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martedì 4 luglio 2017

FRANCESCO MERLO

“Aridatece Cossutta”. Dalle scarpe fatte a mano di D’Alema al giubotto di Renzi: TROPPO FINTA PER ESSERE SINISTRA

“Aridateci Cossutta”. So che è un paradosso duro da digerire, ma quasi quasi ci manca quel bambino che abbiamo buttato via insieme all’acqua sporca del comunismo nel 2008: il bambino della sinistra radicale che dava un orizzonte alla rabbia sociale e una razionalità alle mille paure che sono oggi il potente carburante della destra. Finisce infatti, sfinita nel paradosso degli operai berlingueriani che domenica scorsa a Genova hanno votato Lega, l’epoca della sinistra che ha provato a liberarsi e a liberarci dall’ideologia, prima calzando scarpe fatte a mano e poi insalsicciandosi in giubbotti di pelle. Mai riuscendo però a diventare davvero moderna restando sinistra.
Proprio mentre l’Inghilterra riscopre la moralità sobria della sinistra pulita e dimessa e premia la trasandatezza autentica ma colta di Jeremy Corbyn che ha prosciugato il populismo britannico restituendo alla plebe il diritto di sentirsi popolo, muore nei vicoli e nei quartieri operai del Nord Italia, ammalati di destra, la sinistra “distinta” degli ex funzionari pervestiti da gran signori e dei ragazzi di improvvisato e bignamizzato sapere, fasciati però nei calzoni “slim fit” e “camisadi” di bianco, sempre più per benino e a modino. Un tempo il colletto era il ‘ button down’ del ‘tu vo fa l’americano’, quello di Veltroni clintoniano della terza via e dell’ulivo mondiale, e più recentemente è stato il colletto aperto dei giovani spavaldi, sfrontati e irriverenti che hanno surrogato con il twitter l’ inquietudine e la rapidità e l’efficienza dello studio, che era sempre stato patrimonio della sinistra, del militante con la casa foderata di libri. “Non sono laureato, ma amo la letteratura, la poesia e i libri” ha gridato il vecchio Corbyn ai ragazzi inglesi che ormai gli si stringono attorno come fosse Mick Jagger con la differenza che tutti fingono di non vedere i mille artifizi giovanilistici del cantante mentre di Corbyn invece applaudono proprio l’età raggiunta senza mai diventare un ex. E di nuovo vale il paragone tra le nostre metafore calcistiche, i giaguari da smacchiare, le battutine stizzose, e i corbyniani versi di Percy Bysshe Shelley (La maschera dell’anarchia”) al festival di Glastonbury : “Levatevi come leoni dopo il sonno, in numero invincibile! Fate cadere le vostre catene a terra come rugiada che nel sonno sia scesa su di voi: voi siete molti – essi sono pochi!”
Nella comunali di domenica, una lunga storia di sconfitte e di sconfitti – tutti sconfitti, specie quelli che ora rabbiosamente si disputano i resti – ha avuto il suo suggello finale, il bollo del decesso, il punto di non ritorno e pur senza avere mai ottenuto i trionfi lampeggianti dei Gherard Schroeder e degli Joschka Fischer, dei Tony Blair, dei Clinton e degli Obama.
Succede infatti che avvenimenti minori rivelino le verità più crudeli. Ebbene, nella capitale del mare, città del grande Meridione italiano, la città del pesce stocco alla messinese, dello scirocco e della vita lenta (macaia e maniman), dell’ Appennino che corre sino ai Nebrodi e dei marinai imperiali, in questo luogo-simbolo che ha accorciato le distanze tra Nord e Sud non c’è stato un normale, fisiologico ricambio amministrativo. E’ stata invece battuta – e dall’astensione che è grugno, stizza e rabbia molto più che dal centrodestra dell’inadeguato Toti – la sinistra delle barche a vela e dei consumi status symbol, della Smart e dell’aereo di Stato, dei fotografi personali, dal ritrattista di D’Alema (1997) a quello di Renzi (2016), la sinistra che in alto flirta con la finanza e in basso spaccia l’estetica del degrado per poesia e per “umanità”, la sinistra che doveva liberarci dai sentimenti e dalle emozioni sempre perdenti, dal camisaccio generoso dell’archeologia marxista, dalla bandiera prigione dalla quale tentiamo di evadere sin dai tempi dell’Eurocomunismo (1976) di Berlinguer, Marchais e Carrillo, quarant’anni di mal di testa appunto per spretarci dall’universo concentrazionario della fabbrica, dal mito della classe operaia, dalle pulsioni comunitaristiche: le sezioni, i compagni, il dopolavoro, i circoli e le sagre .
E siamo naufragati, invece, nel micro deposito di Paperone, negli invincibili rancori personali da borghesi piccoli piccoli, ai quali si è aggiunto ieri un eterno ritorno di Romano Prodi che, invitato da Renzi a stare lontano, si è arrabbiato, ma con la metafora coloniale della tenda e del beduino, quasi ci fosse davvero uno scontro “culturale” tra vecchio e nuovo, come se Renzi fosse ancora il simpatico giovanotto che sfacciatamente voleva impadronirsi del mondo e quell’altro il capo perdente ma scorbutico che si allontana malinconico come l’Humphrey Bogart di Casablanca :”sposterò la tenda più lontano senza difficoltà. Intanto l’ho messa nello zaino”. E sembra di rivivere l’ardente scontro(sempre negato) tra Massimo e Romano, quando era comunque meglio avere torto con Prodi che ragione con D’Alema.
Sono decenni che la sinistra cerca la modernità di Schumpeter contro il denaro mammona di Lenin , e siamo finiti invece nella devozione all’ usura delle banche che sono le sole imprese che in Italia non falliscono mai. Ed è stata sconfitta nelle amministrative la sinistra che doveva liberare la scuola dalla burocrazia, dalle cartacce e dagli istogrammi e l’ha consegnata ai presidi sceriffi, negando ai professori, che della sinistra italiana sono ancora il popolo, una vera rivalutazione dello stipendio più basso d’Europa. Eppure era di sinistra pensare che non esistesse un altro modo di iniziare una riforma della scuola se non restituendo agli insegnanti l’antico decoro, se non sottraendoli alla condizione di nuovo proletariato, a un destino di sradicati, cultori di malessere, massa di manovra per ogni genere di demagogia. E si potrebbe a lungo continuare con tutte le sconfitte della sinistra vestita di destra.
E’ vero che la parola comunismo è ormai solo antiquariato e divertimento intellettuale per vecchi professori, ma l’affezione leghista dei ceti deboli e dei poveri, il populismo e il vaffa, l’angosciante vittoria nelle città rosse e nei quartieri operai di un centrodestra spennato fa venire voglia di allestire quel teatrino di “Good Bye, Lenin!” e far finta , come i laburisti in Inghilterra, che ci sia ancora un’utopia da fantasticare. E, come scrisse il regista di quel film cult, riportare in scena il paradiso “che nella realtà non era mai esistito”.

venerdì 11 ottobre 2013

FEMMINICIDIO...IL TESTO DIVENTA LEGGE


Femminicidio, ok lampo del Senato. Sì definitivo del Parlamento al decreto legge
I risultati del voto a Palazzo Madama (ansa)
ROMA - Sì definitivo dell'Aula del Senato al decreto legge che contiene le misure per il contrasto del femminicidio. Il testo è stato approvato a Palazzo Madama con 143 sì e 3 no. Come già alla Camera due giorni fa, anche oggi Lega, M5S e Sel non hanno partecipato al voto.

