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martedì 29 novembre 2016

PARTITO DEMOCRATICO...


Marco Travaglio Forever
11 ore fa
110 INDAGATI NEL PARTITO DEMOCRATICO CHE GRAZIE AL SÌ SARANNO SALVI DALLE MANETTE , DA INDAGINI, INTERCETTAZIONI E ARRESTI! E MOLTI SARANNO PRONTI A DIVENTARE SENATORI
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lunedì 23 dicembre 2013

DAGOSPIA

MANEGGIARE CON CURA – TOH! LA SERRACCHIANI TROVA 40 MILA EURO NELLA FINANZIARIA REGIONALE PER IL MANEGGIO CHE OSPITA IL SUO CAVALLO

Anche la presidente rottamatrice coinvolta nel classico assalto alla diligenza (o al cavallo) di fine anno – Il Friuli finanza il Consorzio Carnia Welcome (partecipato anche dalla Regione) di cui è azionista di maggioranza il maneggio Randis, dove risiede il cavallo adottato dalla Serracchiani…

Ivana Gherbaz per il "Fatto Quotidiano"
SERRACCHIANI A BALLArSERRACCHIANI A BALLAR
Alla presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani piace andare a cavallo. Ne ha addirittura adottato uno che stava per finire al macello e quando può va con lui a farsi una passeggiata ad Arta Terme al maneggio Randis tra le verdi vallate della Carnia nel Friuli orientale.
Fin qui nulla di particolare, peccato però che il maneggio che ospita il ronzino della presidente abbia la quota di maggioranza, su un totale di una cinquantina di soci, del Consorzio Carnia Welcome (partecipato anche dalla Regione) che si è aggiudicato 40 mila euro inseriti nella finanziaria regionale.
Una posta puntuale entrata nel bilancio con un emendamento piovuto direttamente dalla Giunta e che prevede oltre ad un contributo straordinario per il prossimo anno anche ulteriori finanziamenti, non specificati, a "sollievo" del buco di bilancio.
SERRACCHIANI A BALLARSERRACCHIANI A BALLAR
Del resto la cosa non era passata inosservata la scorsa settimana, quando la finanziaria regionale è stata approvata, ci sono stati interventi in aula da parte del centrosinistra per avere chiarimenti su di una posta che è sembrata troppo puntale per passare inosservata. La stessa Serracchiani, in versione rottamatrice al femminile, aveva ammesso che il gioco delle poste puntuali, le miriadi di emendamenti che arrivano all'ultimo minuto per fare il favore all'amico, doveva finire.
MATTEO RENZI E DEBORAH SERRACCHIANI jpegMATTEO RENZI E DEBORAH SERRACCHIANI JPEG
Eppure anche questa finanziaria non è passata indenne. Chiarimenti per ora non sono arrivati, raggiunta al telefono la presidente non ha risposto. A spiegare il motivo per cui è stato scelto di sostenere economicamente proprio il consorzio Carnia Welcome il suo portavoce Giancarlo Lancellotti: "La presidente Serracchiani quando trova il tempo va a fare una passeggiata a cavallo ma non lo fa gratis, paga per tenerlo al maneggio. Il fatto che questo faccia parte del consorzio Carnia Welcome non ha alcuna correlazione con il contributo destinato a coprire le spese pregresse. E poi il consorzio è composto da una cinquantina di soci che svolgono attività di promozione turistica del territorio".
LA CAVALLERIZZA DEBORA SERRACCHIANILA CAVALLERIZZA DEBORA SERRACCHIANI


ROSY BINDI DEBORA SERRACCHIANI - copyright PizziROSY BINDI DEBORA SERRACCHIANI - COPYRIGHT PIZZI

sabato 18 maggio 2013

LIA CELI...



