Palombelli, addio a RAITRE con polemica. " Speciale " a Barbato
Barbara Palombelli lascia il posto ad Andrea Barbato alla conduzione di " Speciale Tre " dopo le polemiche nate dal fatto che non e' giornalista RAI - le levate di scudi da piu' parti la giornalista lascia, ma i dirigenti danno un' altra versione dei fatti TITOLO: Palombelli, addio a Raitre con polemica. "Speciale" a Barbato . "Speciale Tre" cambia conduttore: Barbara Palombelli lascia il posto ad Andrea Barbato.Un avvicendamento con polemica, come dice la stessa Palombelli: "Me ne vado solo per le polemiche. Non me la sono sentita di continuare visto il clima, sia da parte dell' azienda che del mondo politico, che non era di incoraggiamento a continuare". La polemica era esplosa perche' Barbara Palombelli, inviata di Repubblica, non e' una giornalista della Rai e la sua collaborazione con la Terza Rete non sarebbe stata coerente con la politica di valorizzazione delle risorse interne scelta dai vertici della Rai. La vicenda era finita anche in Parlamento, con alcune interrogazioni, e il nuovo consiglio di amministrazione della Rai aveva dato incarico alla direzione del personale di svolgere un' inchiesta per accertare come si fosse arrivati a scegliere la Palombelli. "Hanno fatto di tutto per farmi passare l' entusiasmo . aggiunge la Palombelli .. Siccome non voglio creare imbarazzi a nessuno, ne' al Consiglio di amministrazione, ne' a Raitre, ne' al Parlamento, ne' al ministro delle Poste, mi e' sembrato che la soluzione migliore fosse quella di lasciar perdere e di lasciare lavorare gli interni, come da piu' parti richiesto". Diversa la versione di Guglielmi, direttore di Raitre: "La signora Palombelli . ha detto Guglielmi . venerdi' sera dopo la conclusione della seconda puntata ci ha comunicato che a causa della difficolta' di conciliare la propria attivita' ordinaria di giornalista della carta stampata con l' impegno di costruzione di un programma televisivo doveva limitare la propria disponibilita' alle due puntate realizzate". "Non e' vero . replica la Palombelli . non me ne vado per stanchezza: certo ho un mio lavoro, ma ho fatto spesso piu' cose insieme". Stefano Balassone, vicedirettore di Raitre, ha escluso che sulla decisione abbiano pesato le polemiche sollevate da piu' parti sull' utilizzo di una giornalista esterna alla Rai. "Non hanno inciso, tanto e' vero che la Palombelli fin dall' inizio ha voluto firmare contratti per una sola trasmissione per volta, perche' voleva vedere se riusciva a conciliare gli altri impegni o meno". Andrea Barbato, il cui programma era stato interrotto per le vacanze, "non e' stato richiamato dalle ferie . ha aggiunto Balassone . e' tornato a Roma domenica pomeriggio, come da programmi".
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(26 luglio 1994) - Corriere della Sera
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ANDREA BARBATO
Nato il 7 marzo 1934 a Roma. Morto il 12 febbraio 1996 a Roma.