Il TESTO DIVENTATO LEGGE

Con una votazione a tempi record - il provvedimento, infatti, scadeva il 14 ottobre - che ha destato diversi malumori nell'opposizione così come nella maggioranza, le nuove norme sono ora pronte per essere promulgate dal presidente della Repubblica e pubblicate in Gazzetta Ufficiale. Bocciata una pregiudiziale di costituzionalità presentata dal M5S. 

Il premier Enrico Letta esprime la sua soddisfazione con un tweet.- La Repubblica

giovedì 4 luglio 2013

EGITTO...

'EMERGENZA

Il Cairo, oltre cento stupri: "Vogliono tenere donne fuori dalla vita pubblica"

Le aggressioni alle donne superano ormai il centinaio in piazza Tahrir. Le molestie sessuali sono da tempo frequenti in Egitto. Il convegno con Laura Boldrini. Le denunce di  Human Rights WatchAmnesty International
di CARLO CIAVONI

IL CAIRO - Ormai si contano a centinaia le aggressioni sessuali contro le donne che partecipano alle proteste anti-governative in piazza Tahrir. Per arginare il fenomeno, che dura ormai da settimane, è nato un gruppo anti-violenza che opera nella piazza, divenuta ormai  l'epicentro delle  manifestazioni. Molte donne hanno subìto un intervento chirurgico dopo essere state violentate, alcune di loro addirittura con oggetti appuntiti. Altre sono state picchiate con catene, bastoni e altri corpi contundenti o ferite con lame di coltelli.

IMMAGINI. LA FOLLA DIFENDE LE DONNE

Le molestie sono frequenti in Egitto.
 Le molestie sessuali  stanno letteralmente scuotendo il movimento di protesta. Una ragazza di 22 anni, olandese, è stata aggredita da più uomini. La giovane era lì per conto di una organizzazione egiziana per scattare delle foto. Secondo le autorità, l'attacco è annoverato tra i sette casi segnalati dai gruppi per i diritti umani in piazza Tahrir nel corso della fine della scorsa settimana. 

Aggressioni fuori controllo. Si tratta di atti criminali - hanno fatto sapere le stesse autorità di governo, attraverso le agenzie - "che non sembrano essere politicamente motivati" (??) e comunque sarebbero fuori controllo. Molti casi di stupro sono stati giudicati particolarmente gravi, al punto da richiedere un trattamento psicologico o medico. Un reporter della Associated Express, domenica scorsa, ha riferito di aver visto un gruppo di uomini che agitavano bastoni di legno, circondando una donna egiziana. Nabil Mitry, un uomo di 35 anni, tra i manifestanti di piazza Tahrir, ha riferito alle agenzie che gli assalitori urlavano insulti ad un uomo che cerca di aiutare la donna, aggiungendo l'accusa della mancanza di forze di polizia nella piazza, che comunque in gran parte si tiene lontana per evitare scontri con i manifestanti. "Il problema è proprio il fatto che non c'è la polizia - ha detto l'uomo -  quindi non c'è sicurezza".                    

E c'è chi incolpa le donne.
 Un portavoce dei Fratelli Musulmani di Morsi, Gehad al-Haddad, ha esortato i manifestanti - in un comunicato pubblicato sul suo account twitter Anti-sessuale - a sostenere le iniziative dei gruppi sorti a protezione delle donne che manifestano. Gli attivisti hanno offerto corsi di autodifesa. Sono stati aperti siti e social network in cui le donne possono "nominare e svergognare" i loro molestatori. Ma ci sono anche i chierici religiosi conservatori e alcuni funzionari di governo che incolpano le donne, dicendo che invitano gli uomini alle molestie e agli abusi sessuali. 

La verità necessaria.
 La pace e la riconciliazione dei popoli dilaniati dalle guerre passano per la verità, particolarmente sulla drammatica questione delle violenze sessuali come strumento bellico o nelle situazioni post-conflitto contro donne, ma anche bambini ed uomini: lo ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini, aprendo il convegno La verità necessaria - I processi di riconciliazione nei paesi dei paesi arabinella Sala del mappamondo a Montecitorio. "Ricordare è un esercizio molto doloroso - ha affermato Boldrini - Non tutte le vittime ce la fanno.... Ma i racconti possono contribuire a incamminarsi verso il futuro, per gli individui ma anche per le comunità e le società. Solo raccontando la verità  possono tornare pace e riconciliazione".

La proposte in discussione.
 Boldrini ha ricordato la proposta in discussione in Libia per equiparare le vittime di violenze sessuali durante la guerra e durante il regime di Gheddafi alle vittime di guerra, con diritto a compensazioni ed assistenza. Il convegno, organizzato in collaborazione con la Ara Pacis Intiative e l'Observatory for gender in crisis, accoglie vittime, testimoni delle violenze, ma anche esperti per rompere il silenzio e l'omertà che circondano questi crimini e garantiscono impunità ai colpevoli. La prima drammatica testimonianza è stata quella di un padre che ha portato via il figlio da una prigione libica dove è stato ferocemente torturato.

Il racconto di un'aggredita. Il volto e il corpo coperti dal niqab, l'abito tradizionale islamico che lascia solo gli occhi scoperti, portato solo per mantenere l'anonimato, garantito anche dalle luci soffuse e dalle telecamere spente. Poi il racconto con voce tremante di giorni di stupri, sevizie, scosse elettriche che le hanno fatto prima di perdere il bimbo che aspettava, poi l'hanno resa sterile. Il drammatico racconto è avvenuto alla Camera dei Deputati, nel corso del convegno La verità necessaria - I processi di riconciliazione delle primavere arabe, che ha affrontato il tema dello stupro come arma da guerra e ancora praticata nei paesi post-conflitto, anche in quelli della ormai incerta Primavera araba. La donna ha spiegato che l'arresto è avvenuto dopo che lei ed alcune amiche erano state riprese da Al Jazeera mentre invitavano le altre studentesse a scendere in piazza contro Gheddafi. Poche ore dopo, iniziava l'incubo. "Mi hanno arrestata, e tenuta nuda per tutto il tempo. Gli stupri erano continui, poi le scariche elettriche. Chiedevo che chiudessero la porta almeno quando dormivo. Le mie amiche, non le ho più viste. E la mia famiglia che mi dice, se non ti fossi messa a fare i proclami oggi non ti sarebbe successo nulla", ha raccontato.

Human Right Watch.
 "Gli attacchi sessuali sfrenati durante le proteste di piazza Tahrir evidenziano il fallimento del governo e di tutti i partiti politici nell'affrontare la violenza che le donne in Egitto sono costrette a subire quotidianamente negli spazi pubblici", ha detto Joe Stork, vice direttore per il Medio Oriente di Human Rights Watch. "Questi sono crimini gravissimi che tentano di dissuadere le donne dal partecipare alla vita pubblica in Egitto". Human Rights Watch ha documentato a lungo il problema della violenza sessuale nelle strade del Cairo e, in particolare, le proteste in piazza Tahrir. 