Lia Celi, non sapevo neanche chi fosse se non spuntasse all' improvviso su Rai tre nell'ora di cena con una trasmissione "CELI MIO MARITO" ...mentre facevo la frittata ho subito pensato: chi l'avra' raccomandata? informamdomi un po' in rete ho letto che
la Celi è sposata con Roberto Grassilli. Chi è Grassilli? Un fumettista, oggi collaboratore del Fatto quotidiano, che ha sposato la Celi, anche lei collaboratrice su IL FATTO ma sembra si siano conosciuti nella redazione di CUORE satira.
La tipa alla conduzione di "CELI MIO MARITO", mi è sembrata senza ne capo e ne coda, senza attrazione al confronto con la frittata che stavo facendo, meglio la mia frittata che sapere del marito di Celi.
La tipa l'ho rivista ieri sera dalla Gruber che parlava di Ruby, descrivendola come una ragazzina inteligentissima in gambissima che ha saputo sfruttare bene il proprio corpo.
Avendo tre figlie femmine la tipa non si sbottona, non si puo' mai sapere, qua' i giovani so tutti figli di silvio, ( come faceva notare la silvia che lo contestava a Brescia) molti gli somigliano e molti no, per fortuna altrimenti saremmo messi assai male.
Insomma questa Celi molto graziosa ma come si dice: un po' sciapa, vede Ruby come una icona di successo per il solo fatto che sia riuscita a fare soldi solo per un incontro col miliardario di STATO.

mercoledì 1 maggio 2013

venerdì 26 aprile 2013

NIK ILNERO


Litigi a 5 Stelle: Nik il Nero, Giovanni Favia e la fitta al bicipite

Il responsabile video del Movimento al Senato ebbe un incarico temporaneo alla Regione Emilia Romagna ma poi venne licenziato dall'ex consigliere in vista di un regolare bando. Da lì il rancore verso il "traditore" sfociato nella serata in cui gli attivisti bolognesi si rivoltarono contro i giornalisti e uno di loro disse: "Stiamo diventando fascisti"

Litigi a 5 Stelle: Nik il Nero, Giovanni Favia e la fitta al bicipite
Brindisi e feste, poi si comincia a lavorare. Servono collaboratori e Favia ha un amico disoccupato che gli chiede aiuto. I video, Nik, li ha imparati a fare nelle giornate passate con gli attivisti: interviste a politici, a giornalisti: “Con una telecamerina – diceva – si può abbattere il muro delle ingiustizie”. Ma in Regione servono professionisti. E poi il Movimento che fa del merito una bandiera, che chiede il curriculum anche a Zagrebelsky, non può scegliere un collaboratore solo perché è un amico di vecchia data.
Favia, comunque, un contratto di prova a Nik lo fa. Lo avverte però che si tratta di una situazione temporanea, che nel frattempo farà colloqui con altre persone. E alla prima scadenza, un paio di mesi dopo, non gli rinnova più il contratto. È lì che Nicola Virzì si mette davanti al computer e butta giù tutto il suo rancore, scusandosi per il suo “pessimo italiano”: “Ultimamente avrete notato il mio pessimo umore alle riunioni, ma cazzo io non mi ci ritrovo più (…) in Regione mi sento un estraneo, non me l’immaginavo così, pensavo di rivedere le nostre facce in quegli uffici a lavorare come un tempo, con gli scazzi e le risate che si sarebbero sentite fino all’atrio di quel triste palazzo della Regione, avremmo rinfrescato l’ambiente (…) li è tutto blu petrolio e grigio con persone tristi e incravattate e noi ci stiamo adattando (…) Per fare politica a quanto pare ci vogliono dei tecnici e non il cuore delle persone, bisogna sottostare a delle regole che io non accetto, io sono libero e voglio esprimermi come so fare, semplicemente , in modo diretto senza paura, non voglio essere un professionista voglio rimanere Nik, con i miei difetti con il mio entusiasmo. (…) in Regione hanno deciso giustamente di fare una sorta di bando per un video operatore e altre figure che collaborino con loro chiedendo il curriculum, io non potrei farlo per tre motivi: non ho studiato per fare il video operatore, non voglio soldi dal movimento, non potrei mai e poi mai snaturare il mio modo di riprendere e montare i video per seguire un target che a me non piace”.
È da lì che il “caso Favia” comincia a montare. La campagna di Nik contro il consigliere regionale è feroce. Su Facebook, su Twitter e poi dalla cabina del suo camion – che nel frattempo è diventato il suo nuovo lavoro – manda “editoriali” di fuoco: “I panni sporchi – dice – li lavano in casa solo i vecchi partiti”. A novembre del 2012, durante una riunione del Movimento bolognese, è lui che aizza gli attivisti a gridare “Vergogna” contro i giornalisti.
Un consigliere di quartiere, Pasquale Rinaldi, cerca di calmare la situazione. Lui gli fa capire che è meglio che stia zitto: “Ad un certo punto – raccontò all’epoca Rinaldi – sento una fitta lancinante al bicipite sinistro e voltando la testa mi accorgo che Nik il nero mi ha afferrato per il braccio, stringendo con una forza inaudita. A quel punto mi trascina per tutta la sala, mi avrà trascinato per una decina di metri credo, e nel frattempo continuava ad insultarmi dicendomi che mi dovevo fare i cazzi miei e che non dovevo rompergli i coglioni, ecc. Siamo ostaggio dei violenti – proseguiva Rinaldi – e non abbiamo strumenti per distinguerci da costoro. Stiamo diventando fascisti ed ho paura”. Martedì Nik è arrivato al Senato. Lo ha voluto Casaleggio in persona. IL FATTO

