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sabato 20 ottobre 2012

SE IN PENSIONE CI ANDASSE ANCHE GIULIETTI?

DAL SITO ART 21 DI GIULIETTI

Lo ”smemorato” Scalfari e il calo di consensi per Monti

scalfarieugenio A volte la memoria fa dei brutti scherzi. Anche al più grande giornalista e commentatore dei fatti italiani, il “decano” Eugenio Scalfari, che da alcuni mesi da quando Monti è diventato presidente del consiglio, non smette ogni domenica di fornire lezioncine di economia politica alla sinistra e alla CGIL. La sua deriva neoliberista è ormai straripata. La sua trasformazione da analista-editorialista a grande guru, “padre nobile” di una nuova maggioranza politica di centro-centro-sinistra, affinchè si instauri un governo “montiano”, magari evitando anche che si svolgano le elezioni politiche del 2013, stridono con il suo senso di rigore costituzionale, mostrato in varie occasioni durante la strenua battaglia del suo giornale, “La Repubblica”, al ventennale regime ingannatore di Berlusconi. Ma in quella battaglia tutto il fronte del giornale era unito come un sol uomo, anche perché così voleva il suo editore, l’ingegner De Benedetti, acerrimo rivale del Cavaliere; mentre oggi la linea editoriale e politica del quotidiano-partito è quanto meno divisa tra pro-Monti e gli scettici. Qualcosa però è cambiato da qualche settimana, da quando cioè il “patron” del gruppo editoriale, l’ingegner De Benedetti, ha rilasciato una dura intervista a “Servizio pubblico”, dove criticava senza mezzi termini l’operato del governo Monti, l’incapacità del PD di svolgere un ruolo propositivo e soprattutto sparava a zero sulla trattativa per la riforma del mercato del lavoro, decretando la parola fine al “simbolo ideologico” da abbattere: l’Articolo 18. Per l’ingegnere questo accanimento sullo Statuto dei lavoratori è assurdo e dannoso, perché non è vero che sia d’impaccio agli investimenti stranieri in Italia né blocchi le aziende nel loro percorso di sviluppo e di ampliamento dell’occupazione.
Un monito che in parte “Repubblica” ha recepito, ma che ha colto in affanno il suo direttore Ezio Mauro, scopertamente ancora pro-Monti, seppure con qualche ravvedimento; ma che certo non ha smosso di un millimetro il neoliberista Scalfari.

Questo giornale-partito, cui va l’onore delle armi per la sua battaglia antiberlusconiana, ha spesso cercato di imporre nell’opinione pubblica di centrosinistra personaggi e progetti politici ad uso e consumo proprio: dal democristiano “di sinistra” De Mita, al socialista “ravveduto dal craxismo”, Amato, al “bacio del rospo” durante il governo Dini, per finire con Veltroni e Rutelli e oggi Monti. Forse abbiamo saltato qualcuno dei leader toccati dalla “mano infausta” di “Barbapapà” (soprannome che circolava un tempo nella sua redazione), ma certo non dimentichiamo le pulci che il suo giornale ha sempre fatto contro il “troppo democristiano” Prodi, quando era presidente del consiglio e quando fu uccellato tutto il centrosinistra con lo scoop “bufala” dello scandalo Telekom Serbia.
Forse qualcuno ha dimenticato gli editoriali plaudenti il “patto scellerato” tra De Benedetti e Berlusconi quando fu siglata l’intesa tra la Mondadori e il gruppo L’Espresso, poi finito in carte bollate e processi ultradecennali? Forse qualcuno ha dimenticato il plauso per l’infausta Bicamerale D’Alema-Berlusconi? Forse qualcuno ha dimenticato l’appoggio alle conversioni interessate, poi subito tramontate, dell’ingegnere con il suo fondo d’investimenti che voleva fare affari comuni col Cavaliere?

