Euro, mica euro, debiti, banche, mercati, finanza: bah.
L’altra sera per rendermi un po’ meno nebbioso questo bah, davanti a uno spritz ho cercato di fare il terzo grado a un mio amico: uno che ci capisce, certo più di me, insomma, anche perché di queste cose legge e scrive da una vita. Gli ho detto: senti, fa caldo, è quasi luglio, c’è ’sto consiglio d’Europa, insomma spiegami un po’ tutto come se io avessi quattro anni, ok?
E lui:
Allora, facciamo finta che l’Italia di oggi sia un atleta, diciamo uno che deve correre gli ottocento metri, d’accordo?
Ecco, la prima cosa da dire è che invece delle scarpette da corsa ci siamo presentati in pista con degli stivaloni fatti di piombo, roba da cinquanta chili l’uno. E’ il debito pubblico che ci siamo costruiti negli ultimi trent’anni.
Poi, nel 2002, ci siamo legati le caviglie con uno spago bello grosso: l’euro, che ci ha tolto la possibilità di svalutare, di governare la moneta, eccetera.
Alla fine sono arrivati dall’America dei tizi fuori di testa e ci hanno tirato una salva di calci nei coglioni, da farci piegare in due dal dolore: la crisi mondiale esplosa coi derivati.
Ecco, adesso siamo come un corridore con le scarpe di piombo, i piedi legati e il fisico piegato in due per la sofferenza.
In queste condizioni arriva un altro tizio – diciamo l’Europa, la Merkel, chi ti pare – e ci fa: okay, potremmo anche darti una mano, forse. Però tu mettiti a correre.
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