venerdì 4 gennaio 2013

CACIOTTI & SEA ...ACCADONO COSE INCREDIBILI...

"Mi hanno chiesto 700 euro

per lavare il sangue di mio figlio dall'asfalto"

La denuncia di una madre: il conto arrivato dopo la morte del ragazzo. Il 30 agosto 2009 Valerio Leprini, 15 anni, morì in un incidente stradale, dopo essere caduto dal suo scooter in via del Fontanile Anagnino, colpendo con la testa un palo dell'illuminazione pubblica che non doveva esserci

di GIUSEPPE SCARPA l LA REPUBBLICA
"Pensavo di averla sognata la lettera di Sicurezza e Ambiente: settecento euro per ripulire la strada dal sangue di mio figlio". Una richiesta assurda stretta tra le mani poi la consapevolezza che fosse tutto vero: "Non era un sogno era una beffa, allora piansi". A distanza di poco più di tre anni il tono della voce di Alessandra Mezzetti è fermo, deciso. Adesso per la donna non è più il tempo delle lacrime ma quello della giustizia, delle spiegazioni: "Allora non ebbi la forza di reagire, il dolore era troppo forte: pagare per lavare la strada dal sangue di mio figlio per 'questioni di sicurezzà perché la carreggiata poteva essere scivolosa. Valerio morì sbattendo la testa su un palo dell'illuminazione pubblica fuorilegge, e venivano a chiedere a me del denaro per "questioni di sicurezza"?".

Il 30 agosto 2009 Valerio Leprini, 15 anni, morì in un incidente stradale, dopo essere caduto dal suo scooter in via del Fontanile Anagnino, colpendo con la testa un palo dell'illuminazione pubblica che non doveva esserci. Morì per colpe non sue. E per il suo decesso sono imputati per omicidio colposo tre vigili e un funzionario del X municipio. Dopo l'incidente mortale, il palo venne rimosso. Una prima beffa. Poi ci fu la seconda beffa ancora più subdola, come ricorda la signora Mezzetti: fu, appunto, la volta della lettera recapitata a casa della donna per pagare la pulizia della carreggiata dopo l'incidente fatale del figlio. "Dovevano utilizzare un macchinario
particolare per ripulire il tratto stradale, così c'era scritto nella lettera che mi inviarono  -  spiega Mezzetti  -  e per questo veniva giustificata una simile spesa". Ma qui non si tratta di soldi precisa la donna: "Dove è la sensibilità da utilizzare in simili circostanze? Sapevano ciò che era successo, tanto vale che mi piantassero un coltello sul petto".

Poi, si chiede la donna, "non sono già abbastanza salate le bollette che paghiamo all'Ama per la pulizia della strada, adesso ci vogliono anche ulteriori 725 euro da Sicurezza e Ambiente quando ti muore un caro in un incidente stradale". E' una beffa ripete la signora Mezzetti qualcosa di incredibile: "A questo punto non mi stupirei se un domani mi dovessero chiedere di risarcire il palo dell'illuminazione pubblica ammaccato dalla testa di mio figlio".

mercoledì 26 dicembre 2012

LA DESTRA ...

