di DANIELA BRANCATI
Nel pomeriggio alla Camera la decisione sul decreto per i network
RAI, OGGI ULTIMO APPUNTAMENTO MA L' ACCORDO POLITICO NON C' E'
Niente nomine, forse il voto sulla pubblicità
ROMA - L' accordo sulla Rai non c' è più. Ma la commissione di vigilanza era stata convocata quando i partiti erano convinti di averlo raggiunto, così oggi pomeriggio i 40 parlamentari che dovrebbero vigilare sulla Rai e indirizzarla, sono chiamati ugualmente a discutere sui due punti all' ordine del giorno: la nomina del consiglio di amministrazione del servizio pubblico e il tetto di pubblicità consentita alla azienda per l' 85. Ad accoglierli - ammesso che si presentino - sarà un nutrito gruppo di giornalisti della Rai, che accompagnerà i rappresentanti della Federazione nazionale della stampa. I sindacalisti seguiranno infatti i lavori della commissione perchè, nel caso che le decisioni siano nuovamente rinviate, attueranno le proteste già programmate. Fin da domani ad esempio, sono state convocate assemblee nelle redazioni giornalistiche della Rai che potrebbero far andare in onda in forma ridotta i notiziari televisivi e radiofonici. Tutto il pomeriggio di ieri è stato utilizzato dai vari leader di partito per discutere, fra un voto e l' altro alla Camera, della possibilità che almeno il tetto per la pubblicità venga approvato, anche se il rinvio a settembre della nomina dei 16 consiglieri Rai sembra certo. I repubblicani hanno ribadito in un editoriale della Voce, la decisione irrevocabile di non votare in contrasto con il loro "modo di intendere la politica come servizio e non come occupazione permanente di posti". Hanno anche detto però, chiacchierando in Transatlantico, che non drammatizzeranno se gli altri quattro partiti della maggioranza voteranno senza di loro. Il responsabile del dipartimento comunicazioni sociali della Dc, Mauro Bubbico, per aggirare il principale ostacolo ha proposto di invertire l' ordine del giorno della riunione, discutendo prima della pubblicità per l' 85. Ma l' idea ha incontrato solo l' approvazione liberale, i socialisti non hanno preso ufficialmente posizione e ne hanno discusso in una riunione a porte chiuse. Tuttavia la questione, e per portata politica e per l' impatto sull' opinione pubblica, non sembra più di competenza dei dirigenti di settore; tutto sembra nuovamente tornato nelle mani dei segretari di partito. Se le scadenze istituzionali - il consiglio è scaduto da due anni e il tetto doveva essere fissato un anno fa - sono state ampiamente disattese, oggi pomeriggio c' è alla Camera il voto sul decreto che non può attendere, poichè decade sabato. Gli interessi incrociati della Dc ad avere il tetto pubblicitario (del quale ha fatto una bandiera di difesa del servizio pubblico) e del Psi a far passare il decreto che proroga la legittimità delle trasmissioni dei network privati fino alla fine di dicembre, sono forti e forse finiranno per prevalere, agevolando la ricerca di una soluzione almeno su questi due aspetti. Teoricamente, anche senza i repubblicani ci sarebbero i numeri in commissione di vigilanza per votare il "tetto" ma i comunisti si sono dichiarati contrari ad invertire l' ordine del giorno. "A che servirebbe - dice Veltroni - uno schiaffo al regolamento in assenza di una normativa generale e del consiglio di amministrazione?". La stessa proposta di De Mita sulla pubblicità illustrata al nostro giornale dal ministro delle Poste Gava, anzichè tranquillizzare gli oppositori, ha suscitato molte reazioni negative. "Il mercato pubblicitario deve essere lasciato libero" afferma il presidente dell' Upa Giulio Malgara. "Imporre ad una quota di pubblicità destinazioni diverse da quelle decise dalle aziende, è come imporre ai consumatori di mangiare riso piuttosto che pasta: è dirigismo bello e buono. Siamo tutti preoccupati del destino della stampa, ma la soluzione non sta in sovvenzioni obbligatorie, bensì in un suo ulteriore sviluppo che la renda sempre più appetibile come veicolo di pubblicità. Il migliore ed unico intervento possibile sul mercato è quello di ridurre gli indici di affollamento. Tanti minuti di seguito di pubblicità sono un grave danno anche per noi utenti: dopo il primo spot la gente calcola i tempi e si alza, va in giro per casa e non vede gli altri messaggi. Noi però li abbiamo pagati, e allo stesso prezzo di quelli che vanno in onda per primi". L' Upa fa notare che ogni stanziamento pubblicitario rappresenta per l' azienda un importante investimento capace di influire sulle buone o cattive sorti dell' impresa: "Incanalarlo forzosamente su un mezzo piuttosto che su un altro significa coartare le scelte imprenditoriali". Lo stesso presidente della Fieg, Giovannini, ha affermato "Apprezziamo la buona volontà che indubbiamente c' è, ma i politici devono convincersi che l' unica soluzione possibile è quella di diminuire l' affollamento di spot nelle ore di principale ascolto. Questo evita fastidi ai telespettatori e mantiene le tariffe televisive su livelli giusti, tali per cui la stampa possa competere".
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