Quando si tratta di commentare affari di grande livello politici o finanziari, il nostro “improvvisato Cuccia de noantri” non si tira indietro e ogni volta, alla luce della storia, sbaglia cavallo. E con lui vengono abbagliati anche vasti strati di opinione pubblica progressista. Perché Scalfari è un signor giornalista, che si è formato alla scuola antifascista di quello che fu il grande Raffaele Mattioli, mitico presidente della Comit, la “banca dei massoni” come veniva sprezzantemente definita dai banchieri di scuola cattolica e democristiana. Mattioli fu sempre convinto che si potesse unire le diverse componenti ideologiche del paese (liberali, cattolici e comunisti) per il supremo interesse del paese e per garantire l’equilibrato sviluppo delle grandi imprese familiari. A questo scopo fondò Mediobanca e durante il fascismo ospitò i grandi intellettuali resistenziali, cercando anche di aiutare in segreto Antonio Gramsci, fondatore del PCI, recluso nelle carceri fasciste. Grazie a lui furono salvati e fatti conoscere i “Quaderni dal carcere” del grande intellettuale marxista sardo.

Forse Scalfari, in tarda età, ha scambiato la sua funzione professionale in quella di “padre nobile della patria”, in compagnia del Presidente della Repubblica Napolitano. Certo è che con le sue ultime esternazioni deve aver urtato i sentimenti laici, di azionista, di autentico emulo di Mattioli, che è stato il presidente della repubblica Ciampi.
L’ex-governatore di Bankitalia riuscì nel 1993 a traghettare il nostro paese fuori dalla palude Stigia della bancarotta e della crisi della Lira, grazie anche all’intuizione della cosiddetta Concertazione, patto tra governo e parti sociali per trovare punti di convergenza in grado di far riprendere il cammino dello sviluppo e della speranza all’Italia. Fu anche decisa una forte accelerazione delle privatizzazioni, che però Ciampi voleva fossero attuate secondo il “modello renano” (adottato in Germania con la compartecipazione nei Consigli di sorveglianza delle grandi imprese, anche bancarie, di rappresentanti dei Lander, le regioni-stato, i sindacati e gli azionisti privati), e non quello inglese, che fu poi invece largamente utilizzato seguendo le ricette neoliberiste del professor Andreatta, economista bolognese, senatore della sinistra DC.
Le grandi imprese del “Capitalismo familistico italiano” (definizione quanto mai azzeccata del professor Guido Rossi) ringraziano ancora. Scalfari appoggiò quella scelta ideologica e ancora oggi rimpiange una certa riluttanza della sinistra e della CGIL a proseguire il cammino allora intrapreso.

Oggi la “Stella polare” della Concertazione, come la definì Ciampi, che ci portò dritti a testa alta nell’Euro e che ha permesso all’Italia di superare le varie crisi finanziarie dell’immenso debito pubblico senza grossi strappi sociali, per Monti e Scalfari non ha più senso e i sindacati dovrebbero abbandonare le loro rendite di posizione, per il bene ultimo della stabilità economica e politica, pronube Mario Monti e la grande accoppiata PD-UDC e parte del PDL ripulito dalle scorie berlusconiane. Altrimenti, è la sua infausta previsione da Cassandra, lo spread tornerà a volare, la recessione si aggraverà e il “bau-bau” Berlusconi-Bossi tornerà a vincere. Da qui il suo plauso per la riforma “lacrime e sangue” delle pensioni, l’orrido decreto sulle finte liberalizzazioni, le riforme strutturali e istituzionali, compreso il famigerato mercato del lavoro con tanto di abolizione ideologica dell’Articolo 18. Se poi, il popolo italiano, dai metalmeccanici Fiat, ai cassintegrati, ai giovani precari e disoccupati, ai pensionati e alle famiglie non sanno più come tiare a campare, tutto questo va preso come un “male minore” per il bene sommo della stabilità dei conti pubblici e del sistema capitalistico “compassionevole”. Non si capisce, comunque, perché il PD e il resto della sinistra dovrebbero ingoiare una medicina così amara, quando per anni hanno contrastato con successo proprio queste ricette iperliberiste che Berlusconi e Tremonti cercavano di far passare, nonostante (o per fortuna!) l’opposizione interna della Lega di Bossi. Forse perché: “se lo dice Scalfari, è cosa buona e giusta”? Anche a costo di perdere le elezioni del 2013!
La crisi dei partiti  è forte e lacerante per il tessuto democratico del paese e la disaffezione per le elezioni sono un allarme minaccioso per il nostro futuro; il calo dei consensi del 20% quasi dell’opinione pubblica nei confronti dell’operato del governo Monti, la settimana dopo la disastrosa battaglia vinta dalla ministra Fornero sull’Articolo 18 e la ritrovata unità di azione dei sindacati confederali provano che non sempre le ciambelle escono con i buchi. Ecco, quindi, la virata a 180 gradi di “Repubblica” (il vicedirettore Giannini in primis e il direttore Mauro a ruota), che cerca di prendere le distanze e navigare verso nuovi lidi, per ora sconosciuti, dell’opposizione che verrà.
Chissà dunque se l’ultimo  “decano” del giornalismo democratico italiano (dopo la morte di Montanelli, Biagi e Bocca) se ne accorgerà!