Per Gasparri, Storace e altri 5 ex-An scialuppa post-elettorale al Secolo d’Italia

Nonostante la grave situazione del giornale, in caso di sconfitta alle urne Meloni, Bocchino e gli altri si aprirebbe l'uscita di sicurezza verso il giornale della fiamma tricolore, dal quale sono in aspettativa parlamentare. Continuando a maturare la pensione da giornalista insieme al vitalizio parlamentare. L'ex ministro delle Comunicazioni: "E' un diritto, non un privilegio"

Per Gasparri, Storace e altri 5 ex-An scialuppa post-elettorale al Secolo d’Italia
Mario Landolfi, Francesco Storace, Giorgia Meloni, Maurizio Gasparri, Silvano Moffa, Italo Bocchino, Gennaro Malgieri. Cosa hanno in comune questi sette politici oltre alle radici in Alleanza Nazionale? Oggi sono divisi: Giorgia Meloni ha fondato “Fratelli d’Italia” con Guido Crosetto, remake dell’omonimo cinepanettone del duo Boldi-De Sica. Francesco Storace resta fedele alla sua “Destra”, Maurizio Gasparri sta con Berlusconi. Il mite Silvano Moffa guida un manipolo semisconosciuto denominato “Popolo e Territorio”. Mario Landolfi e Gennaro Malgieri sono montiani e Italo Bocchino rimane l’ultimo giapponese accanto a Fini. I magnifici sette corrono sotto insegne diverse ma li accomuna l’uscita di sicurezza in caso di disastro elettorale: il 26 febbraio potrebbero mettersi in fila davanti al portone di via della Scrofa 43 per riprendere il loro posto nella redazione del Secolo d’Italia.
Mario Landolfi, assunto nel 1991 è in aspettativa parlamentare dal 1994, come Francesco Storace assunto nel 1986 e in aspettativa con la qualifica di caposervizio; Giorgia Meloni, consigliere provinciale a 21 anni nel 1998, è entrata nel 2004 ed è in aspettativa parlamentare dal 2006. Maurizio Gasparri assunto nel 1983 come Moffa è in aspettativa dal 1992, mentre Moffa è in aspettativa dal 1998. Italo Bocchino, assunto nel 1991 è in aspettativa dal 1996 mentre il più anziano e alto in grado è Gennaro Malgieri, assunto nel 1979 e in aspettativa dal 1996, con la qualifica di direttore, incarico ricoperto dal 1994, dopo Gasparri.
Il giornale che hanno lasciato in edicola non c’è più. Da ieri per la prima volta l’organo di An non è in edicola. L’editoriale di commiato del direttore-deputato (non retribuito), Marcello De Angelis, si chiude così: “da gennaio, sarà on line. La battaglia continua, con altri mezzi”. Il giornale vendeva a malapena 700 copie reali al giorno e la nuova legge sui contributi ai giornali di partito ha favorito il passaggio sul web permettendo il rimborso del 70 per cento delle spese invece del 50 per cento riservato ai giornali di carta. L’organico comunque dovrà essere ridotto. Oggi ci sono 14 giornalisti più i sette in aspettativa più l’ex direttore finiano Flavia Perina, in causa da quando è stata licenziata in tronco senza nemmeno il riconoscimento del Tfr. E c’è pure il caso anomalo dell’ex portavoce di Fini, Salvo Sottile assunto dal Secolo nel 2006 (anno dello scandalo Vallettopoli-Gregoraci) ma che figura “in distacco”. Il suo stipendio oggi non è a carico del Secolo ma è più alto di tutti i colleghi e preoccupa per il futuro i contribuenti.