Amnesty International.
 Aver consentito agli autori di molestie sessuali e aggressioni di sfuggire alla giustizia ha alimentato la violenza scatenatasi contro le donne al Cairo, negli ultimi mesi. È questa la responsabilità che Amnesty International addossa alle autorità egiziane, in un nuovo briefing basato sulle testimonianze delle sopravvissute alla violenza sessuale e di attivisti e attiviste. Amnesty Internationaldenuncia l'identica modalità con cui si svolgono le aggressioni di massa: un gruppo di uomini, che si fa rapidamente sempre più grande, circonda una donna isolata o la separa dai suoi amici. La donna vienetrascinata all'interno del circolo di uomini, che violano il suo corpo con le mani o con armi da taglio mentre cercano di denudarla. "Questi attacchi ci dicono quanto sia indispensabile, ora, che il presidente Morsi adotti provvedimenti drastici per porre fine a una cultura basata sull'impunità e sulla discriminazione di genere", ha detto Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord diAmnesty International

sabato 11 maggio 2013

MISSONI E LA MOGLIE ROSITA...

Aveva compiuto 92 anni l'11 febbraio scorso, ma non era stato un compleanno di festa come gli altri. Per Tai, così era soprannominato Ottavio Missoni, sempre al centro dei forti legami familiari, tutta una vita nello sport, nella moda e nel colore, quella era stata un'altra delle grigie giornate di ansia nell'attesa mai rassegnata di notizie dal Venezuela. Il 5 gennaio era sparito infatti il piccolo aereo su cui il primogenito Vittorio e sua moglie Maurizia stavano tornando da una vacanza con gli amici alle isole Los Roques. Da quel giorno, la vita di tutti i Missoni era cambiata anche se, con la forza dell'amore mai rassegnato, le ricerche sono continuate con tenacia e così anche l'attività dell'azienda. Mentre la seconda figlia, Angela, portava avanti, con il sorriso sul viso e il dolore nel cuore, il grande marchio fondato dai genitori, suo fratello Luca si era impegnato in prima persona nelle ricerche. Tre figli e nove nipoti - tre per ogni figlio - per una grande famiglia che ha vissuto mesi difficili e il grande cuore di Tai temprato da una vita nello sport, non ha retto al peso di una età fiaccata dal dolore. Eppure forse lui stesso oggi vorrebbe essere ricordato soprattutto per i nove decenni di forza e di entusiasmo che hanno connotato la sua vita.
La storia di Ottavio Missoni è davvero unica e continuerà ad affascinare il mondo, non solo quello della moda, anche perché emblematica di un certo modo tutto italiano di essere uomo e imprenditore. Nato nel 1921 a Ragusa, ora Dubrovnik, Ottavio era cresciuto a Zara. Si considerava triestino d'adozione ma si sentiva dalmata e diceva: "Noi della costa non siamo né danubiani né balcanici, e se qualcuno oggi la chiama Croazia del Sud io insisto a dire che è Dalmazia". I ricordi sono quelli di un esule: "L'ultimo Natale a Zara - aveva raccontato all'ANSA anni fa - è stato quello del 1941, poi sono andato militare. Quando ci furono i bombardamenti degli anglo-americani, io ero prigioniero in Egitto, mio padre e mio fratello erano imbarcati. A casa era rimasta mia madre che, ai primi del 1944, è fuggita da sola a Trieste lasciando tutto, ma portandosi via il pianoforte, che ancora abbiamo". Il resto andò perduto, anche la casa di famiglia a Ragusa. Nel 1935, a 14 anni, Missoni aveva cominciato a praticare seriamente l'atletica, nei 400 piani e nei 400 ostacoli.
Nel 1939 era diventato campione mondiale studentesco a Vienna e dopo la guerra, che gli aveva portato via i migliori anni per lo sport, aveva partecipato alle Olimpiadi di Londra nel 1948 (classificandosi al sesto posto nella finale dei 400 ostacoli e correndo la staffetta 4x400) ed era poi arrivato quarto agli europei del 1950. Nella sua carriera ha vestito 23 volte la maglia azzurra e conquistato 8 titoli italiani. Ma Tai era rimasto sempre uno sportivo e, con l'avanzare dell'età si era dedicato ai lanci, partecipando perfino ai mondiali di giavellotto (per 'under 90', disse con autoironia prima di compierli). Proprio a Londra però Ottavio aveva conosciuto Rosita Jelmini, figlia di imprenditori tessili lombardi, e con lei, diventata sua moglie, iniziò a sviluppare la sua attività, già iniziata da solo con una piccola produzione di indumenti sportivi, il nucleo di quell'impresa che avrebbe portato la coppia sulle vette della moda. Agli esordi, la coppia aprì un laboratorio a Gallarate. Il salto avvenne nel 1958, quando la Rinascente commissionò ai Missoni 500 abiti a righe. "Tentavamo di lavorare sul colore ma, con le macchine che avevamo allora, era difficile" ha ricordato Tai in seguito (Balthus lo definì "maestro del colore"). Dall'esigenza creativa si sviluppò la ricerca tecnica. Nel 1969 Tai e Rosita costruirono lo stabilimento e la casa di Sumirago, nel varesotto, dove ancora adesso la famiglia vive e lavora, casa e bottega, perché i Missoni si considerano artigiani.
All'inizio degli anni 70 fu successo mondiale: arazzi coloratissimi, patchwork, righe e fiammati arcobaleno e il famoso 'put together', espressione con cui Ottavio spiegò agli americani che si trattava di 'mettere insieme' fantasie di punti e colori che mai nessuno avrebbe osato accostare, in un caleidoscopio di motivi e di tinte. L'originalità e la riconoscibilità di questa moda ha portato i Missoni nei più importanti musei. Non si contano le mostre dedicate all'arte di Tai, di Rosita e della loro famiglia speciale, e non si contano i premi. Ma per il patriarca, che ormai ultranovantenne aveva ancora il suo studio pieno di lane colorate e di arazzi in maglia, tra le opera d'arte moderna nella bella azienda tutta vetri affacciata sul verde di Sumirago, tutta questa fama era intessuta di leggerezza e ironia. Aveva tanti amici Ottavio, nella moda e anche tra giornalisti e intellettuali: le colazioni e le cene nella bella casa Missoni erano famose per la qualità del cibo e per l'allestimento colorato, ma anche per la semplicità dell'accoglienza calda, mai formale, un tratto di semplicità sportiva elegante e disinvolta. Tai viveva il successo con il disincanto della nostalgia da profugo dalmata e insieme con l'ottimismo della terra lombarda dove aveva messo radici.La Repubblica

domenica 24 marzo 2013

BASTA COCAINA...


Nelle piazze dello spaccio
per dire stop alla cocaina

"Tiradritto": da un'idea di Paolo Berizzi in collaborazione con il Dipartimento politiche antidroga, una campagna unica per riappropriarsi degli spazi urbani 'rubati' dalla polvere bianca e occuparli con dibattiti pubblici. Un viaggio itinerante, col sostegno di moltissimi artisti - da Favino a Kasia Smutniak - che toccherà 15 città italiane. Si parte da Tor Bella Monaca (Roma) il 27 marzo per arrivare fino a Milano "coca-city"

di ALESSIA MANFREDI 

OCCUPARE i fortini dello spaccio per sottrarli agli spacciatori e restituirli alla legalità almeno per un giorno. Dire stop alla cocaina, liberando gli spazi che ha conquistato in sordina e riempirli con la parola. Da Roma a Milano, quindici tappe per un'iniziativa unica nel suo genere, lontana anni luce dalle aule dei convegni e tutta giocata in strada, a cielo aperto. Per parlare di droga, del suo potere diffuso, di come regola e stravolge dinamiche sociali e urbane, andando dritti nella tana del lupo, là dove viene venduta.   

