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sabato 11 febbraio 2012

VITTORIO FELTRI





Altro che darci pagelle
I magliari sono gli Usa

di Vittorio Feltri

Ciò che in questi giorni ci ha sor­presi è la sfacciataggine con cui l’America si arroga il diritto di da­re le pagelle ad altre nazioni, inclu­sa la nostra

Mario Monti sulla co­pertina di Time , grande settimanale statunitense (e in­ternazionale), è motivo di soddi­sfazione. Il titolo poi che accompa­gna l’immagine suona come un complimento per il nostro Paese: «Può quest’uomo salvare l’Euro­pa? ». Ce lo auguriamo davvero. Ma ci accontenteremmo che riu­scisse a salvare l’Italia, cosa nien­te affatto scontata, visto che la cri­si dalle nostre parti è particolar­mente grave. Vabbè, sperare non costa niente.

L’accoglienza riservata al pre­mier negli Usa è stata ottima, fa be­ne al morale, ma non va sopravva­lutata. Anche Sil­vio Berlusconi, d’altronde, quan­do alcuni anni fa parlò al Congres­so venne applau­dito a lungo, eppu­re la cosa non gli portò fortuna. Sappiamo come la sua ultima esperienza a Palazzo Chigi è andata a finire: brusca­mente interrotta causa una serie di problemi, primo fra i quali le dif­ficoltà italiane con lo spread, e sor­voliamo sul terremoto borsistico. Ma non è questo il punto.

Ciò che in questi giorni ci ha sor­presi è la sfacciataggine con cui l’America si arroga il diritto di da­re le pagelle ad altre nazioni, inclu­sa la nostra. Come si permette di stare in cattedra, quando sono ri­sapute e accertate le sue colpe nel disastro finanziario globale che ha ridotto a malpartito quasi tutte le economie? O ci siamo dimenti­cati di quanto accadde a New York nel 2008? Banche che saltava­no per aria, titoli tossici che imper­versavano suscitando scandalo e preoccupazione, società finanzia­rie che fallivano, migliaia di fun­z­ionari licenziati in tronco che ab­bandonavano l’ufficio con i loro scatoloni divenuti simbolo di falli­mento e disoccupazione.

Il giudizio degli esperti fu unani­me: la tragica bolla, provocata da eccessi speculativi e da un capita­lismo corrotto e spregiudicato, si era gonfiata ed era esplosa pro­prio lì, negli Stati Uniti. Altro che fi­nanza creativa. Eravamo di fronte a un fenomeno di cattiva gestione del denaro, a un ve­ro imbroglio su va­sta scala, a una spe­cie di catena di Sa­n­t’Antonio che pena­lizzava gli ultimi ac­quirenti di prodotti avvelenati, pezzi di carta cui era attribu­ito un valore in real­tà inesistente. An­che i nostri istituti di credito avevano abboccato alle lusinghe dei truffatori statuniten­si, che promettevano lauti guada­gni (interessi elevati) sul nulla, e comprato schifezze poi girate ai lo­ro clienti come fossero pepite. Un disastro illimitato che ha travolto tutto il Vecchio continente, mes­so in ginocchio l’Inghilterra (con la sua boria di capitale europea della finanza) e via via tutta la Co­munità europea, Italia inclusa.

È noto che la responsabilità del crac è degli States, dell’economia basata sul debito, sulle carte di credito usate come cambiali senza scadenza, sui mutui ipotecari conces­si a chi non aveva mezzi per pagare le rate. Il peggio del peggio recava il marchio «made in Usa». Con che coraggio, a distanza di qualche anno, gli Stati Uniti si impancano a giudici e distribuiscono attestati di affidabi­lità a questo o a quel Paese?

Ieri, tra l’altro, il nostro presidente del Consiglio è stato posto sotto esame da Wall Street, come se fosse lui a doversi giustifica­re dei guai che rendono difficoltosa la ripre­sa nella Ue. Siamo all’assurdo. Al controsen­so.

A rigor di logica sarebbe Monti autorizza­to a processare gli americani per i pasticci che hanno combinato, anche a nostro dan­no, e non viceversa. Non accettiamo lezioni dai magliari. Rifiutiamo di salire sul banco degli imputati se a emettere le sentenze so­no coloro che andrebbero condannati.

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