Il Secolo, oltre alle iniezioni di liquidità permesse dai rimborsi elettorali ad An, è costato ai contribuenti più di 20 milioni solo negli ultimi sette anni. Il Dipartimento editoria della Presidenza del consiglio ha versato 2 milioni e 433 mila euro per il 2010, 2 milioni e 952 mila euro per il 2009, 2 milioni e 950 mila nel 2008, 2 milioni e 959 mila euro nel 2007, 3 milioni e 98 mila euro nel 2006, 3 milioni e 98 mila euro nel 2005, 3 milioni e 98 mila euro nel 2004, per un totale di 20 milioni e 588 mila euro che non sono bastati a sostenere un organico di 40 persone.
Per rimettere in equilibrio i conti nell’ottobre scorso, l’amministratore nominato dalla liquidazione del Tribunale, Alberto Dello Strologo, aveva preparato un piano – approvato dai liquidatori Marco Lacchini e Giuseppe Tepedino – che riduceva l’organico a sette giornalisti decretando di fatto la fuoriuscita dei parlamentari in aspettativa. Il Presidente del Tribunale di Roma, Mario Bresciano, però ha fermato tutto nominando due nuovi liquidatori, Davide Franco e Andrea D’Ovidio, ai quali ha chiesto di trasferire subito la proprietà del Secolo d’Italia dalla liquidazione (diretta dal Tribunale) alla Fondazione (di Alleanza Nazionale) dove comandano i politici che, alla fine, hanno deciso di salvare il posto ai giornalisti, compresi quelli in aspettativa.
La riduzione dell’organico alla fine riguarderà solo gli impiegati comuni. Gasparri e compagni possono restare in aspettativa. La Fondazione (presieduta dal senatore Francesco Mugnai, e diretta da un comitato di cui fanno parte anche il finiano Lamorte, La Russa, Alemanno, Matteoli e Gasparri) per permettere la sopravvivenza del Secolo ha comprato le quote e ha immesso nella società 700mila euro cash rinunciando anche ai suoi crediti per circa mezzo milione. I soldi non mancano: sui conti correnti della Fondazione ci sono 65 milioni di euro cash provenienti dai rimborsi elettorali più altri 35 milioni di euro in immobili.
Grazie al liquido della Fondazione An, la scialuppa dei sette parlamentari resta a galla, pronta ad accoglierli in caso di naufragio elettorale. Silvano Moffa nel 2003, dopo aver perso la provincia di Roma, è tornato al Secolo per nove mesi fino a quando è stato eletto sindaco di Colleferro nel 2004. Senza contare il vero vantaggio: la doppia pensione da giornalista che si unisce al vitalizio parlamentare. Fino al 1999, tutti i giornalisti in aspettativa parlamentare maturavano i contributi figurativi senza versare un euro. Dal 1999 i parlamentari pagano almeno la loro quota di contributi fissata all’8,69 per cento. Mentre la parte a carico dell’editore la paga l’Istituto previdenziale, cioè i giornalisti tutti. Al Fatto che gli chiede se, in un momento di sacrifici, non sarebbe il caso di rinunciare alla pensione da giornalista, avendo già diritto al vitalizio parlamentare, Gasparri replica: “Se qualcuno davvero volesse togliermi questo diritto mi dovrebbe prima restituire i contributi già pagati. E’ un diritto riconosciuto a chiunque vada in aspettativa e non è un privilegio. Se la vogliamo dire tutta io al Secolo ho fatto il direttore pagato solo come un caposervizio e, dopo l’elezione del 1992, l’ho fatto anche gratis fino al 1994, quando sono stato nominato sottosegretario e ho lasciato. Altro che privilegio”. Al Secolo sono avvertiti: poche storie o l’ex direttore Gasparri chiede pure gli arretrati.
Da Il Fatto Quotidiano del 23 dicembre 2012

