa di interrogativi. E di contraddizioni un po’ su tutti i fronti. La difesa di Berlusconi produce un documento considerato decisivo (sulla cui autenticità si nutrono invece forti dubbi), per l’esattezza un cd rom contenente alcuni documenti relativi a compravendite di navi effettuate dallo stesso Attanasio. Tutti grandi affari: come ad esempio quello del motorimorchiatore “Ravello”, comprato dall’armatore per 715 mila dollari, risistemato e rivenduto ad un prezzo cinque volte superiore alla Manai corporation, società del golfo Persico. Alcuni dettagli vengono descritti da un’altra fonte, il commercialista italo-svizzero Antonio Mattiello, che ha verbalizzato a Ginevra davanti ai pm De Pasquale e Robledo e si era interessato all’operazione. Ecco la ricostruzione di Mattiello: il motorimorchiatore è proprietà della napoletana Diamar, sigla che fa capo ad Attanasio; quindi viene smistato ad una società off shore, ISS, la quale però non ha liquidità perché è appena nata e per acquistare la nave si fa prestare i soldi nientemeno che dalla venditrice, Diamar, per poi restituirli dopo la magica vendita araba. Un giro tortuoso, vorticoso e, soprattutto, misterioso. Ma chi è stato il gran regista dell’operazione? Chi ha creato in un battibaleno la misteriosa ISS? La risposta di Mattiello resa ai pm è inequivocabile: «Sia l’acquisto che la vendita sono state stabilite da David Mills, che ha trattato l’acquisto con la Diamar, cioè con Attanasio». E’ fra le pieghe di questa fantomatica operazione che potrebbero essere finiti i soldi del “regalo” del Cavaliere? Un gran fumo per mimetizzare il tutto? Piste investigative. Tanto più che le acque - è il caso di dirlo - si intorbidano, perché fra i vari giri di denari fanno capolino anche ingenti somme riconducibili a Flavio Briatore - il mago della Formula 1, grande amico di Berlusconi - e Paolo Marcucci, rampollo della dinasty toscana (la sorella Marialina è reginetta di carta stampata e tivvù, il fratello Andrea è stato parlamentare pli sotto l’ala protettivo di Sua Sanità De Lorenzo). Si vedrà.
 Assolti per AVER commesso il fatto
E’ stato uno dei grandi processi del post Tangentopoli, quello sul sangue infetto. Con imputati eccellenti come l’ex ministro della sanità Franco De Lorenzo, il vertice ministeriale e collettore delle tangenti Duilio Poggiolini, Guelfo Marcucci e - ora si viene a sapere - l’avvocato d’affari lib lab (per la serie da Berlusconi a Blair) David Mills. Ricostruisce alcune tappe di quel drammatico processo Elena Coccia, che ha seguito, come avvocato, tante storie di contagiati dal sangue infetto. «Tutto partiva dal fatto che l’Italia ha applicato con un anno di ritardo le normative comunitarie sui test del sangue. E’ solo nel ’95 che ci siamo adeguati, mentre comunque la gran parte dei paesi europei era in regola fin dall’89-90. E’ in questo buco nero, questo periodo di non controllo, che si sono verificati molti casi di infezione per trasfusioni da sangue non testato». Un processo travagliato, nato a Napoli, poi passato a Roma, quindi a Trento, poi tornato nella capitale per perdersi nelle inevitabili nebbie delle stra-annunciate prescrizioni e alla pietra tombale. Comunque spezzettato fin dall’origine.
