Nelle Pubbliche amministrazioni ruberie mostruose. Intervista a Mario Baldassarri
gen 02, 2012 |
da “La Stampa” del 2 Gennaio 2012
Monti ha confermato che sta facendo la spending review che dovrebbe aiutare a impostare una politica seria di tagli alle spese.
«Se spending review vuol dire fare l’inventario di tutte le spese delle amministrazioni pubbliche non ne usciremo mai, altro che governo tecnico: ci diamo appuntamento tra 30 anni».
In un recente rapporto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Giarda sottolinea che «in tutti i decenni passati la velocità di crescita della spesa pubblica è stata quasi sempre superiore alla crescita del Pil».
«Con Piero Giarda eravamo nella commissione tecnica della spesa pubblica 25 anni fa e già allora scoprimmo che una penna Bic poteva costare da 300 a 3000 lire. I veri costi della politica non sono negli stipendi o nel numero dei Parlamentari. Se impostassimo un taglio di metà dei loro stipendi e del numero di deputati e senatori risparmieremmo 450 milioni di euro all’anno. Invece ne buttiamo altrove 45 miliardi. Sono questi i costi della politica veri».
E dove si può incidere?
«Partiamo dal totale della spesa pubblica. Sul 2011 la spesa pubblica ammonta a 820 miliardi di euro, più o meno il 52 per cento del Pil. Le voci più importanti sono anzitutto gli stipendi della pubblica amministrazione (181 miliardi), le pensioni (250 miliardi) e gli interessi sul debito (87 miliardi). Le prime due sono bloccate, sulla terza, ahimè non si può intervenire. Una quarta voce riguarda gli investimenti ma è una voce che abbiamo costantemente tagliato, che non si può sacrificare ulteriormente e che vale 36 miliardi. Quindi bisogna incidere sulle voci che mancano».
Quali?
«È su queste ultime, che riguardano gli acquisti dei beni e servizi della pubblica amministrazione, che si annida un 30 per cento di ruberie mostruose. Questa voce comprende forniture, appalti, global service, insomma le lenzuola, le medicine o le siringhe dell’ospedale. Sono 137 miliardi di euro. Infine, una voce molto nascosta negli ultimi anni, è quella dei contributi alla produzione, 42 miliardi che nel 2011 scendono a 39. Il totale è un patrimonio da 180 miliardi che si può aggredire con enormi risultati».
E perché non si è mai fatto sinora?
«Perché il nodo è politico: significa tagliare il brodo di coltura di 300 mila persone che si nasconde e prospera nella zona grigia che sta tra politica, economia e affari. Faccio un esempio. Ogni posto letto italiano consuma ogni giorno nove siringhe. La degenza media è di nove giorni. Mediamente ogni paziente che esce da un ospedale dopo nove giorni dovrebbe avere 81 buchi… Un altro elemento di riflessione: mentre i fondi perduti sono stabili, nel 1990 gli acquisti per beni e servizi erano 52 miliardi; nel 2000 erano lievitati a 86 miliardi; ma nel 2011 sono letteralmente esplosi a 137 miliardi. Solo nella sanità abbiamo registrato un aumento di queste voci del 50 per cento in ultimi cinque anni – neanche ci fosse stata un’epidemia di colera!».
Cosa si può fare?
«Tutti i sussidi vanno trasformati in credito d’imposta. Io ti do il sussidio, ma tu stai sul mercato, mandi avanti l’azienda e riscuoti quando paghi le tasse. Mentre sugli acquisti bisogna dare un budget. E dire: tutte le p.a. possono spendere sulle voci di spesa quello che hanno speso nel 2009, più l’inflazione. I risparmi così ammonterebbero secondo me a 40-50 miliardi all’anno. Occorrono tagli verticali sulle voci sospette, non orizzontali. E i tagli di Tremonti sono stati un errore non solo perché erano orizzontali ma perché calcolati sull’andamento tendenziale. Il trucco era: ti taglio il 10 per cento su quello che spenderai l’anno prossimo. Ma magari tu prevedevi di spendere il 20 per cento in più. Ecco perché la spesa pubblica continuava a salire nonostante Tremonti desse l’impressione di tagliare sempre».
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