sabato 1 dicembre 2012

MIUR...

Ricerca, una rete di parentele e amicizie là dove si stanziano i fondi del ministero

Un dossier anonimo descrive la fitta ragnatela di rapporti intorno al dirigente Antonio Agostini, fino a pochi mesi fa responsabile delle decisioni sui progetti scientifici da finanziare. Ma il dicastero retto da Francesco Profumo blinda gli archivi che permetterebbero di verificare le accuse

Ricerca, una rete di parentele e amicizie là dove si stanziano i fondi del ministero

Amici, soci e parenti nella direzione generale alla ricerca del Miur, il ministero dell’Università, che assegna i fondi alla ricerca. Nella “casa di vetro” del ministro Profumo non si entra causa “ispezione” in corso. Ma anche stando alla finestra s’intravede almeno un brandello di quella rete di parentele, amicizie e legami ai vertici della Direzione Generale accennati nel dossier anonimo recapitato alla redazione del Fatto. Che siano relazioni “pericolose” è da vedere, sicuramente non sono le sole. Ma certo non diradano i dubbi su possibili “facilitatori” e  conflitti di interesse nel sistema d’assegnazione dei fondi destinati a risollevare le sorti della ricerca italiana.
Per scovarle tocca districarsi tra rapporti, incroci societari e amicizie che ruotano intorno ad Antonio Agostini, 48 anni, originario di Marina di Gioiosa Ionica. Oggi è il segretario generale all’ambiente, fino a febbraio era l’uomo in comando alla Direzione Generale per la ricerca. Una vita nei Servizi, una carriera da grand commis nell’Agenzia spaziale italiana, stretti legami con l’industria aerospaziale e degli armamenti, tutti beneficiari di una buona fetta dei finanziamenti. Fu la Gelmini, a metà del 2009, a chiamarlo al ministero come direttore generale dei fondi Pon per la ricerca e lo sviluppo. Durante il suo mandato dovrà mandare in porto bandi per 2,5 miliardi di euro.
Un gran lavoro, e infatti Agostini in pochi mesi si circonda di esperti e personale vario strettamente legati a lui. Nell’ufficio chiave che si occupa delle verifiche di primo livello per la valutazione dei progetti (Uocil) sembra finito un pezzo di Locride. A partire da Carla Pelaggi, professoressa dell’istituto alberghiero di Locri, segretaria di assoluta fiducia di Agostini, tanto da seguirlo al ministero dell’Ambiente. Un doppio incarico, che le vale 35mila euro oltre lo stipendio. Accanto a lei trova posto anche Maria Paola Guidace, la cui famiglia è ben conosciuta da Agostini. Il fratello Pasquale Guidace, invece, è nell’area di assistenza (At Pon) incaricata di predisporre le procedure di selezione dei progetti, verificarne la conformità e fornire supporto tecnico, amministrativo e giuridico. Di loro Agostini dice “ne conosco la famiglia, abbiamo una comune origine territoriale, ma tecnicamente e giuridicamente non posso definirli cugini”.
Comunque sia il caso ha voluto che la delicata procedura di selezione degli esperti cadesse su Antonella Avellis, compagna di scuola della segretaria di Agostini. Di più. Accanto alla Pelaggi, dentro lo stesso Uocil, ufficio dei controlli, trova posto anche Pasquale Giovinazzo, sempre di Locri. Non sarà mica parente? No, in questo caso è il socio di Maurizio Milicia, noto commercialista di Locri, nonché marito della segretaria di Agostini, Carla Pelaggi. Una figura di collegamento, come vedremo, tra l’interno del Miur che eroga i fondi e l’esterno delle imprese che concorrono e vincono.
Giovinazzo e Milicia commerciano sale all’ingrosso tramite la Dalia Srl. Ma il sale della vita, a quanto pare, resta la ricerca, un mondo dal quale ottengono lavoro e grandi soddisfazioni, grazie al ticket con Agostini: su designazione del Miur, Milicia riceve infatti il prestigioso incarico di revisore dei conti dell’Agenzia spaziale, del Cnr e dell’Università della Calabria. Lui ne minimizza la portata “che vuole, sono cose da poche migliaia di euro, da 4 a 16mila euro l’anno lordi”. E ha ragione Milicia, il  loro valore non è economico ma strategico perché chi li detiene può esercitare un ruolo di peso nei centri nevralgici del finanziamento alla Calabria, regione finora destinataria di  2,4 miliardi tra ricerca e sviluppo.
Non è tutto, però. Milicia sa bene come funzionano i meccanismi interni alla macchina-assegna-fondi grazie ai legami con il DG della ricerca Agostini. Forse ha anche qualche dritta utile per non sbagliare, visto che proprio nell’ufficio preposto a validare i progetti siedano la moglie e il socio d’affari. Ma sa anche come funzionano le cose a valle, perché è sindaco effettivo di società private che i fondi li ricevono. Ad esempio è presente negli organi societari di una controllata del gruppo Infomobility.it Spa di Franco Iachini, altra vecchia conoscenza di Agostini (per sua stessa ammissione) dai tempi dell’arma. L’azienda in questione, la E-guide, è stata infatti ammessa ai finanziamenti Miur per 3,8 milioni di euro nel 2003 (nel 2010 ha ottenuto l’ultima tranche di pagamento e Milicia ne è sindaco effettivo dal 2008 e fino a due mesi fa).
A sua volta Infomobility.it tra il 2010 e il 2011 ha ottenuto due linee di finanziamento per quasi due milioni di euro. Progetti che, secondo le procedure, dovevano sempre passare nell’Uocil, l’ufficio dove siedono il socio e la moglie di Milicia. Quanto pesino questi e altri legami raccontati nel dossier arrivato al Fatto quotidiano è difficile dirlo, bisognerebbe controllare ogni progetto passato da questa e altre “filiere”, aprendo gli archivi del Miur. Per ora blindati.
di Thomas Mackinson e Andrea Palladino