«Sono state fatte migliaia e migliaia di cause e alla fine di un lungo iter a quasi tutti gli ammalati è stata risarcita un somma intorno ad un milione di vecchie lire, una sorta di equo indennizzo un po’ a tutti per nesso causale». Un nesso che dunque c’era, esisteva per dare pochi spiccioli a pioggia, una mancia che non ti restituisce i patimenti e la salute; quello stesso nesso che magicamente sparisce quando si tratta di inchiodare i vip alle loro responsabilità. Riprende Coccia. «I pubblici ministeri di Trento hanno disposto una perizia tecnica. E’ stato difficilissimo trovare a chi affidarla, per via dei tanti interessi incrociati fra periti, medici e industrie farmaceutiche. Alla fine la scelta è caduta sul professore romano Pasquale Angeloni che ha lavorato per un paio d’anni». Tempi su tempi, e viene partorito il classico topolino. Difficile, molto difficile ricucire dei nessi… . «Con il passaggio a Roma abbiamo capito che tutto sarebbe finito e nessuna giustizia sarebbe mai stata fatta», conclude con amarezza l’avvocato di tante battaglie per le minoranze e per il rispetto dei diritti civili.
Sangue che SCOTTI
Ecco cosa scriveva quasi trent’anni fa - è il numero 14 del 17 luglio 1977 - la Voce in un’inchiesta dedicata a Guelfo Marcucci, alle sue imprese internazionali e anche napoletane. «Ha l’oligopolio del sangue in Italia. E’ infatti proprietario degli stabilimenti ISI della Campania per la produzione di emoderivati e degli stabilimenti AIMA Plasma e derivati spa, con sede a Città Ducale (Rieti), ad altissima densità di capitale e pochi addetti (60). La Biagini di Pisa provvede alla commercializzazione dei prodotti Aima». Ma eccoci al cuore del problema. «Quali le fonti di provenienza del sangue trattato negli stabilimenti Marcucci? In gran parte il terzo mondo, fino al ’75 prevalentemente il Congo ex belga. Qui l’abile finanziere aveva impiantato un centro poliambulatoriale e un centro di raccolta del sangue dove, mediante una tecnica assai sofisticata, veniva prelevata agli ignari donatori una quantità tripla di plasma sanguigno, reimmettendo in circolo i globuli rossi diluiti in apposita soluzione fisiologica».
Ancora: «Marcucci gestisce diversi centri raccolta di sangue in varie parti del mondo, impiantando enormi speculazioni, per gli elevatissimi costi di vendita: basti pensare ai preparati Fattore VII, uno dei quali, il Kryobulin, costa 162.400 lire a confezione!». Poi: «Marcucci ha letteralmente ricevuto in dono dai multinazionali americani dell’ex Merrell i due stabilimenti di Napoli, in via Pietro Castellino, e Sant’Antimo, valore tra i sei e i sette miliardi». Lo “spacchettamento” dell’ex Richardson Merrell (divisa in tre fette e tre sigle) era stato deciso nel ’75, con un provvedimento firmato dall’allora ministro del Bilancio: Giulio Andreotti. A seguirne le fasi di attuazione (compreso il passaggio della costola più grossa al gruppo Marcucci) un giovane sottosegretario (sempre al Bilancio): Enzo Scotti. Ora riemerso dagli ozi e dagli studi maltesi per abbracciare il progetto di Marco Follini della nuova, Grande Balena Bianca. Buon bagno.


