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venerdì 3 febbraio 2012

PEACE REPORTER PROCESSO ETERNIT


Christian Elia

La dissolvenza, nel cinema, è quasi sempre in nero. In un angolo di questa Italia, per una volta, è stata in bianco. Casale Monferrato, in Piemonte, la riconoscevano subito i piloti dei caccia bombardieri alleati durante la Seconda Guerra Mondiale. Era quella dove tutti i tetti erano bianchi.

Non per una tradizione, ma a causa di una maledizione, che sembra uscita da un patto degno di Herr Faust o di Mister Dorian Gray. Un patto scellerato: un lavoro, una sicurezza economica, in cambio della salute. L’imbroglio, però, è che di questo è un patto con il diavolo i firmatari non erano consapevoli. E’ solo il ricatto del lavoro, della fame. Una fame atavica, in queste zone, che un bel giorno sembrava sconfitta. Grazie all’invenzione di tale Ludwig Hatschek, austriaco, che brevetta il cemento-amianto con il nome di eternit. Eterno, appunto, come il riposo della morte.

L’eternit resiste a tutto, anche al fuoco. Viene utilizzato in mille modi, prodotto a ritmi vertiginosi. La produzione sbarca in Italia. Lo stabilimento della ditta Eternit di Casale Monferrato, che arriverà alla massima espansione a occupare un’area di oltre 90mila metri quadrati, apre i battenti il 19 marzo 1907. Chiuderà il 6 giugno 1986, dopo ad aver dato lavoro a 4.879 persone. In una cittadina di poco più di 35mila abitanti, una manna da cielo.

Peccato che quella, come la manna biblica, si diffonda nell’aria. Ed è bianca, come la manna, ma non è miracolosa. E’ assassina. Sono almeno 1800 i cittadini di Casale Monferrato che l’Eternit si è portata via. Questa è la storia che racconta Eternit – Dissolvenza in bianco, di Assunta Prato, dell’Associazione Familiari Vittime Amianto, e dalla brava Gea Ferraris, che con i suoi disegni rende perfettamente il senso stesso di una grafic novel: la polvere. Le tavole, leggermente fuori fuoco, rendono l’idea della polvere che ti resta addosso. Quella delle fibre dell’Eternit, che hanno avvelenato per anni gli operai della fabbrica, che la respiravano tutto il giorno, privi di qualsiasi tutela. Ma la stessa polvere, che rivestiva il paese intero, la respiravano le mogli e i mariti degli operai, i loro figli, tutti i cittadini che si avvelenavano – senza saperlo – anche solo abitando quel territorio.

Il 13 febbraio 2012, dopo una lunga storia processuale, il processo Eternit arriverà a una sentenza. Il barone belga Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de la Marchienne e il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, 68 anni, sono accusati di aver causato un disastro ambientale producendo, negli stabilimenti italiani Eternit di Casale Monferrato, di Cavagnolo in provincia di Torino, di Bagnoli di Napoli e di Rubiera dell’Emilia (in totale i morti diventano 2200), manufatti di amianto senza mettere al riparo i lavoratori e la popolazione dai rischi generati dalla fibra della quale loro, sicuramente dagli anni Sessanta, conoscevano il rischio cancerogeno.

Il pubblico ministero, Raffaele Guariniello, ha chiesto per gli inquisiti venti anni di carcere, oltre ai risarcimenti che saranno dovuti alle parti civili. “Una tragedia come quella rivissuta in questo processo non l’avevo mai letta. Una tragedia che ha colpito popolazioni di lavoratori e di cittadini e che continua a fare morti”, ha detto Guariniello. Perché questo è stato e i cittadini di Casale Monferrato e delle altre cittadine meritano giustizia. Perché il dolore di queste famiglie, che lavoravano per avere un futuro e sono state ingannate e uccise per il profitto, non svanisca in una nube di polvere bianca.

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