giovedì 29 novembre 2012

PIER LUIGI BERSANI...





Due settimane fa il Fatto ha organizzato cinque forum con i candidati alle primarie del centrosinistra. Renzi, Vendola, Puppato e Tabacci sono venuti e hanno risposto alle nostre domande. Bersani invece si è dato, preferendo i soliti, comodi salotti tv. Nemmeno un sms per spiegarsi e scusarsi (non con noi: con i lettori). Peccato, perché di cose da chiedergli ne avevamo tante, e ora qualcuna in più. Ieri la nostra Paola Zanca ha avvicinato lui e il suo portavoce per avere una risposta a una domanda semplice semplice: intende restituire il finanziamento elettorale che Emilio Riva, padrone dell’Ilva, gli versò sei anni fa? La risposta la trovate a pag. 4, ma in sintesi è questa: no. Forse il segretario del Pd non ha ben colto l’importanza della questione: gliela riassumiamo nella forma delle cinque domande che gli avremmo posto se avesse accettato il confronto con noi. Convinti come siamo che chi si candida a governare l’Italia abbia il dovere di rispondere.
 1. Nel 2006-2007 Emilio Riva, recentemente arrestato per omicidio colposo plurimo e disastro colposo, inquisito anche per una mega- evasione fiscale di 52 milioni, finanziò la sua campagna elettorale con un assegno di 98 mila euro. Lei, on. Bersani, lo registrò nell’apposita dichiarazione alla Camera: ci mancherebbe. Ma Riva non è un sostenitore della sinistra, anzi è noto per simpatie di destra (contemporaneamente staccò un assegno di 245 mila euro a Berlusconi). Si è mai domandato perché finanziò non gli allora Ds, ma personalmente lei, all’epoca ministro in pectore dello Sviluppo economico del governo Prodi-2, preposto alla vigilanza sull’Ilva? Non sarebbe stato opportuno rifiutare quei soldi, per evitare imbarazzi verso un’azienda già allora nel mirino di pm e ambientalisti?  
2. La classe politica, locale e nazionale, di destra e di sinistra, ha sempre consentito all’Ilva (pubblica e poi privata) di fare i comodi suoi, intascando utili miliardari e guardandosi bene dal bonificare gli impianti, tant’è che per fermare la strage c’è voluta la magistratura. Cosa deve pensare un elettore, alla notizia che i vertici dei maggiori partiti di destra e di sinistra erano finanziati dai Riva? Quel che ne pensava Riva l’abbiamo appreso dalla mail che le inviò nel 2010 il vertice Ilva per invitarla a “non fare il coglione” e a bloccare la solitaria battaglia ambientalista del senatore Della Seta. Questi garantisce che lei non intervenne: ci mancherebbe. Ma non crede che l’aver accettato quel contributo abbia messo strane idee in testa ai Riva? 3. I ministri dell’Ambiente cambiano, ma i dirigenti restano. Uno dei più longevi è Corrado Clini, oggi inopinatamente ministro, ovviamente sdraiato sulle posizioni dell’Ilva, come pure il suo collega dello Sviluppo economico, Corrado Passera. I due seguitano ad attaccare i giudici, come se i disastri dell’Ilva fossero colpa loro. Non è il caso che il Pd chieda le immediate dimissioni di questi due signori?  
4. A Che tempo che fa lei ha biascicato frasi di circostanza sulla chiusura dell’Ilva, frutto di una guerra fra “due poteri dello Stato”, e ha invocato “interventi normativi del governo”. A parte il fatto che, in uno Stato di diritto, nessun governo può cambiare le sentenze e le ordinanze giudiziarie per decreto, non crede di dover dire qualcosa sullo spaventoso verminaio di corruzioni e complicità istituzionali emerso dalle indagini? E sulla condotta del suo alleato Vendola, governatore e dunque responsabile della sanità pugliese, indicato dal Gip come “regista” della guerra al direttore dell’Arpa, reo di tutelare la salute dei cittadini contro i disegni dei Riva?  
5. Che aspetta a restituire quei 98 mila euro a Emilio Riva?
Da Il Fatto Quotidiano del 28/11/2012.