Dimenticarsi la storia patria è un vezzo da grandi intellettuali. Chiudere gli occhi alla realtà che ci circonda, purtroppo, è frutto o di scelte ideologiche oppure di invecchiamento senile delle sinapsi.
29 marzo 2012

  • Italo Pattarini scrive:
    IL CREPUSCOLO DEGLI DEI. SE ANCHE GLI DEI ANDASSERO IN PENSIONE CI RISPARMIEREBBERO QUALCHE DELUSIONE.
    -------------------

    Caro Pattarini, signore che stava a p.zza Farnese col cartello in onore di Gilioli,  mentre io mi incazzavo per i soliti discorsi triti e ritriti, il rimpallo delle colpe, lui se ne stava zitto zitto lontano dal palco e si faceva i cavoli suoi, tanto avra' pensato: 
    quella è matta, ma come si permette di disturbare cotanti celebri giornalisti? pussa via...
    INSOMMA IO DIREI:
     E SE CI ANDASSE ANCHE GIULIETTI IN PENSIONE?  
    NON E' ORA DI SMETTERLA DI PRENDERE PER IL CU@O GLI ITALIANI?

venerdì 19 ottobre 2012

GIUSEPPE GIULIETTI...LO ZINGARO...PDS DS IDV GRUPPO MISTO...

GIUSEPPE GIULIETTI ...LA DELEGAZIONE DI ARTICOLO 21 ALLA "NOTTE BIANCA " A PIAZZA FARNESE ...
Giulietti deputato in cinque legislature ...PDS - DS - IDV - ultima casacca GRUPPO MISTO, quest'uomo vuole liberare la Rai dalla politica e restituirla ai cittadini...un  uomo che ha passato tutta la sua vita  a rappresentare la politica...un uomo che non si è accorto che il suo partito fa accordi con Berlusconi  e si spartiscono la Rai, non risolvono il conflitto di interessi, e come possono, si sono accordati sottobanco, di nascosto, come i ladri, e dopo una ventina d'anni, Giulietti vuole liberare la Rai.
La P.zza era deserta si e no un centinaio di persone, una decina di dipendenti Rai, un po' di gente che non sapeva perche' stava li, un esercito di  FAMOSI tra politici giornalisti attori attrici nani e ballerine..chiusi in un recinto a parlottare , ridacchiare,  come in un salotto privato,
 tra vecchi amici.
Non mi ricordo chi, un giornalista  chiedeva aiuto alla gente di borgata per protestare contro l'occupazione della politica alla Rai.
La gente di borgata che deve allacciare il pranzo con la cena, combattere lo spaccio capillare di droghe, combattere la delinquenza,   l'ignoranza, l'emarginazione...viene chiamata in causa per liberare la Rai,  incredibile la pretesa di questi privilegiati, schizzofrenici, politici, giornalisti  de sinistra ipocriti.
Io che sono de sinistra ma naturalmente votero il M5S, e della Rai sinceramente me ne frega poco, sono per privatizzare due reti e una deve rimanere pubblica, punto.
Lo sfogo di
Ferdinando Imposimato
presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, dove dichiara che: 
Il patto scellerato tra D’Alema e il suo amico di Arcore
Fu Massimo D’Alema – lo diciamo da anni- che diede a Silvio Berlusconi, nel 1994, l’assicurazione che il suo impero mediatico non sarebbe stato toccato. Ignorava l’allora capo della opposizione che il 69,3% degli italiani decide come votare guardando la TV. La verità la confessò Luciano Violante nel febbraio 2002, quando disse, nello stupore del Paese: “L’on Berlusconi sa per certo che gli è stata data garanzia piena nel 1994 che non sarebbero state toccate le televisioni.


Cera un freddo in quella piazza, sembrava gia' di stare in pieno inverno, la gente del palco sembrava lontano chilometri dalla gente, sembrava  gente vissuta sulla luna...(...)