Si chiama "Tiradritto", invito fin troppo chiaro, e vuole ribaltare la prospettiva, ambientando in quei luoghi sottratti alla gente e alla città dibattiti pubblici con amministratori, rappresentanti delle istituzioni, della cultura, dello spettacolo, del giornalismo; operatori sociali, medici, mondo del volontariato e dell'assistenza. E semplici cittadini, insieme per denunciare una piaga sociale che viene ancora sottovalutata, figlia del nostro tempo. 

Il progetto. L'iniziativa (qui la pagina Facebook) - in collaborazione con il Dipartimento Politiche Antidroga, della presidenza del Consiglio e del Ministero per la cooperazione internazionale e l'integrazione - nasce da un'idea di Paolo Berizzi, inviato di Repubblica, che nel suo ultimo libro-inchiesta, "La Bamba", uscito per Dalai nel 2012, insieme ad Antonello Zappadu ha seguito passo per passo il percorso della polvere bianca dalla foresta amazzonica colombiana fino alle piazze italiane, con capolinea Milano "coca-city".  

Ubiqua, facilissima da trovare, sempre meno cara, la cocaina regna sovrana nel mercato degli stupefacenti. Democratica, arriva ovunque: dal camionista al pilota, dal chirurgo al parlamentare, dallo studente al manager. Perfettamente inserita in ogni strato della società, dà vita ad un gigantesco business.  

"E' la prima volta che si fa una campagna del genere per la droga in Italia. Quando mi è venuto in mente di provarci, ho subito condiviso l'idea con Elsa Di Gati, giornalista di Rai 3, che modererà i 'talk'. Al progetto contribuisce insieme ad una squadra di professionisti, tutti volontari, con grande energia, intelligenza e passione", racconta Berizzi. 

La prima tappa. Si parte da Tor Bella Monaca, Roma, il 27 marzo alle 15 per il primo "talkstreet", organizzato con il sostegno della Croce Rossa Italiana e della comunità Villa Maraini. "Sarà, appunto, un dibattito in strada", spiega. Niente palchi, solo sedie all'aperto in mezzo alla gente. "Racconteremo le dinamiche legate al traffico di cocaina e con esperti di diversi campi parleremo dell'impatto che la coca ha sulla nostra quotidianità". 
 
Il luogo scelto per l'inizio del viaggio è la Pinetina, cuore dello spaccio romano e una delle piazze più calde del Lazio. Non vuole essere una provocazione, ma una sfida. Che è piaciuta a diversi artisti come Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Marco Giallini, Matteo Garrone, Pasquale Pozzessere, Marco Lodoli, Massimo Wertmuller, Flavio Insinna e molti altri ancora. Ognuno con la propria sensibilità aiuterà a diffondere il messaggio e ad arricchire il dibattito, per aprire un dialogo con il territorio: informare ma anche ascoltare. 

"Deve essere chiaro agli occhi di tutti, ma soprattutto dei ragazzi", ricorda Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento politiche antidroga, "che chi acquista anche una piccola quantità di droga, di qualsiasi droga, per il proprio piacere personale o perché ne è dipendente, purtroppo finanzia le mafie, la loro violenza e il mal affare delle organizzazioni criminali nonché il terrorismo". Senza contare, aggiunge, gli effetti nocivi sul cervello causati dall'uso di cocaina, in particolare nei giovani. 

Gli altri appuntamenti. L'occupazione letteraria lascerà Tor Bella Monaca per arrivare a Napoli, Scampia, e poi a Bari (Japigia), Palermo (Zen), Cagliari (Sant'Elia), Perugia (Via del Macello), Firenze (Santa Croce), Bologna (San Vitale), Torino (Porta Palazzo), Padova (Via Anelli), Verona (Porta Nuova), Varese (Piazza della Repubblica), Brescia (Piazzale Arnaldo), Bergamo (Malpensata), e terminare a Milano (Corso Como). Un percorso che porta dritto al 26 giugno, giornata mondiale contro le droghe e l'illegalità. 

Le realtà toccate sono molto lontane fra loro: Scampia è molto diversa da Verona, lo Zen di Palermo non è Bergamo. "Ogni città ha una storia a sé, caratteristiche identitarie diverse, forme di spaccio diverse. Per questo mi aspetto reazioni differenti, di certo anche il fastidio di chi tiene i fili dei 'fortini'. L'importante però è avere un riscontro della gente, sia positivo che negativo", racconta Berizzi. 

"Tiradritto, stop cocaina": un invito rivolto ai più giovani, quelli più a rischio, per cui la coca dovrebbe tornare ad essere solo una bibita. Ma anche agli spacciatori: lasciate perdere, almeno per un giorno, lasciate liberi questi spazi. Una scommessa e un'iniezione di fiducia: per ricordarsi, come si legge nella presentazione del progetto, come ci si sente bene padroni di noi stessi. Anche solo per un pomeriggio.
(22 marzo 2013)


venerdì 4 gennaio 2013

CACIOTTI & SEA ...ACCADONO COSE INCREDIBILI...

"Mi hanno chiesto 700 euro

per lavare il sangue di mio figlio dall'asfalto"

La denuncia di una madre: il conto arrivato dopo la morte del ragazzo. Il 30 agosto 2009 Valerio Leprini, 15 anni, morì in un incidente stradale, dopo essere caduto dal suo scooter in via del Fontanile Anagnino, colpendo con la testa un palo dell'illuminazione pubblica che non doveva esserci

di GIUSEPPE SCARPA l LA REPUBBLICA
"Pensavo di averla sognata la lettera di Sicurezza e Ambiente: settecento euro per ripulire la strada dal sangue di mio figlio". Una richiesta assurda stretta tra le mani poi la consapevolezza che fosse tutto vero: "Non era un sogno era una beffa, allora piansi". A distanza di poco più di tre anni il tono della voce di Alessandra Mezzetti è fermo, deciso. Adesso per la donna non è più il tempo delle lacrime ma quello della giustizia, delle spiegazioni: "Allora non ebbi la forza di reagire, il dolore era troppo forte: pagare per lavare la strada dal sangue di mio figlio per 'questioni di sicurezzà perché la carreggiata poteva essere scivolosa. Valerio morì sbattendo la testa su un palo dell'illuminazione pubblica fuorilegge, e venivano a chiedere a me del denaro per "questioni di sicurezza"?".

Il 30 agosto 2009 Valerio Leprini, 15 anni, morì in un incidente stradale, dopo essere caduto dal suo scooter in via del Fontanile Anagnino, colpendo con la testa un palo dell'illuminazione pubblica che non doveva esserci. Morì per colpe non sue. E per il suo decesso sono imputati per omicidio colposo tre vigili e un funzionario del X municipio. Dopo l'incidente mortale, il palo venne rimosso. Una prima beffa. Poi ci fu la seconda beffa ancora più subdola, come ricorda la signora Mezzetti: fu, appunto, la volta della lettera recapitata a casa della donna per pagare la pulizia della carreggiata dopo l'incidente fatale del figlio. "Dovevano utilizzare un macchinario
particolare per ripulire il tratto stradale, così c'era scritto nella lettera che mi inviarono  -  spiega Mezzetti  -  e per questo veniva giustificata una simile spesa". Ma qui non si tratta di soldi precisa la donna: "Dove è la sensibilità da utilizzare in simili circostanze? Sapevano ciò che era successo, tanto vale che mi piantassero un coltello sul petto".