martedì 24 giugno 2014

ANGELUCCI ...DAGOSPIA

GLI ANGELUCCI RESTANO IN PARADISO (FISCALE) - LA FAMIGLIA EDITRICE DEL QUOTIDIANO "LIBERO" INIETTA 40 MILIONI NELLE CASSE DELLA CONTROLLATA LUSSEMBURGHESE TH, CHE HA IN PANCIA SAN RAFFAELE DI ROMA E LA FINANZIARIA TOSINVEST

Gli Angelucci hanno deciso di ricapitalizzare T.H. per 40 milioni di oro tramite l’emissione di 1,6 milioni di nuovi titoli ciascuno del valore nominale di 5 euro. Il nuovo capitale, versato puntualmente dalla controllante, è salito così a 49,9 milioni e la società ha anche cambiato denominazione in Three…

Andrea Giacobino per il blog 'andreagiacobino.wordpress.com'

L’indagine per frode fiscale avviata dalla procura di Roma sull’ospedale capitolino San Raffaele non ferma gli Angelucci, imprenditori sanitari ed editori fra l’altro di “Libero”, dal coltivare i loro business in Lussemburgo dove continuano a movimentare valanghe di milioni.

Antonio AngelucciANTONIO ANGELUCCI
Qualche giorno fa, infatti, nel Granducato si è svolta un’assemblea straordinaria di T.H., che detiene fra l’altro il 98,4% dello stesso ospedale capitolino in carico per 42,8 milioni, per 14,2 milioni il 93,6% di Finanziaria Tosinvest, capogruppo italiana degli Angelucci e per 60 milioni il 5,3% di Compagnia Aerea Italiana-Alitalia. T.H., costituita in Lussemburgo nel 1994 come Tosinvest Italia, ha poi cambiato nome ed è controllata dalla Spa di Lantigos.

GIAMPAOLO ANGELUCCIGIAMPAOLO ANGELUCCI
Ebbene, gli Angelucci hanno deciso di ricapitalizzare T.H. per 40 milioni di oro tramite l’emissione di 1,6 milioni di nuovi titoli ciascuno del valore nominale di 5 euro. Il nuovo capitale, versato puntualmente dalla controllante, è salito così a 49,9 milioni e la società ha anche cambiato denominazione in Three.

Il veicolo, che ha un totale di attivo di 351,8 milioni, costituito da immobilizzazioni finanziarie per 139 milioni e crediti per oltre 201 milioni, presenta 16 milioni di utili portati a nuovo e debiti per 328 milioni. Ebbene proprio la T.H. è al centro delle indagini dei pm romani che hanno contestato al veicolo lussemburghese tra il 2009 e il 2013 l’omissione di imposte. T.H., infatti, pur domiciliata in Lussemburgo, era di fatto operante in Italia. Indagati anche per associazione a delinquere sono fra gli altri il “patron” Antonio Angelucci (ex deputato Pdl), i figli Giampaolo, Alessandro e Andrea e tutti i consiglieri di T.H. Che ora, con un altro nome, è diventata più forte con 40 milioni.
Libero Giornale Scajola NonleggerloLIBERO GIORNALE SCAJOLA NONLEGGERLOsan raffaele romaSAN RAFFAELE ROMA

lunedì 14 aprile 2014

SANITA'...TRUFFE


ruffe record e frodi alla Sanità
La carica delle false esenzioni

Dagli appalti ai falsi ricoveri, ai ticket. Stimato un danno erariale di un miliardo
di euro. Interventi di chirurgia estetica presentati come salva-vita


