La denuncia parti dall'Espresso che Il Giornale ha riportato in data 31 agosto 2002, i fatti erano piu' o meno questi:
Benvenuto... con i soldi dei lavoratori
Il deputato dei Ds avrebbe usato i fondi Uil per comprarsi casa
di Igor Iezzi - 24 SETTEMBRE 2002
Società finanziarie create e poi disciolte nel nulla, fusioni, gestioni
familiari, compravendita di azioni, intestazioni fiduciarie, limmancabile
intervento della camorra: insomma, tutti gli ingredienti per una classica
storia di truffa italiana. Ma in questo caso cè qualcosa di più: uno dei
maggiori sindacati italiani, la Uil, e un ex segretario della stessa
Confederazione diventato oggi deputato dei Ds, Giorgio Benvenuto.
La vicenda è stata rivelata da LEspresso che accusa il deputato dei Ds di
essere entrato in possesso di immobili, azioni e soldi di proprietà della
Uil e, quindi, dei lavoratori iscritti a quel sindacato. Oggetto di questa
inchiesta sono due società oramai chiuse: la Finlabor, in sostanza la
finanziaria del sindacato che gestiva lattività di brokeraggio assicurativo
e il pacchetto di 241 mila azioni Unipol, e la Copinvest. Nel 1989 Antonio
Bianchi, uomo di fiducia di Benvenuto, diventa amministratore unico di
Finlabor. Questo Bianchi è anche amministratore di una società che fa capo a
Maria Pompei, moglie di Benvenuto: la Copinvest.Nel maggio del 1990 la
Copinvest incorpora la Finlabor. In dotazione le due società portano
rispettivamente due appartamenti prestigiosi in via Sestina a Roma e oltre 4
miliardi frutto della vendita delle azioni Unipol. Ma nel bilancio di fine
anno della nuova società, i soldi magicamente spariscono. Nel 1995 Bianchi
chiude la nuova Copinvest e apre la Edigest 2050, con a capo sempre Maria
Pompei. Da questa ennesima società il deputato Ds Benvenuto compra ad un
prezzo irrilevante i due appartamenti in via Sestina, facendo un vero
affare. In seguito, da unindagine del vicequestore napoletano Maurizio
Vallone sul boss Ciro Mazzarella, salta fuori che la camorra aveva strane
intenzioni sulle proprietà gestite dalla Edigest: Bianchi era, infatti,
cognato del boss del contrabbando. Camorra e truffe finanziarie allombra
della Uil: e ai lavoratori chi ci pensa?
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Come fini' tutta questa storia? GIORGIO BENVENUTI è ora nei DS.
ITALIANISCOSTUMATI IN RIFERIMENTO AI POLITICI CHE HANNO PORTATO IL PAESE A UN DEBITO PUBBLICO FUORI CONTROLLO... un paese che sta' nelle graduatorie che non ci fanno onore...un blog caotico e senza nessuna pretesa...
Elenco blog personale
venerdì 30 marzo 2012
LUIGI LUSI...