mercoledì 28 novembre 2012

L'ILVA...

Il Fatto di Travaglio: "L'Ilva chiude? Bersani ridia i soldi di Riva"

Il giornale  attacca il segretario Pd: "Nel 2006 l'azienda gli fece una donazione legale di 98mila euro.

Le anticipazioni del direttore Antonio Padellaro del numero del Fatto del 28 novembre. Tra i temi: il sistema di potere e di corruzione che ha soffocato Taranto ricostruito attraverso le carte della Magistratura. Ma proprio i giudici sono stati messi sotto accusa per aver scoperchiato questo scandalo taciuto per anni da politici, sindacalisti e giornalisti

venerdì 23 novembre 2012

CAMERON...FA IL PREPOTENTE...

«No, non, nein». Il sindaco conservatore di Londra, l'euroscettico Boris Johnson, ha incoraggiato il premier David Cameron a roteare la borsetta thatcheriana sul capo dei colleghi continentali per difendere gli interessi britannici in Europa alla prova del bilancio 2014-2020. Immagine suggestiva di cui si nutre il colorito dibattito locale sull'Unione, sfumata appena dall'appassionato intervento, al programma radiofonico Today, di Ken Clarke ministro di Margaret Thatcher, ma anche di David Cameron, che ha difeso con vigore la sua storia e quella delle residue anime eurofile del Tory party. Il Regno Unito è in avanzato stato confusionale sul proprio ruolo e sul proprio destino in Europa. Londra s'allontana da Bruxelles, come mai prima d'ora, e lo fa a passo accelerato più per incapacità della leadership che per genuina scelta politica. Al "no" al fiscal compact dello scorso anno, segue ora il "no" all'unione bancaria.  ETC ETC...FONTE SKY
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David Cameron
Ci mancava solo Mario Monti a gettare benzina sulla due giorni di summit europeo dedicato al bilancio Ue 2014-2020 indetto questa sera alle 20 a Bruxelles, e subito slittato alle 21.30 per consentire lo svolgimento di incontri bilaterali. Le parole del Premier italiano sembrano una dichiarazione di guerra a chi vuole tagliare certi capitoli del bilancio europeo, in  particolare i fondi per la coesione, l’agricoltura e i meccanismi di ripartizione. Il riferimento è alla Gran Bretagna di David Cameron, arrivato a Bruxelles con tutte le intenzioni di tagliare il bilancio di circa 150 miliardi di euro e di conservare per intero il rebate (risarcimento) che Londra riceve ogni anno.
 Non accetteremo soluzioni che consideriamo inaccettabili”, ha detto duro al suo arrivo Monti. “L’Italia finora è stata sproporzionatamente penalizzata. Per noi non è importante come per altri un limite al totale del bilancio, però è essenziale che l’Italia ottenga risultati migliori di quelli prospettati oggi per quanto riguarda la coesione, agricoltura, e meccanismi di ripartizione”. Parole che riecheggiano la minaccia di veto prospettata dal ministro alle politiche comunitarie Enzo Moavero pronunciate solo due giorni prima e che rispondono nei toni e nei contenuti alla dura presa di posizione di Cameron di questa mattina. “Negozierò duramente per ottenere un buon accordo per i contribuenti britannici e per conservare lo sconto”. continua