shadow
C’è una voragine nei conti dello Stato provocata dalle truffe al servizio sanitario nazionale. Oltre un miliardo di euro di danni erariali causati dalle irregolarità compiute da medici e operatori, spesso d’accordo con i pazienti oppure con gli agenti assicurativi. Ma anche con le società farmaceutiche e con le aziende private che si occupano di commercializzazione di macchinari. E’ il clamoroso risultato dei controlli compiuti dalla Guardia di Finanza nell’ultimo anno. E le verifiche dei primi due mesi del 2014 sembrano confermare il trend visto che fino al 28 febbraio scorso sono già state segnalate alla Corte dei Conti 104 persone e l’ammontare delle perdite supera i 150 milioni di euro. Sono decine le tipologie degli illeciti e le più frequenti riguardano gli interventi di chirurgia estetica spacciati per operazioni su gravi patologie, i finti ricoveri di pronto soccorso nelle strutture private, le iperprescrizioni di farmaci.
Scoperti oltre 700 funzionari infedeli
Il dossier dell’Ufficio Tutela e mercato delle Fiamme Gialle guidato dal colonnello Giovanni Avitabile fornisce numeri e casi di un fenomeno che viene costantemente monitorato perché, come si sottolinea nella relazione «il controllo della spesa vista la sua particolare importanza nell’ambito del bilancio pubblico e le sue preoccupanti dinamiche di crescita, rappresenta una delle priorità inderogabili per il raggiungimento degli obiettivi di politica economica». E perché «la necessità di risanare i conti pubblici impone un’oculata attività di contenimento e razionalizzazione della spesa anche con una mirata attività di verifica finalizzata all’individuazione delle condotte negligenti o illecite che, consentendo sprechi, diseconomie o inefficienze, possono rappresentare una variabile sensibile nelle funzione di crescita delle uscite». I controlli si muovono sul doppio binario: all’indagine affidata ai nuclei territoriali, si affiancano i «protocolli di collaborazione con le Aziende sanitarie locali per ottenere uno scambio informativo e l’attivazione delle ispezioni». I dati forniscono il quadro: nel 2013 sono stati compiuti 10.333 controlli e 1.173 sono state le persone denunciate per un valore che supera i 23 milioni di euro. Ben più grave il capitolo delle richieste di risarcimento avanzate dalla Corte dei Conti: sono 177 le verifiche, 742 i funzionari pubblici sottoposti a procedimento, un miliardo e 5 milioni di euro il totale delle contestazioni.
I falsi Drg e il day hospital
Si chiamano “Raggruppamenti omogenei di diagnosi” e servono a stabilire le tariffe per le prestazioni che vengono caricate sul Servizio Sanitario Nazionale. Proprio “truccando” i referti e quindi «facendo rientrare l’intervento nella categoria autorizzata oppure per la quale è previsto un rimborso superiore al dovuto» sono stati drenati centinaia di milioni di euro alle casse statali. Il caso più eclatante riguarda le operazioni di chirurgia estetica che invece vengono spacciate per interventi su gravi patologie, spesso addirittura tumorali. Le rinoplastiche fatte passare come settoplastica sono certamente frequenti, ma c’è anche chi si è rifatto il seno, le cosce, l’addome sostenendo di essere molto malato, addirittura in pericolo di vita. Qualche settimana fa sono stati indagati il primario dell’ospedale Villa Sofia di Palermo e alcuni alti dirigenti del nosocomio proprio con l’accusa di aver falsificato le cartelle cliniche di una decina di pazienti.Tecnica usata per ottenere illecitamente i rimborsi è anche l’attestazione di ricoveri in realtà mai avvenuti oppure gli interventi effettuati in ambulatorio per i quali si richiede invece il rimborso di day hospital. Sono escamotage apparentemente da poche migliaia di euro, ma moltiplicati per centinaia di migliaia di cittadini determinano un esborso spropositato.
Farmaci e ticket sempre gratis