Poi, si chiede la donna, "non sono già abbastanza salate le bollette che paghiamo all'Ama per la pulizia della strada, adesso ci vogliono anche ulteriori 725 euro da Sicurezza e Ambiente quando ti muore un caro in un incidente stradale". E' una beffa ripete la signora Mezzetti qualcosa di incredibile: "A questo punto non mi stupirei se un domani mi dovessero chiedere di risarcire il palo dell'illuminazione pubblica ammaccato dalla testa di mio figlio".

sabato 17 novembre 2012

LE DICHIARAZIONI DEL QUESTORE DI ROMA...

Questore di Roma: ''Lacrimogeni via Arenula della polizia, forse sparati da terra''

"Verosimilmente, se lacrimogeno è, potrebbe essere stato esploso con una parabola da uno dei nostri ed essersi infranto contro un muro di via Arenula, dando l'idea di essere stato lanciato da un balcone. Stiamo verificando". Così il Questore di Roma Fulvio Della Rocca

Sindacato polizia penitenziaria: ''Lacrimogeni che si usavano nelle carceri''

Leo Beneduci, segretario nazionale del sindacato di Polizia penitenziaria (Osapp) - della quale fa parte il corpo di vigilanza che tutela la sicurezza del ministero di Giustizia - si dice "sconcertato" dal video di Repubblica.it che mostra lacrimogeni a strappo scendere dalle finestre del palazzo del governo in via Arenula. Conferma: "Non sono in dotazione degli uomini in sede, erano in uso nelle carceri diversi anni fa"

LA VERITA' SI VEDE DAL FILMATO

venerdì 16 novembre 2012


Mercoledì 14 novembre, via Arenula, Roma. Nel filmato, realizzato con un videofonino da un piano alto da un lettore di Repubblica.it, si vedono i ragazzi in corteo correre lungo la strada, dopo aver forzato il blocco della polizia all’altezza del Lungotevere dei Vallati. All’improvviso, dalle finestre del palazzo del ministero della Giustizia piovono lacrimogeni sulla folla in fuga. A giudicare dalla traiettoria, si tratterebbe di lacrimogeni a strappo: due sembrerebbero partire dal secondo piano sopra le stanze occupate dal ministro Paola Severino, il terzo dal tetto dell’edificio.QUI

mercoledì 7 novembre 2012

AMERICA

Referendum, l'America dice si
alla marijuana e alle nozze gay

Ondata liberale nelle urne: lo Stato di Washington e del Colorado votano per la legalizzazione della marijuana per "uso ricreativo". Il Massachusetts solo per "fini terapeutici". Via libera ai matrimoni omosessuali a Washington, Maryland e Maine

SEATTLE - Lo Stato di Washington e del Colorado dicono sì alla legalizzazione della marijuana per "uso ricreativo". Dai referendum americani arriva una ventata liberale: dopo "l'uso terapeutico" (già dal 2009 legalizzato in Colorado, facendo di Denver una sorta di mecca per l'acquisto di cannabis curativa) ora sarà possibile possedere erba anche senza ricetta. In sostanza fumarsi una canna non sarà più un reato, e neanche portarsela in giro. Basterà averne meno di un'oncia, l'equivalente di circa 28 grammi (una soglia abbastanza alta), per non incorrere in alcuna sanzione.

Anche in Massachusetts si è votato sull'uso della marijuana, ma il referendum riguardava l'uso terapeutico. Gli elettori chiamati in questa tornata elettorale si sono espressi a favore della legalizzazione, con il 63% dei consensi. Il referendum eliminerà le pene civili e penali per quei pazienti che useranno la marijuana a scopo curativo, ma il paziente dovrà ottenere una certificazione da parte di un medico e dovrà iscriversi in un'apposita lista

In ballo non c'era solo la questione droga: i 176 referendum su cui si è votato toccavano temi molto accesi e anche curiosi. Dai matrimoni gay, passando per l'uso obbligatorio dei preservativi nei film porno e i finanziamenti all'aborto.

Risultato importante per i diritti degli omosessuali a Washington, Maryland e Maine: il referendum approva i matrimoni omosessuali. È la prima volta che viene dato il via libera ai matrimoni gay in un referendum

La Florida ha invece respinto una proposta per proibire l'uso di fondi pubblici per l'aborto per assicurazioni sanitarie che comprendano le interruzioni volontarie della gravidanza. Con lo scrutinio dei voti del referendum praticamente ultimato, il 55% ha votato contro il cosiddetto Emendamento 6 e solo il 45% a favore.

domenica 28 ottobre 2012

CARLO DE BENEDETTI - L'ESPRESSO

CARLO DE BENDETTI - L'ESPRESSO ...disse: 

E' LA CREAZIONE DI LAVORO LA PRIORITÀ CHE ABBIAMO DAVANTI. SAREBBERO GUAI SE PENSASSIMO CHE COMPETITIVITÀ E PRODUZIONE SI DIFENDONO CON UNA ANACRONISTICA RIDUZIONE DEI COSTI" 

LE ULTIME PAROLE FAMOSE

Oggi sciopero dei giornalisti
del Gruppo Espresso,
Repubblica, Finegil, Elemedia


I Cdr del Coordinamento del Gruppo editoriale Espresso Repubblica Finegil Elemedia, dopo aver sollecitato un piano di rilancio di tutte le testate del Gruppo, aver chiesto ripetutamente garanzie sugli organici, aver chiesto all'azienda l'immediata moratoria del piano di ristrutturazione di Finegil Roma e aver ricevuto durante l'incontro di mercoledì con l'Azienda solo risposte negative, ritenendo inoltre irricevibili le annunciate riduzioni dei costi a carico del personale giornalistico, già penalizzato dai mancati turnover, proclamano una giornata di sciopero per oggi sabato 27 ottobre, come primo segnale di protesta.

A maggior ragione, perché tali prospettive appaiono in clamoroso contrasto con l'utile di bilancio dei primi nove mesi di 26,4 milioni di euro approvato nei giorni scorsi dal Cda del Gruppo Espresso e con le recenti affermazioni del suo presidente Carlo De Benedetti: "E' la creazione di lavoro la priorità che abbiamo davanti. Sarebbero guai se pensassimo  che competitività e produzione si difendono con una anacronistica riduzione dei costi".

I Cdr del Coordinamento chiedono quindi all'Azienda l'immediata presentazione di un progetto che tuteli il patrimonio professionale e i valori del Gruppo Espresso fondati sull'autonomia e la libertà di informazione, soprattutto in questo momento in cui vengono ancora una volta messi a rischio da leggi bavaglio. Chiedono inoltre una moratoria sul ridimensionamento degli organici, la difesa dei contratti a termine e l'apertura di un confronto
in sede Fieg-Fnsi per ripristinare corretti rapporti sindacali e per discutere delle prospettive di rilancio dell'intero Gruppo.

I Cdr del Coordinamento sono pronti ad adottare ulteriori iniziative che riterranno necessarie a difesa degli
organici e della qualità professionale da sempre garantita dal lavoro dei giornalisti del Gruppo Espresso.

Pertanto, i giornalisti hanno deciso una giornata di silenzio dell'intero Gruppo (carta, web, radio, tv) e quindi oggi tutti i siti web, anche del settimanale l'Espresso, non sono aggiornati e domani i giornali non saranno in edicola.

