Poi prese la penna in mano e disse piano, ma con energia: “La prima frase della nostra prima cartolina sarà: ‘Madre! Il Fuhrer mi ha assassinato mio figlio!”. [...] In un lampo capì che con quella prima frase egli dichiarava la guerra per oggi e per sempre, e sentì anche oscuramente che cosa volesse significare: guerra fra loro due da una parte, poveri, piccoli insignificanti operai che per una parola potevano essere annientati per sempre, e dall’altra parte il Fuhrer, il partito, quell’immenso apparato con tutta la sua potenza e tutto il suo splendore, e dietro di esso tre quarti, no quattro quinti del popolo tedesco”.
Il libro, tradotto in italiano nel 1948 da Einaudi, è stato da poco pubblicato in Inghilterra dalla Penguin nella collana “Classici” e ha venduto più di 100.000 copie solo negli ultimi tre mesi, inserendosi tra i 50 bestseller inglesi di sempre. L’editore della Penguin Adam Freudenheim ha detto al Guardian che dopo averlo letto, non si può fare a meno di parlarne: “che cosa avresti fatto se ti fossi trovato al loro posto?”.
Fallada morì per un overdose di morfina poco prima che il libro fosse pubblicato. Figlio di un giudice che lo voleva avviato alla sua stessa carriera, la sua vita fu segnata da droghe, alcolismo e da una malattia mentale per cui fu più volte ricoverato in diverse cliniche psichiatriche. Il suo vero nome era Born Rudolf Ditzen, aveva scelto Hans Fallada ispirandosi ai nomi di due personaggi dei fratelli Grimm: il protagonista Hans della favola “La fortuna di Hans” e il cavallo di “La ragazza delle oche”.
Sul suo blog Alessio Altichieri del Corriere della Sera ha raccontato le tappe più importanti della sua vita:
Nel 1928, a 35 anni, era ormai, nelle parole di un biografo, “un fallito completo”: morfinomane, coinvolto in storie di armi e di prostituzione, spesso in galera per furto, comprò di seconda mano una macchina per scrivere e, per alcune società di Amburgo, si mise a compilare buste postali, 1000 indirizzi per quattro marchi, “cinque se erano in spagnolo”. Un uomo su cui non si sarebbe scommesso un pfennig svalutato di Weimar.
Invece, per merito e per fortuna, Ditzen-Fallada ha ancora risorse. Incontra casualmente l’editore Ernst Rowohlt, che gli offre un lavoro nell’ufficio stampa e, soprattutto, gli dà tempo di scrivere. Non che Fallada ne avesse tanto bisogno, di tempo, se sapeva produrre un libro in pochi mesi, o settimane. Quest’uomo così inquieto si trasformava al tavolo di lavoro in una macchina da romanzo: “Ho una regola: mai scrivere oggi una pagina meno di ieri”, diceva. Così presto pubblica un nuovo titolo, “Bauern, Bonzen und Bomben”, seppur senza gloria. Ma intanto s’è sposato, ha un figlio, Ulrich, e la parabola umana (la miseria, la disoccupazione, poi la rinascita, la famiglia, la paternità, stipendio garantito, vita normale) gl’ispira un romanzo che è una meraviglia, “Kleiner Mann – was nun?”, una storia amara e dolce che, pubblicata nel 1932, diventa un best-seller in tutto il mondo, anche in Italia col titolo “E adesso, pover’uomo?”.
Ora anche il suo libro sulla crisi degli anni venti “Wolf unter Wolves“, uscito in Germania nel 1937, è stato pubblicato in Inghilterra ed è già alla terza ristampa. Il figlio di Fallada, un avvocato in pensione di 80 anni, ha detto di considerare questo il vero capolavoro del padre e che il padre stesso parlando di “Ognuno muore solo” avesse detto che era “un grande romanzo… un po’ come ‘Wolf’”. Il libro racconta la storia di un uomo travolto dal crollo di Weimar e piacque così tanto a Goebbles che Fallada fu premiato con un viaggio nella Parigi occupata dai tedeschi.
I diritti cinematografici di “Ognuno muore solo” (“Alone in Berlin” nella traduzione inglese) sono stati acquistati da Stefan Arndt, lo stesso produttore di “Good-Bye Lenin!”. Vincent Perez, che sarà regista e interprete del film, dice di essere stato colpito profondamente dalla lettura del libro: “ho capito che cosa significava vivere sotto il Terzo Reich”. Mentre si preparava per un’intervista in televisione, ha scoperto per caso che anche la sua famiglia si era opposta al regime nazista in quegli anni e che suo zio era stato ucciso in una camera a gas.
Anche negli Stati Uniti il libro è stato pubblicato solo l’anno scorso e sta avendo un grande successo. Roger Cohen, sul New York Times, dice che il libro “ha qualcosa dell’orrore di Conrad, della follia di Dostoyevsky, della minaccia rabbrividente di Capote in ‘A sangue freddo’” e che l’azione minimalista dei Quangel contiene in sé tutta la grandezza della sfida in un mondo in cui disobbedienza significa morte.
Come diceva Hannah Arendt: “In condizioni di terrore, la maggior parte delle persone tenderà a conformarsi, ma altre no… Umanamente parlando, nient’altro è necessario, e nient’altro può essere chiesto perché questo pianeta rimanga un posto adatto per l’esistenza dell’uomo”. Fallada ha creato un simbolo immortale di tutte quelle persone che lottano contro il male e in questo modo ci ha redenti.FONTE QUI
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