Un’indagine effettuata due anni fa in Lombardia dimostrò che a Milano un cittadino su cinque non pagava il ticket pur non avendo diritto all’esonero. Alla fine ben il 20 per cento degli assistiti risultò non in regola. La maggior parte aveva contraffatto i dati dell’autocertificazioni, il resto aveva ottenuto una attestazione compiacente. Il quadro fornito dagli analisti della Guardia di Finanza prova che a livello nazionale la situazione è analoga se non peggiore. Basti pensare che su 9.936 controlli effettuati, sono state trovate ben 7.972 posizioni “fuorilegge” che hanno provocato un “buco” nel bilancio statale di circa un milione di euro. Vuol dire 8 su 10, quindi una percentuale clamorosa. Ben più alto è il volume delle “uscite” causate dalla iperprescrizione di farmaci da parte dei medici di base. Storia emblematica è quella di Catania dove si è scoperto che «la emissione di ricette è di 7 punti superiore alla media nazionale senza che questo sia supportato da un quadro epidemiologico tale da poter giustificare l’eccessivo consumo». In cima all’elenco ci sono gli inibitori di pompa, le statine e gli antidiabetici, ma sono decine e decine le confezioni acquistate con l’esenzione senza che i pazienti ne avessero effettiva necessità. Nessuno eguaglia il dottore che ha prescritto 700 fiale di antibiotico alla moglie, ma a scorrere le denunce i casi eclatanti sono davvero tantissimi. Da tempo l’attività dei medici di base viene monitorata anche per quanto riguarda il numero dei “clienti”. Le verifiche per tutelare il settore della spesa pubblica hanno infatti evidenziato la presenza negli elenchi di persone emigrate all’estero o decedute. Secondo il rapporto stilato dal colonnello Avitabile «è necessario stimolare ulteriormente le competenti strutture sanitarie ad avviare in modo sistematico, a livello nazionale, una opportuna opera di bonifica e aggiornamento delle liste degli assistiti con conseguente rideterminazione degli importi spettanti ai medici e il recupero delle somme già percepite senza titolo dagli stessi»
La lungodegenza e le finte emergenze
Il limite massimo stabilito dalla legge per la degenza parla di 60 giorni, dopo scatta la tariffa più bassa per il rimborso. Ma aggirare l’ostacolo per ospedali e cliniche convenzionate è evidentemente molto facile. Basta “frazionare” il ricovero e per il paziente a carico dello Stato la tariffa rimarrà sempre al massimo. Si tratta di un “sistema” illecito non facile da scoprire che provoca danni da milioni di euro. Prima della scadenza dei due mesi, il malato viene “dimesso” e accettato nuovamente qualche giorno dopo. In realtà in alcuni casi è accaduto che non si sia addirittura mosso dalla struttura. Ma le vie della truffa appaiono infinite. E così ci sono anche i «finti ricoveri eseguiti in regime d’emergenza da case di cura che sulla base del Piano sanitario Regionale non risultano in realtà abilitate. Numerose degenze sono state attivate in questo modo nonostante la clinica non fosse dotata di servizio di pronto soccorso. E nonostante la legge imponga questo tipo di reparto come condizione indispensabile per poter ricorrere a questa tipologia di ricovero».
Macchinari e appalti truccati
Ci sono medici che utilizzano privatamente, facendosi pagare profumate parcelle, i macchinari comprati dalle strutture pubbliche. Uno dei casi più eclatanti, con un danno che supera i 200 mila euro, è stato scoperto in Abruzzo ed è stato citato dal procuratore regionale Fausta Di Grazia nella sua relazione di apertura dell’anno giudiziario. La magistratura contabile «ha agito nei confronti di un medico, docente universitario, per aver utilizzato privatamente, per alcuni anni, attrezzature diagnostiche acquisite con fondi della Regione e da quest’ultima rese disponibili all’Università de L’Aquila. Il danno complessivo attiene ai profili strettamente patrimoniali, al disservizio arrecato all’Università e all’Asl oltre che al pregiudizio d’immagine per la risonanza mediatica avuta dalla vicenda, a seguito della quale il convenuto è stato condannato anche in sede penale». Un capitolo che naturalmente provoca esborsi da milioni di euro è quello degli appalti pubblici. Sono decine e decine le inchieste aperte in tutta Italia, prima fra tutte spicca quella sulla Regione Lombardia con il disvelamento dell’accordo tra politica e imprenditoria. Tra i casi citati nel rapporto della Guardia di Finanza c’è quello che riguarda la Asl di Brindisi dove la Corte dei Conti ha evidenziato «l’alterazione, mediante vari e, a volte, sofisticati meccanismi fraudolenti, della libera concorrenza tra le imprese partecipanti alle gare per l’aggiudicazione dei lavori, con immediata ripercussione sull’entità della spesa sostenuta, a tutto personale vantaggio degli agenti pubblici coinvolti e delle imprese conniventi e a corrispondente grave detrimento del patrimonio pubblico, ove si consideri il cospicuo valore complessivo (circa 35 milioni di Euro) degli appalti oggetto di indagine».
CORRIERE DELLA SERA