I Cdr del Coordinamento del Gruppo Espresso
Repubblica, Finegil, Elemedia

 

 
 
 

giovedì 18 ottobre 2012

RAI E LA PUBBLICITA' ...1985


la Repubblica - Giovedì, 1 agosto 1985 - pagina 2
di DANIELA BRANCATI

Nel pomeriggio alla Camera la decisione sul decreto per i network
RAI, OGGI ULTIMO APPUNTAMENTO MA L' ACCORDO POLITICO NON C' E'

Niente nomine, forse il voto sulla pubblicità

ROMA - L' accordo sulla Rai non c' è più. Ma la commissione di vigilanza era stata convocata quando i partiti erano convinti di averlo raggiunto, così oggi pomeriggio i 40 parlamentari che dovrebbero vigilare sulla Rai e indirizzarla, sono chiamati ugualmente a discutere sui due punti all' ordine del giorno: la nomina del consiglio di amministrazione del servizio pubblico e il tetto di pubblicità consentita alla azienda per l' 85. Ad accoglierli - ammesso che si presentino - sarà un nutrito gruppo di giornalisti della Rai, che accompagnerà i rappresentanti della Federazione nazionale della stampa. I sindacalisti seguiranno infatti i lavori della commissione perchè, nel caso che le decisioni siano nuovamente rinviate, attueranno le proteste già programmate. Fin da domani ad esempio, sono state convocate assemblee nelle redazioni giornalistiche della Rai che potrebbero far andare in onda in forma ridotta i notiziari televisivi e radiofonici. Tutto il pomeriggio di ieri è stato utilizzato dai vari leader di partito per discutere, fra un voto e l' altro alla Camera, della possibilità che almeno il tetto per la pubblicità venga approvato, anche se il rinvio a settembre della nomina dei 16 consiglieri Rai sembra certo. I repubblicani hanno ribadito in un editoriale della Voce, la decisione irrevocabile di non votare in contrasto con il loro "modo di intendere la politica come servizio e non come occupazione permanente di posti". Hanno anche detto però, chiacchierando in Transatlantico, che non drammatizzeranno se gli altri quattro partiti della maggioranza voteranno senza di loro. Il responsabile del dipartimento comunicazioni sociali della Dc, Mauro Bubbico, per aggirare il principale ostacolo ha proposto di invertire l' ordine del giorno della riunione, discutendo prima della pubblicità per l' 85. Ma l' idea ha incontrato solo l' approvazione liberale, i socialisti non hanno preso ufficialmente posizione e ne hanno discusso in una riunione a porte chiuse. Tuttavia la questione, e per portata politica e per l' impatto sull' opinione pubblica, non sembra più di competenza dei dirigenti di settore; tutto sembra nuovamente tornato nelle mani dei segretari di partito. Se le scadenze istituzionali - il consiglio è scaduto da due anni e il tetto doveva essere fissato un anno fa - sono state ampiamente disattese, oggi pomeriggio c' è alla Camera il voto sul decreto che non può attendere, poichè decade sabato. Gli interessi incrociati della Dc ad avere il tetto pubblicitario (del quale ha fatto una bandiera di difesa del servizio pubblico) e del Psi a far passare il decreto che proroga la legittimità delle trasmissioni dei network privati fino alla fine di dicembre, sono forti e forse finiranno per prevalere, agevolando la ricerca di una soluzione almeno su questi due aspetti. Teoricamente, anche senza i repubblicani ci sarebbero i numeri in commissione di vigilanza per votare il "tetto" ma i comunisti si sono dichiarati contrari ad invertire l' ordine del giorno. "A che servirebbe - dice Veltroni - uno schiaffo al regolamento in assenza di una normativa generale e del consiglio di amministrazione?". La stessa proposta di De Mita sulla pubblicità illustrata al nostro giornale dal ministro delle Poste Gava, anzichè tranquillizzare gli oppositori, ha suscitato molte reazioni negative. "Il mercato pubblicitario deve essere lasciato libero" afferma il presidente dell' Upa Giulio Malgara. "Imporre ad una quota di pubblicità destinazioni diverse da quelle decise dalle aziende, è come imporre ai consumatori di mangiare riso piuttosto che pasta: è dirigismo bello e buono. Siamo tutti preoccupati del destino della stampa, ma la soluzione non sta in sovvenzioni obbligatorie, bensì in un suo ulteriore sviluppo che la renda sempre più appetibile come veicolo di pubblicità. Il migliore ed unico intervento possibile sul mercato è quello di ridurre gli indici di affollamento. Tanti minuti di seguito di pubblicità sono un grave danno anche per noi utenti: dopo il primo spot la gente calcola i tempi e si alza, va in giro per casa e non vede gli altri messaggi. Noi però li abbiamo pagati, e allo stesso prezzo di quelli che vanno in onda per primi". L' Upa fa notare che ogni stanziamento pubblicitario rappresenta per l' azienda un importante investimento capace di influire sulle buone o cattive sorti dell' impresa: "Incanalarlo forzosamente su un mezzo piuttosto che su un altro significa coartare le scelte imprenditoriali". Lo stesso presidente della Fieg, Giovannini, ha affermato "Apprezziamo la buona volontà che indubbiamente c' è, ma i politici devono convincersi che l' unica soluzione possibile è quella di diminuire l' affollamento di spot nelle ore di principale ascolto. Questo evita fastidi ai telespettatori e mantiene le tariffe televisive su livelli giusti, tali per cui la stampa possa competere".

martedì 25 settembre 2012

DIRETTORE POSTE AL SENATO SPACCIAVA COCAINA...


Cocaina, arrestato direttore poste Senato
Presa banda italo-albanese: 10 arresti

L'uomo è ritenuto il braccio destro di un boss dell'Albania che gestiva i pusher nella parte sud dell'hinterland di Roma. Le indagini durate sette mesi dei carabinieri di Valmontone hanno portato all'arresto anche di un autista Cotral e di un vigile urbano. Spacciavano anche con le auto di servizio
Lo leggo dopo
ROMA - Il direttore dell'ufficio delle Poste del Senato è stato arrestato dai carabinieri per spaccio di cocaina. L'uomo è ritenuto il braccio destro di un boss albanese che gestiva i pusher nella parte sud dell'hinterland di Roma. Secondo quanto si è appreso il 53enne Orlando Ranaldi, di Olevano Romano, lavorava insieme a un'autista Cotral, Alessandro Mele, 36enne, che gestiva il traffico di droga quando arrivava dalla Capitale tramite gli albanesi. A quanto accertato dagli investigatori, il sodalizio era ormai "consolidato".

Chi teneva i rapporti tra la banda di albanesi di Torre Maura, borgata romana, e la 'cupola' di Valmontone era proprio l'autista del bus che gestiva e coordinava le operazioni di spaccio. La cocaina, riferiscono i militari, arrivava appunto da Roma e serviva solo il territorio di Valmontone. Tutti avevano un ruolo prestabilito. Il direttore per esempio, non solo spacciava ma aveva rapporti diretti con l'autista del bus. Una struttura consolidata e verticistica, dove ognuno era a conoscenza dei compiti dell'altro e soprattutto di quanto e come funzionasse e fruttasse l'attività. Il direttore delle Poste è accusato di spaccio e peculato. Oltre all'autista Cotral e il direttore delle Poste, è stato arrestato anche un vigile urbano di Valmontone, Stefano Gallo. Tutti loro si sarebbero prestati, anche con le auto di servizio, a smerciare droga per conto dell'organizzazione.

L'alleanza italo-albanese per il rifornimento e lo spaccio di cocaina nel territorio della provincia a sud della Capitale è stata scoperta dai carabinieri della Stazione Valmontone che dall'alba di oggi ha notificato 10 misure cautelari - 6 in carcere e 4 agli arresti domiciliari - nei confronti di 3 cittadini albanesi e 7 italiani. Tuttora in corso decine di perquisizioni nei confronti di altri soggetti legati a vario titolo alle attività illecite della banda. Durante le indagini, durate circa sette mesi, sono stati arrestati diversi soggetti in flagranza di reato. Centinaia di dose di cocaina sono state sequestrate.