Lusi: "Ville? Per il partito. Soldi? 60% ai Popolari, 40 ai rutelliani"
ROMA - Il patto per la spartizione dei fondi della Margherita assegnava "il 60 per cento ai Popolari e il 40 per cento ai rutelliani". A fare da garante era Luigi Lusi che aveva il compito, come spiega lui stesso ai magistrati, "di mettere al sicuro i rimborsi elettorali", circa 220 milioni di euro. E lo fece "effettuando anche operazioni immobiliari, di cui alcuni all'interno del partito erano a conoscenza". Il verbale dell'ormai noto tesoriere, indagato per appropriazione indebita e illecito reimpiego dei soldi perché accusato di aver sottratto dalle casse del partito almeno 23 milioni di euro a fini personali, svela quanto accaduto nella formazione politica poi confluita nel Partito democratico dal 2007 in poi riguardo alla gestione del denaro. Dichiara Lusi ai pubblici ministeri: "Dal 2009 ho annotato le uscite perché i Popolari non sapevano quanto prendeva Francesco Rutelli, che ritengo nel tempo abbia avuto qualcosa in più per la nostra vicinanza politica e perché era presidente del partito". E lacquisto delle case? Per investire i fondi della Margherita. Per le sue tasche, "solo" 700 mila euro "da prestare a parenti bisognosi". Lusi non solo era stato designato dal partito come "fiduciario" dei fondi spartiti tra le varie correnti, ma era stato anche consigliato di "investire bene i soldi incassati" dal forziere dei rimborsi elettorali. E per "bene" si intendono le ville e le case acquistate che ora, però, è "disposto a restituire" perché si è "dimesso dallincarico di tesoriere". Quindi i vertici non erano a conoscenza delle proprietà immobiliari comprate con i fondi del partito? No, l'ex tesoriere dice che non è proprio così. Qualcuno sapeva, eccome se sapeva, anche delle ville. "Comunque dell'acquisto alcuni sapevano - insiste -. Non faccio i nomi però, perché tanto non lo confermerebbero". E dunque chi sono questi "alcuni" ben informati? Il patrimonio immobiliare di Luigi Lusi come hanno dimostrato le indagini della Guardia di finanza, è ben nutrito e lui stesso, sempre durante l'interrogatorio dellaltro ieri, ha spiegato che la villa di Genzano "acquistata a 6 milioni di euro oggi, dopo la ristrutturazione, ha un valore intorno ai 7 milioni". A questa vanno poi aggiunte le case di via Monserrato a Roma, la villa di Ariccia e i 5 appartamenti a Capistrello in provincia de L'Aquila. Per quando riguarda invece le distrazioni personali, ci sono "700 mila euro che amministravo come fiduciario ma che ho usato per i prestiti ad alcuni miei parenti". Tra questi, "i 100 mila euro a mio fratello Angelo e 120 mila a mio nipote". Le Fiamme gialle avevano scoperto che Lusi aveva creato una serie di società, incastrate l'una all'altra con un meccanismo di scatole cinesi, per acquistare immobili e gestire
ROMA - Il patto per la spartizione dei fondi della Margherita assegnava "il 60 per cento ai Popolari e il 40 per cento ai rutelliani". A fare da garante era Luigi Lusi che aveva il compito, come spiega lui stesso ai magistrati, "di mettere al sicuro i rimborsi elettorali", circa 220 milioni di euro. E lo fece "effettuando anche operazioni immobiliari, di cui alcuni all'interno del partito erano a conoscenza". Il verbale dell'ormai noto tesoriere, indagato per appropriazione indebita e illecito reimpiego dei soldi perché accusato di aver sottratto dalle casse del partito almeno 23 milioni di euro a fini personali, svela quanto accaduto nella formazione politica poi confluita nel Partito democratico dal 2007 in poi riguardo alla gestione del denaro. Dichiara Lusi ai pubblici ministeri: "Dal 2009 ho annotato le uscite perché i Popolari non sapevano quanto prendeva Francesco Rutelli, che ritengo nel tempo abbia avuto qualcosa in più per la nostra vicinanza politica e perché era presidente del partito". E lacquisto delle case? Per investire i fondi della Margherita. Per le sue tasche, "solo" 700 mila euro "da prestare a parenti bisognosi". Lusi non solo era stato designato dal partito come "fiduciario" dei fondi spartiti tra le varie correnti, ma era stato anche consigliato di "investire bene i soldi incassati" dal forziere dei rimborsi elettorali. E per "bene" si intendono le ville e le case acquistate che ora, però, è "disposto a restituire" perché si è "dimesso dallincarico di tesoriere". Quindi i vertici non erano a conoscenza delle proprietà immobiliari comprate con i fondi del partito? No, l'ex tesoriere dice che non è proprio così. Qualcuno sapeva, eccome se sapeva, anche