domenica 11 novembre 2012

CAMICI SPORCHI ...MODENA...


Camici sporchi: «Un bordello di soldi»

Modena, il raggiro ai pazienti del Policlinico. QUI

Soldi facili, associazioni gabbate, pazienti raggirati e trattati come cavie.
Le intercettazioni telefoniche tra alcuni dei nove medici arrestati al policlinico di Modena per uno scandalo di malasanità hanno chiarito il meccanismo della truffa scoperta dai Nas di Parma a danno dei malati.
UN BORDELLO DI SOLDI. Un meccanismo che, a sentire gli stessi protagonisti, funzionava piuttosto bene essendo altamente remunerativo e non particolarmente faticoso.
Alessandro Aprile, 37 anni,  frequentava un master in quel reparto di cardiologia del policlinico di Modena quando venne intercettato il 16 giugno 2011.
Al telefono, senza troppe cautele, raccontava il funzionamento della truffa: «Sono soldini, facendo una cosa e n'altra, arrivo a portà 5 mila euro a casa, capito? Senza spremermi tanto, piglio i soldi sotto banco, un bordello di soldi, li fatturo ad una onlus, perché porto avanti studi clinici e c'ho le aziende che mi propongono contratti…» confidava al telefono.
1 MILIONE DI EURO IN DUE ANNI. Secondo le indagini dei Nas e della Procura nell'ospedale aveva messo radici «un modello delinquenziale sperimentale».  Che, attraverso studi di natura cardiologica non autorizzati o totalmente inventati, falsificazioni di cartelle cliniche e utilizzo di materiale sanitario spesso difettoso, giocava di sponda con alcune aziende private italiane ed estere del biomedicale.
Queste, in cambio dell'uso da parte dei medici dei dispositivi da loro prodotti, con conseguente pubblicità su riviste specializzate, hanno versato tra il 2009 e il 2011 su tre onlus fittizie somme di denaro pari a 1 milione di euro (già sequestrati).
PAZIENTI CAVIE. A fare girare questo sistema erano i tantissimi pazienti con problemi cardiaci che, arruolati a decine, e sempre a loro insaputa, si trasformavano loro malgrado in una sorta di cavie per sperimentazioni che, secondo il quadro accusatorio, «sfuggivano a qualsiasi controllo da parte del competente Comitato etico».