(25 settembre 2012) LA REPUBBLICA

sabato 22 settembre 2012

FACCE DA CULO...


Trenta milioni in due anni
Ecco le cinque delibere scandalo


Il sacco inizia nella primavera 2010. La Polverini fa salire da uno a 5 milioni il fondo per i gruppi. È Maurizio Stracuzzi, capo del trattamento dei consiglieri, a chiedere di allargare la dote di 8,5 milioni
di CARLO BONINI e CORRADO ZUNINO


"In Regione fatti gravissimi"
L'allarme della Corte dei Conti
Gioielli, vini e anche una Smart
tutte le spese folli del Pdl

Cinque delibere del presidente dell'Assemblea regionale del Lazio, Mario Abbruzzese, documentano che l'assalto alla diligenza che, in due anni e mezzo, ha consegnato 30 milioni di euro di denaro pubblico all'inesauribile appetito dei consiglieri della Pisana sotto le due voci "corretto funzionamento dei gruppi" e "rapporto tra elettore ed eletto", ha una paternità politica (la governatrice Renata Polverini, il suo assessore al bilancio Stefano Cetica e, appunto, Abbruzzese), una mano tecnica e una complicità silenziosa (con la lodevole eccezione dei radicali) di chi "chiedeva e riceveva" senza fare troppe domande.

Arrivano i "forchettoni"
Racconta Franco Fiorito a verbale che "il denaro arrivava a pioggia". Che "non controllava nessuno". Che la decisione di aprire ciclicamente la cuccagna era affare "nella sola discrezionalità di Abruzzese", suo compagno di partito. Nelle sue parole, sembra esserci una parte di verità. Ma solo una parte. La storia di questo sacco ha infatti una suo incipit: le elezioni regionali della primavera del 2010. La Polverini è il nuovo governatore e la variopinta maggioranza di centro-destra che transuma alla Regione ha come primo assillo quello di mettere mano alla cassa per rabboccare le tasche dei nuovi consiglieri prosciugate dalla campagna elettorale. La vecchia giunta Marrazzo ha infatti stanziato in bilancio per quell'anno "solo" 1 milione di euro destinato al "funzionamento dei gruppi". Non fosse altro perché il Paese sta entrando nella peggiore recessione della storia repubblicana. Troppo poco per l'appetito della nuova maggioranza. Al punto che, il 14 settembre, il nuovo presidente dell'Assemblea Abbruzzese quella cifra la quintuplica, facendo lievitare quel capitolo di bilancio, da 1 a 5,4 milioni di euro. Non è esattamente un atto da contabile. È un atto politico, che, come tale, ha l'avallo della Polverini e del suo potentissimo assessore al bilancio, Cetica. Ma che non merita più di una striminzita paginetta di giustificazioni. Nella delibera numero 90, si legge infatti che "l'integrazione del "contributo" ai gruppi si rende necessaria dal cambio di legislatura, dai sostanziali cambiamenti nel numero dei gruppi e nella loro consistenza". L'atto è firmato da Abruzzese e da Nazareno Cecinelli, segretario generale della Pisana, un tipo con la licenza liceale presa ai salesiani di Caserta, nato in provincia di Latina e cresciuto politicamente nella Destra, all'ombra del padre-padrone di quelle plaghe, Claudio Fazzone, ex poliziotto di Fondi diventato signore delle tessere e dei voti.

La "torta" lievita
La coppia Abbruzzese-Cecinelli è di nuovo al lavoro nel 2011. In gennaio, la Giunta decide di confermare in bilancio la previsione di spesa per il "funzionamento dei gruppi" già rimpinguata tre mesi prima. Dunque, 5 milioni e mezzo. Ma, neppure due mesi dopo, il 5 aprile, l'auto-elargizione deve apparire del tutto insufficiente. E, per tre volte, di lì a novembre, vengono dunque nuovamente messe la mani nella cassa. Tecnicamente si chiamano "variazioni di bilancio al capitolo 5". Di fatto, è un giochino contabile di vasi comunicanti, che vede svuotarsi altre voci del bilancio regionale a vantaggio del costo di "auto-sostentamento" della politica. Il 5 aprile, dunque, i 5,5 milioni iniziali vengono "integrati" con altri 3 (delibera 33). Il 19 luglio (delibera 86), di altri 3 ancora. L'8 novembre (delibera 72), di 2,5. Per una tombola finale di 14 milioni.

"Chiedete a Stracuzzi"
Le motivazioni dei tre provvedimenti sono fotocopia. Segnalano "una richiesta di fabbisogno", senza dettagliarne le ragioni. Spiegano che la sollecitazione ad allargare i cordoni della borsa di ben 8 milioni e mezzo arriva niente di meno che da tale "Signor Stracuzzi Maurizio, Responsabile della Funzione Strumentale del trattamento dei consiglieri". È lui, si legge nelle delibere, che non solo suona la campana che avvisa della "riserva" nel portafoglio della politica, ma, addirittura, ne quantifica "il fabbisogno". Che è un po' come dire che un cda di una Banca fa un aumento di capitale su segnalazione dell'addetto allo sportello per i correntisti.
Ma tant'è. Nessuno obietta. Tantomeno al momento di rendicontare il bilancio di quell'anno. Ascoltato due giorni fa dai militari del Nucleo Valutario, Abbruzzese, con disarmante candore, spiega infatti che in quel lavoro sul bilancio non c'è nulla di illegittimo. "Sia nel 2010, che nel 2011 - dice - la proposta di "variazione" è stata prima approvata dalla commissione bilancio della Regione (di cui, guarda caso, Fiorito era presidente ndr.) sia dall'Organismo di controllo, il Co. re. co. co, sia dal Consiglio in fase di voto di approvazione del rendiconto consuntivo del bilancio con legge regionale". Semplice, insomma. Prima ci si auto-certifica un "fabbisogno aggiuntivo". Quindi lo si accolla in testa a un funzionario (il signor Stracuzzi Maurizio) e alla fine lo si legittima con il voto dell'aula.

"Ho preso, ma ora restituisco"
Una volta distribuita da Abbruzzese, la cuccagna diventa affare "privato" di ogni gruppo. Nel Pdl - come racconta lui stesso a verbale - lo stile della casa lo detta Fiorito. La "stecca para" ritagliata dal contributo ai gruppi prevede 100 mila euro netti l'anno a consigliere. Ma per lui è triplicata. Tocca i 300 mila netti. Perché - si giustifica - "sono consigliere, capogruppo e presidente di commissione". Per una busta paga che si muove così sui 35 mila netti al mese, con picchi che superano i 40. Attraverso il suo avvocato Carlo Taormina, dice ora Fiorito che parte di quei soldi - 400 mila euro, secondo il calcolo che ne ha fatto - è pronto a restituirli. A farli confluire su un conto che la Procura o la Guardia di Finanza gli indicheranno. Non è al contrario dato sapere cosa faranno gli altri consiglieri del Pdl.