delle ville. "Comunque dell'acquisto alcuni sapevano - insiste -. Non faccio i nomi però, perché tanto non lo confermerebbero". E dunque chi sono questi "alcuni" ben informati? Il patrimonio immobiliare di Luigi Lusi come hanno dimostrato le indagini della Guardia di finanza, è ben nutrito e lui stesso, sempre durante l'interrogatorio dellaltro ieri, ha spiegato che la villa di Genzano "acquistata a 6 milioni di euro oggi, dopo la ristrutturazione, ha un valore intorno ai 7 milioni". A questa vanno poi aggiunte le case di via Monserrato a Roma, la villa di Ariccia e i 5 appartamenti a Capistrello in provincia de L'Aquila. Per quando riguarda invece le distrazioni personali, ci sono "700 mila euro che amministravo come fiduciario ma che ho usato per i prestiti ad alcuni miei parenti". Tra questi, "i 100 mila euro a mio fratello Angelo e 120 mila a mio nipote". Le Fiamme gialle avevano scoperto che Lusi aveva creato una serie di società, incastrate l'una all'altra con un meccanismo di scatole cinesi, per acquistare immobili e gestire
giovedì 29 marzo 2012
TROPPE TASSE - SI DA FUOCO
Troppe tasse, un muratore si dà fuoco
davanti all'Agenzia delle entrate: è grave
Un 58enne ha parcheggiato l'auto davanti alla sede del Fisco di Bologna e si è dato fuoco. Boom di suicidi per motivi economici. Schiacciati dal peso fiscale? Raccontateci la vostra storia: segnala@ilgiornale.it
Troppe tasse, un muratore si dà fuoco davanti all'Agenzia delle entrate: è grave
di Raffaello Binelli
L'uomo, un 58enne, ha lasciato due lettere, una alla commissione tributaria, in cui fa riferimento alle proprie pendenze tributarie, l'altra alla moglie. Ricoverato all'ospedale di Parma, versa in gravissime condizioni. Il sindaco di Bologna Merola: "E' un fatto sconvolgente che deve far riflettere tutti"
FONTE: IL GIORNALE
davanti all'Agenzia delle entrate: è grave
Un 58enne ha parcheggiato l'auto davanti alla sede del Fisco di Bologna e si è dato fuoco. Boom di suicidi per motivi economici. Schiacciati dal peso fiscale? Raccontateci la vostra storia: segnala@ilgiornale.it
Troppe tasse, un muratore si dà fuoco davanti all'Agenzia delle entrate: è grave
di Raffaello Binelli
L'uomo, un 58enne, ha lasciato due lettere, una alla commissione tributaria, in cui fa riferimento alle proprie pendenze tributarie, l'altra alla moglie. Ricoverato all'ospedale di Parma, versa in gravissime condizioni. Il sindaco di Bologna Merola: "E' un fatto sconvolgente che deve far riflettere tutti"
FONTE: IL GIORNALE
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mercoledì 28 marzo 2012
ARTIGIANO SI DA FUOCO DAVANTI LA AGENZIA DELL'ENTRATE
Bologna. Artigiano si dà fuoco davanti all’Agenzia delle entrate
BOLOGNA – Un uomo, un italiano di 58 anni, si e’ dato fuoco questa mattina alle 8 dentro una vettura parcheggiata davanti alla sede della agenzia delle entrate a Bologna. L’uomo e’ ricoverato al centro grandi ustionati di Parma, ha ustioni su tutto il corpo ed e’ gravissimo. Il sospetto e’ che a muoverlo siano stati problemi economici, giacche’ ha lasciato tre lettere, una proprio indirizzata alla commissione tributaria.
L’uomo di 58 anni che si e’ dato fuoco e’ un artigiano edile con un’impresa individuale, in sofferenza ultimamente per la crisi economica, come molti suoi colleghi del settore. In particolare si occupava di lavori di piccola manutenzione nelle case. ”Una persona molto equilibrata”, lo definisce Ermanno Merli, responsabile Cna di Ozzano Emilia, comune della Provincia di Bologna dove da molti anni l’artigiano originario del Casertano si era trasferito, legandosi all’associazione di categoria.
Nelle lettere in cui spiega le ragioni del suo gesto l’uomo che si e’ dato fuoco davanti alla Agenzia delle Entrate di Bologna chiede perdono, oltre che alla moglie, anche all’Agenzia stessa. Lo ha spiegato l’agente della polizia municipale che ha spento le fiamme. ”Mi ha detto: ‘ho tentato di uccidermi, voglio morire, voglio morire’ ”.
Merli non e’ a conoscenza delle lettere in cui l’uomo parlava della propria situazione: ”Qualche anno fa so che aveva avuto dei contenziosi legati al fatto che non aveva pagato alcuni tributi – prosegue il responsabile dell’associazione – e per quello che sappiamo nell’ultimo periodo aveva piu’ difficolta’ del solito”. Problemi che comunque ”coinvolgono tutto il settore da un anno e mezzo. Sono molte le imprese fallite nel nostro territorio. Molte anche le persone che erano venute qui a lavorare e sono dovute ritornare al sud”, perche’ non ce la facevano piu’.