Un sodalizio per trattare con le imprese a danno dei pazienti raggirati

Dei nove medici arrestati, alcuni dei quali da tempo non lavorano più al nosocomio modenese, le due figure di spicco che emergono dall'ordinanza firmata dal gip Paola Losavio sono il primario Maria Grazia Modena, 60 anni, prima donna a presiedere la Società italiana di cardiologia, e Giuseppe Sangiorgi, 47 anni, all'epoca responsabile del laboratorio di emodinamica della cardiologia (l'unico finito in carcere).
IL REPARTO MERCE DI SCAMBIO.  Il loro sodalizio, iniziato nel 2009, è l'origine di tutto, secondo gli inquirenti: «È la dottoressa Modena che, sapendo dei legami di Sangiorgi con le aziende farmaceutiche, gli mette a disposizione il reparto da lei diretto, dandogli piena delega a trattare con le imprese», ha scritto la procura.
I due medici hanno organizzato quella che a tutti gli effetti può essere considerata una squadra di «fidati collaboratori, facendo vincere loro concorsi e ammettendoli al policlinico, pur se in alcuni casi privi di idoneo titolo».
Tale è il legame tra Modena e Sangiorgi che, quando nel marzo 2011 quest'ultimo viene allontanato dal policlinico sulla base delle «inadeguatezze e criticità» riscontrate e denunciate nel reparto di cardiologia dalla commissione scientifica inviata dalla Regione Emilia-Romagna, la Modena (è il 20 giugno 2011) non si vuole rassegnare: «Tu» diceva, parlando al telefono con Sangiorgi «sei sempre nella mia mente, io voglio tornare al passato, non ti mollo». E aggiungeva: «Io voglio che la facoltà ti chiami!».
PAZIENTI RECLUTATI PER DENARO.  In questo scenario, la salute dei pazienti era apparentemente l'ultimo dei problemi.
Il rapporto con i malati era del tutto secondario unicamente finalizzato all'arruolamento per poter effettuare il più alto numero possibile di sperimentazioni. Alcune, secondo il gip, contemplavano interventi invasivi all'insaputa dei malati.
Sangiorgi, l'11 luglio 2011, parlando con Carlo Briguori, responsabile di emodinamica a Napoli, si lamentava delle difficoltà di convincere i pazienti a mettere il catetere, fondamentale per certi tipi di ricerche: «Mi dicono: perché mi devo cateterizzare? E tutte queste puttanate qui! Siamo riusciti a fare a 7 casi... si sono fatti cateterizzare...».
AMMALATI RAGGIRATI. Due giorni dopo, il medico Luigi Politi, 34 anni, ora agli arresti domiciliari, sembra aver trovato una soluzione: «Sto aspettando di beccare un paziente che ha già il catetere» raccontava a  Sangiorgi «e poi vado di nascosto a prendergli il piscio. Ho anche detto ai ragazzi di cui mi posso fidare: 'Quando vedete uno con un catetere, mi fate uno squillo, segnali di fumo'...».
Nell'assenza di controlli e protocolli, l'accusa punta anche il dito su alcune autopsie «illecite» effettuate durante una particolare ricerca, come emerge da un'email di Sangiorgi a un'impresa di biomedicale: «Perché è un casino per sezionare 'sti cazzi di arterie renali, vedere i nervi e cose varie...».
E se i pazienti erano veri, alcune sperimentazioni sembrano invece essere del tutto finte: «Tanto alla ditta gli va bene, tanto lo pubblica...». Il primo luglio 2011, al telefono con la specializzanda Raffaella Marzullo, Sangiorgi affermava: «Adesso vedo, tanto qui bisogna inventarsi i dati...».
Domenica, 11 Novembre 2012

venerdì 21 settembre 2012

DON MIMMO LADDAGA...L'ENNESIMA TRUFFA ALLA SANITA' ...



Lebbrosario fantasma, truffata la Regione
arrestati i vertici dell'ente ecclesiastico
Milioni di finanziamenti in cambio di conti gonfiati sull'acquisto delle attrezzature, i lavori di manutenzione, il costo dei pasti per la struttura fantasma costata 6 milioni di euro all'anno. In manette anche don Mimmo Laddaga, reggente della clinica ecclesiastica Miulli, indagato in un altro procedimento per una transazione da 45 milioni che coinvolge anche Vendola
Don Mimmo Laddaga
Una truffa milionaria per finanziamenti regionali indebitamente percepiti, per spese gonfiate sull'acquisto delle attrezzature, i lavori di manutenzione, i pasti dei pazienti. Tutto per un lebbrosario fantasma che alla Regione è costato 6 milioni di euro all'anno.

GUARDA LE IMMAGINI DELLA STRUTTURA

Due amministratori della 'Colonia Hanseniana' opera pia dell'ospedale regionale "Miulli" di Gioia del Colle, nel Barese, sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza con l'accusa di truffa aggravata e continuata perpetrata in danno della Regione Puglia. In manette don Mimmo Laddaga, il reggente dell'ente ecclesiastico Miulli, indagato anche nel procedimento sulla transazione da 45 milioni di euro con la Regione che coinvolge anche il governatore Nichi Vendola; e Saverio Vavalle, dirigente della struttura.