"Richiedo e ricevo"
Per quel che Fiorito ha riferito a verbale, la quota dei consiglieri Pdl da 100 mila netti annui "veniva versata con cadenze di 25 mila euro a trimestre. Anche se poi qualcuno li finiva prima". Mentre la quota di 4.190 euro (da ieri dimezzata) alla voce "mantenimento del rapporto tra elettore ed eletto" veniva elargita mensilmente. Portando così la retribuzione media di un consigliere Pdl intorno ai 20, 25 mila euro netti al mese (senza contare i rimborsi chilometrici di chi alla Pisana arrivava in auto propria, come la Nobili, che faceva Roma-Rieti in Porsche). Per molti, non c'era neppure l'obbligo di giustificare una parte di quell'importo che pure ricevevano quale "anticipo" di spese ancora da sostenere. Era sufficiente un'autodichiarazione su un qualunque foglio: "Richiedo e ricevo per attività svolte sul territorio".

11.598 euro non possono bastare
Certo, nella notte della Pisana, non tutti i gatti sono stati necessariamente neri. Perché pur godendo della stessa manna, qualcuno, come il Pd e Sel, ha quantomeno stabilito regole di trasparenza sull'accesso ai rendiconti delle spese. I Verdi hanno rinunciato al rimborso chilometrico. I radicali di Emma Bonino non hanno giustamente smesso mai di strillare. Certo, la Polverini non deve averli mai sentiti in questi anni. A maggior ragione quando impose l'emendamento che riconosceva ai 14 assessori un vitalizio che assicurerà all'uomo a lei più vicino, Cetica, una vita libera da angustie quando lascerà la Regione. Anche se - è notizia che la governatrice ha voluto ieri rendere pubblica - lei, che "campa del solo stipendio da consigliere e Presidente della giunta", pare non arrivi a fine mese. "Ho il conto sempre in rosso", ha spiegato compiaciuta. Con gli 11.598 euro netti che prende ogni 27 in busta (cui vanno aggiunti i 100 mila annui da consigliere e i 4 mila 190 mensili per il rapporto "eletto-elettore") evidentemente non ce la si fa.
FONTE: LA REPUBBLICA

venerdì 21 settembre 2012

DON MIMMO LADDAGA...L'ENNESIMA TRUFFA ALLA SANITA' ...



Lebbrosario fantasma, truffata la Regione
arrestati i vertici dell'ente ecclesiastico
Milioni di finanziamenti in cambio di conti gonfiati sull'acquisto delle attrezzature, i lavori di manutenzione, il costo dei pasti per la struttura fantasma costata 6 milioni di euro all'anno. In manette anche don Mimmo Laddaga, reggente della clinica ecclesiastica Miulli, indagato in un altro procedimento per una transazione da 45 milioni che coinvolge anche Vendola
Don Mimmo Laddaga
Una truffa milionaria per finanziamenti regionali indebitamente percepiti, per spese gonfiate sull'acquisto delle attrezzature, i lavori di manutenzione, i pasti dei pazienti. Tutto per un lebbrosario fantasma che alla Regione è costato 6 milioni di euro all'anno.

GUARDA LE IMMAGINI DELLA STRUTTURA

Due amministratori della 'Colonia Hanseniana' opera pia dell'ospedale regionale "Miulli" di Gioia del Colle, nel Barese, sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza con l'accusa di truffa aggravata e continuata perpetrata in danno della Regione Puglia. In manette don Mimmo Laddaga, il reggente dell'ente ecclesiastico Miulli, indagato anche nel procedimento sulla transazione da 45 milioni di euro con la Regione che coinvolge anche il governatore Nichi Vendola; e Saverio Vavalle, dirigente della struttura.

LEGGI L'inchiesta nata da un articolo di Repubblica

L'ordinanza cautelare ai domiciliari è stata eseguita dai militari del Nucleo di Polizia Tributaria ed è stata emessa nell'ambito delle indagini sulla gestione struttura sanitaria ed in particolare sulle modalità con cui gli amministratori hanno ottenuto finanziamenti dalla Regione Puglia. Per gli stessi fatti risultano indagate, a vario titolo, altre 8 persone. Nessun dirigente della Regione è coinvolto, si tratta soprattutto di imprenditori e altri dipendenti del Lebbrosario.

L'INCHIESTA Trecento letti, nessun paziente

Dalle indagini condotte dai Finanzieri è emerso, in particolare, che nei bilanci della Colonia sono state inserite voci di costo insussistenti al fine di rappresentare contabilmente l’utilizzazione totale (anche in eccedenza) dei fondi assegnati dalla Regione per il finanziamento della spesa sostenuta per la gestione della struttura pari ad euro 6 milioni fino al 2009, la cui entità veniva stabilita nei Documenti di Indirizzo Economico Funzionale annualmente approvati dalla Giunta Regionale, al fine di ottenere il rimborso di spese superiori a quelle realmente sostenute. Tra le spese di cui è stato chiesto il rimborso figura anche l’acquisto di uno strumento chirurgico il cui costo è risultato essere cento volte superiore al valore reale, ovvero l’acquisto di derrate alimentari in quantità esorbitanti il reale fabbisogno degli utenti e qualitativamente incompatibili con le esigenze nutrizionali dei fruitori del servizio.

Agli indagati - Domenico Buttiglione, Donato Gatti, Vito Giordani, Nicola Martellotta, Giovanni Pietroforte, Saverio Antonio Resta, Francesco e Giovanni Romano - è stato inoltre contestato di aver ottenuto il rimborso di fatture per l’esecuzione di lavori edilizi di manutenzione straordinaria della struttura sanitaria senza la preventiva autorizzazione della Regione Puglia, proprietaria dell’immobile, certificando la regolare esecuzione dei lavori nonostante gli stessi fossero qualitativamente e quantitativamente non corrispondenti alle offerte-preventivo presentate dalla ditta esecutrice di Acquaviva delle Fonti.

La finanza ha sequestrato 25 immobili e 11 terreni nelle province di Bari e Taranto riconducibili agli indagati e all’Ente ecclesiastico, per un valore complessivo di € 2.070.407,60. Ma ha calcolato che la truffa e l'illecita percezione di finanziamenti si aggirano sugli oltre 28 milioni di euro.

Una storia travagliata, quella del Lebbrosario, per anni l'unica colonia hanseniana rimasta in Italia. Fino all'anno scorso, quando la giunta regionale ha deciso di disfarsene, dopo mesi di polemiche sui costi e un giallo che ha portato ad aprire un'inchiesta giudiziaria e persino ad arrestare un ex medico della struttura, che era stato licenziato dalla direzione. I pochissimi pazienti ospitati si sarebbero potuti curare a casa o in altre strutture, ma la gestione 'Miulli' ha sbancato le casse della Regione Puglia. Gli oltre 300 posti letto sono stati per anni praticamente tutti vuoti, nonostante la struttura impiegasse 60 dipendenti. I pazienti pochissimi, una cinquantina sulla carta, ma quelli effettivamente ricoverati erano 10-15, a seconda dei periodi.

Oltre allo scandalo dei costi, anche il mistero dei neonati dichiarati morti alla nascita nella struttura per essere poi dati in adozione. I fatti furono denunciati in un dossier a firma del 50enne Roberto Giannico, ex dermatologo del lebbrosario. Fu lui l'uomo arrestato il 19 novembre 2010 per falso e tentata estorsione e indagato per aver progettato di uccidere il suo ex datore di lavoro, lo stesso don Mimmo Laddaga, dopo che lo aveva licenziato. Le denunce sulle adozioni illegali non hanno trovato alcun riscontro nelle indagini e la procura l'anno scorso ha chiesto l'archiviazione.

(20 settembre 2012) La Repubblica