Intellettuale: una definizione ambita, a volte retorica e convenzionale, a volte addirittura un epiteto irripetibile ed imbarazzante. Limpidamente, e con grande stima, è il primo aggettivo che mi viene in mente per Andrea Barbato, giornalista perbene e raffinato, elegante e sobrio, dotato della rara capacità di saper rivolgersi a chiunque. La sua avventura professionale, che lo porta a diventare uno dei più eclettici e meritevoli giornalisti italiani, comincia quando Andrea è ancora adolescente. A soli ventidue anni partecipa ad uno stage presso la BBC di Londra, tempio dell'obiettività dell'informazione. La sua innegabile capacità comunicativa e la sua profonda, non marmorizzata cultura, gli fanno acquisire competenze e conoscenze tali da farlo arrivare al ruolo di inviato speciale per prestigiose testate italiane, quali “Il Messaggero”, “L'Espresso” e “Il Giorno”. Ricordo, nel 1968, su “L'Espresso”, una accurata recensione, un film memorabile, ma snobbato dalla critica moralisteggiante dell'epoca, “I pugni in tasca”, cult-movie realizzato da un irriverente e ribelle giovane cineasta, Marco Bellocchio. Nei controversi anni Sessanta, Barbato è protagonista dell’informazione televisiva. I vertici Rai di quegli anni ritengono giunto il momento di rimpinguare, con una edizione dell’ora di pranzo (ore 13 e 30), l’informazione arginata da un unico, paludato, tg serale. La conduzione è affidata proprio ad Andrea Barbato, cortese, ma puntuale nello sviscerare la cronaca - politica e non - con arguzia e brillantezza ammirevoli. In questo terremoto televisivo, viene stravolto il ruolo dello speaker, che fino ad allora leggeva diligentemente ciò che era preparato dalla redazione. Ecco un giornalista dotato di una sua identità: volto, linguaggio, anima ed opinioni. Diretta da Los Angeles in occasione dell’assassinio di Robert Kennedy, tragedia raccontata poi nel saggio “Il sogno degli anni '60” (1981): "Me le ricordo come fosse ieri, le lacrime sul viso di Frank Manikewicz alle due di mattina di quel 5 giugno 1968, nell'auditorium dell'ospedale Good Samaritan. S'era avvicinato a un piccolo palco, nel silenzio dei reporter, e tutti avevano capito, e avevano ascoltato in silenzio. 'Voglio fare una breve dichiarazione. Il senatore Robert Kennedy è morto all'1,44 di stamane. Aveva 42 anni'. Non disse altro, nessuno disse altro. Anche la gente che aspettava alle uscite, accanto agli agenti di guardia, si sciolse in silenzio". Giornalista di nobile sinistra, permeato da acuta sensibilità e da rare capacità analitiche doti che non lasciano spazio a tentazioni faziose. Ineccepibile nel commentare, ad esempio, la brutale invasione sovietica a Praga, nell’agosto del '68, proprio nel momento in cui il Partito comunista cecoslovacco si appresta a sancire le riforme libertarie richieste dalla gente e a sconfiggere la cosiddetta ala stalinista. L’anchor-man dotto e dai toni pacati fa parte della “squadra” di conduttori arruolata per commentare lo storico sbarco sulla Luna, nella trasmissione fiume del 20-21 luglio 1969. Dallo studio 3 di via Teulada si alternano Barbato,Tito Stagno, Jas Gawronsky (da Houston) e Ruggero Orlando, indimenticabili protagonisti di una delle notti più lunghe del Ventesimo secolo. Le sue parole nell’incipit della moon-night: “Quelle che stiamo per vivere, tutti insieme, gli abitanti della Terra, sono forse le ore più importanti di questo secolo. L'uomo sta per violare il primo mistero dell'universo...” conquistano ed esaltano i telespettatori.