LEGGI L'inchiesta nata da un articolo di Repubblica

L'ordinanza cautelare ai domiciliari è stata eseguita dai militari del Nucleo di Polizia Tributaria ed è stata emessa nell'ambito delle indagini sulla gestione struttura sanitaria ed in particolare sulle modalità con cui gli amministratori hanno ottenuto finanziamenti dalla Regione Puglia. Per gli stessi fatti risultano indagate, a vario titolo, altre 8 persone. Nessun dirigente della Regione è coinvolto, si tratta soprattutto di imprenditori e altri dipendenti del Lebbrosario.

L'INCHIESTA Trecento letti, nessun paziente

Dalle indagini condotte dai Finanzieri è emerso, in particolare, che nei bilanci della Colonia sono state inserite voci di costo insussistenti al fine di rappresentare contabilmente l’utilizzazione totale (anche in eccedenza) dei fondi assegnati dalla Regione per il finanziamento della spesa sostenuta per la gestione della struttura pari ad euro 6 milioni fino al 2009, la cui entità veniva stabilita nei Documenti di Indirizzo Economico Funzionale annualmente approvati dalla Giunta Regionale, al fine di ottenere il rimborso di spese superiori a quelle realmente sostenute. Tra le spese di cui è stato chiesto il rimborso figura anche l’acquisto di uno strumento chirurgico il cui costo è risultato essere cento volte superiore al valore reale, ovvero l’acquisto di derrate alimentari in quantità esorbitanti il reale fabbisogno degli utenti e qualitativamente incompatibili con le esigenze nutrizionali dei fruitori del servizio.

Agli indagati - Domenico Buttiglione, Donato Gatti, Vito Giordani, Nicola Martellotta, Giovanni Pietroforte, Saverio Antonio Resta, Francesco e Giovanni Romano - è stato inoltre contestato di aver ottenuto il rimborso di fatture per l’esecuzione di lavori edilizi di manutenzione straordinaria della struttura sanitaria senza la preventiva autorizzazione della Regione Puglia, proprietaria dell’immobile, certificando la regolare esecuzione dei lavori nonostante gli stessi fossero qualitativamente e quantitativamente non corrispondenti alle offerte-preventivo presentate dalla ditta esecutrice di Acquaviva delle Fonti.

La finanza ha sequestrato 25 immobili e 11 terreni nelle province di Bari e Taranto riconducibili agli indagati e all’Ente ecclesiastico, per un valore complessivo di € 2.070.407,60. Ma ha calcolato che la truffa e l'illecita percezione di finanziamenti si aggirano sugli oltre 28 milioni di euro.

Una storia travagliata, quella del Lebbrosario, per anni l'unica colonia hanseniana rimasta in Italia. Fino all'anno scorso, quando la giunta regionale ha deciso di disfarsene, dopo mesi di polemiche sui costi e un giallo che ha portato ad aprire un'inchiesta giudiziaria e persino ad arrestare un ex medico della struttura, che era stato licenziato dalla direzione. I pochissimi pazienti ospitati si sarebbero potuti curare a casa o in altre strutture, ma la gestione 'Miulli' ha sbancato le casse della Regione Puglia. Gli oltre 300 posti letto sono stati per anni praticamente tutti vuoti, nonostante la struttura impiegasse 60 dipendenti. I pazienti pochissimi, una cinquantina sulla carta, ma quelli effettivamente ricoverati erano 10-15, a seconda dei periodi.

Oltre allo scandalo dei costi, anche il mistero dei neonati dichiarati morti alla nascita nella struttura per essere poi dati in adozione. I fatti furono denunciati in un dossier a firma del 50enne Roberto Giannico, ex dermatologo del lebbrosario. Fu lui l'uomo arrestato il 19 novembre 2010 per falso e tentata estorsione e indagato per aver progettato di uccidere il suo ex datore di lavoro, lo stesso don Mimmo Laddaga, dopo che lo aveva licenziato. Le denunce sulle adozioni illegali non hanno trovato alcun riscontro nelle indagini e la procura l'anno scorso ha chiesto l'archiviazione.

(20 settembre 2012) La Repubblica