Andrea Barbato è uno di quei telegiornalisti che hanno scritto la storia della tv italiana. Il “gobbo”, in quegli anni, è una chimera: nella quotidiana e soprattutto nelle emergenze occorre naturale prontezza e solida cultura. Tra il 1971 e il 1975 riaffiora la sua prima passione, l’informazione su carta. Prima a “La Stampa” e poi nella mitica prima notte de “La Repubblica”, quando attende, assieme a Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca, Miriam Mafai e Alberto Arbasino, la prima copia di quel quotidiano che, per l'epoca, rappresenta una rivoluzione nel mondo dei mass media. Nel 1972 scrive i testi di “Chung Kuo-Cina” di Michelangelo Antonioni, in cui racconta una Cina sconosciuta, con immagini spesso rubate nelle zone off-limits. Nel marzo del 1976 viene arruolato in Rai per dirigere il “laico” Tg2. Si prefigge di “rendere meno burocratico il linguaggio del telegiornale”, inaugurando un nuovo modo di trattare le notizie, avvalendosi di conduttori come Mario Pastore, Italo Moretti e Piero Angela, che tiene a battesimo la prima edizione del neonato telegiornale. La vis creativa di Barbato dà vita a nuove rubriche di successo come “Tg2 - Dossier” e “Odeon”. Mantiene la carica di direttore fino al 1980. In quegli anni Craxi conquista la segreteria dei Psi e Andrea, di area lombardiana, viene considerato un eretico. In una infuocata commissione di Vigilanza Rai, Claudio Martelli, allora numero due del Psi, chiede e ottiene la rimozione di Barbato. Gli succede Ugo Zatterin,lui si invola in una nuova avventura editoriale. Al timone per un anno, dall’82 all’83, di “Paese Sera”, ammiraglia comunicazionale del Pci, le cui falle inaspriscono presto i rapporti fra il giornalista e la proprietà. Successivamente Barbato si candida alle elezioni con la Sinistra Indipendente e viene eletto alla Camera dei Deputati. Nel 1987 rieccolo protagonista in video con l'ideazione e la conduzione di “Va’ pensiero”, contenitore domenicale di Raitre, che miscela interviste, approfondimenti culturali, momenti comici e risultati delle partite di calcio. E proprio lì, dove si affaccia per la prima volta il pestifero Chiambretti, è doveroso riconoscergli anche un certo fiuto da talent-scout. Archiviato anche “Fluff - processo alla Tv” (1989), talk show di approfondimento, l’ex-direttore del Tg2 sperimenta un nuovo modo sintetico ed efficace di riflettere sui fatti del giorno con la “Cartolina di Andrea Barbato”: pochi minuti ogni sera, una opinione rapida e incisiva sui fatti e i protagonisti del giorno. E' ironico, garbato, elegante e rispettoso. Ma anche acuto, pungente e determinato. Quattro anni di straordinari successi, dal 1990 al 1994, stimato e rispettato anche da telespettatori lontani anni luce dalle sue posizioni politiche.
L’energia, la passione civile, l’indole libertaria scevra da tentazioni faziose ne fanno uno dei giornalisti più interessanti e originali della sua generazione. Le sue ultime trasmissioni, “Girone all’italiana”, “La zattera” e “Italiani” elevano la terzogenita di Mamma Rai, Raitre ad un livello alto di programmi di informazione e di approfondimento. La sua ultima fatica televisiva,“Speciale Tre”, viene interrotta bruscamente nel 1995. Collocato, forzatamente, in pensione, collaborerà sino alla fine dei suoi giorni con “L'Espresso”. In privato è un delizioso conversatore, un conquistatore: autoironico per le sue debolezze (è, tra l'altro, un appassionato scommettitore per le corse dei cavali).
In un gelido giorno del febbraio 1996, la morte lo strappa ai suoi cari, la seconda moglie Ivana Monti, attrice teatrale e televisiva, i figli Nicola e Tommaso. La sua statura professionale è celebrata con il Premio Andrea Barbato “Etica dell’obiettività” istituito nel 1997: fra i vincitori nelle diverse edizioni Oscar Luigi Scalfaro, Rita Levi Montalcini, Enzo Biagi. L’eleganza innata, la erre blesa, una certa composta teatralità nell’esporre fatti e opinioni non gli impedivano di “sbottare” - come ricorda Oliviero Beha - “per la politica come per la Roma, per la letteratura come per il cinema, o il tennis, e si doleva di non ‘sbottare’ abbastanza: perché comunque sbottare non stava bene, o forse non serviva, o era addirittura controproducente. Ma questo non gli impediva di solidarizzare in modo contraddittorio e semiserio con chi ‘sbottava’ più di lui”.
CESARE LANZA
(dicembre 2009)
la classe, l'eleganza, l'intelligenza , la cultura di personaggi come lui ci manca. Oggi la volgarità e la stupidità sono predominanti
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