”Ho sentito un gran boato, sembrava un incidente, un tubo saltato. Ma affacciandomi alla finestra ho visto l’auto in fiamme, una palla di fuoco. A 25-30 metri i vigili urbani erano accanto a una ‘cosa’ a terra. Un vigile cercava di spegnerla con il giaccone; sembrava un pezzo dell’auto… poi mi sono accorto che era un uomo”. Cosi’ Moreno Masotti, che stamani alle 8.15 affacciandosi dal suo ufficio e’ stato testimone del salvataggio dell’uomo che si e’ dato fuoco davanti all’Agenzia delle Entrate a Bologna.
Masotti ha spiegato che quando ha visto le fiamme ha preso un estintore ed e’ sceso per aiutare i vigili urbani, non pensando che ci fosse una persona coinvolta. ”Quando sono arrivato giu’ ho visto che era un uomo, e che era completamente nudo, come se i vestiti fosse completamente bruciati, la pelle era carbonizzata e viva. Era a terra, si lamentava e alzava la testa, ma era distante e non ho capito se tentasse di parlare”. Poco dopo e’ arrivata la Croce rossa e hanno portato via l’uomo in ambulanza. ”Sono stati molto rapidi, mi sento di fare i complimenti ai vigili che spero siano riusciti a salvare quella persona”.
L’episodio dell’uomo che oggi si e’ dato fuoco a Bologna, davanti alla sede dell’Agenzia delle entrate, ”e’ il segno evidente di come la crisi economica sia diventata oramai anche crisi sociale”. Lo afferma il Presidente Codacons, Carlo Rienzi, che aggiunge: ”Gesti estremi da parte di artigiani e piccoli imprenditori schiacciati dai debiti e dalle tasse sono purtroppo sempre piu’ frequenti, e danno vita in Italia ad una vera e propria emergenza sociale”. Secondo Renzi, ”il Governo non puo’ limitarsi ad elevare le tasse e inasprire il fisco, ma deve anche intervenire per dare sostegno agli imprenditori in crisi – prosegue Rienzi – studiando provvedimenti in grado di aiutare chi ha un carico troppo elevato di debiti e, per questo, non riesce a pagare tasse e scadenza varie entro i termini di legge”.
BOLOGNA – Un uomo, un italiano di 58 anni, si e’ dato fuoco questa mattina alle 8 dentro una vettura parcheggiata davanti alla sede della agenzia delle entrate a Bologna. L’uomo e’ ricoverato al centro grandi ustionati di Parma, ha ustioni su tutto il corpo ed e’ gravissimo. Il sospetto e’ che a muoverlo siano stati problemi economici, giacche’ ha lasciato tre lettere, una proprio indirizzata alla commissione tributaria.
L’uomo di 58 anni che si e’ dato fuoco e’ un artigiano edile con un’impresa individuale, in sofferenza ultimamente per la crisi economica, come molti suoi colleghi del settore. In particolare si occupava di lavori di piccola manutenzione nelle case. ”Una persona molto equilibrata”, lo definisce Ermanno Merli, responsabile Cna di Ozzano Emilia, comune della Provincia di Bologna dove da molti anni l’artigiano originario del Casertano si era trasferito, legandosi all’associazione di categoria.
Nelle lettere in cui spiega le ragioni del suo gesto l’uomo che si e’ dato fuoco davanti alla Agenzia delle Entrate di Bologna chiede perdono, oltre che alla moglie, anche all’Agenzia stessa. Lo ha spiegato l’agente della polizia municipale che ha spento le fiamme. ”Mi ha detto: ‘ho tentato di uccidermi, voglio morire, voglio morire’ ”.
Merli non e’ a conoscenza delle lettere in cui l’uomo parlava della propria situazione: ”Qualche anno fa so che aveva avuto dei contenziosi legati al fatto che non aveva pagato alcuni tributi – prosegue il responsabile dell’associazione – e per quello che sappiamo nell’ultimo periodo aveva piu’ difficolta’ del solito”. Problemi che comunque ”coinvolgono tutto il settore da un anno e mezzo. Sono molte le imprese fallite nel nostro territorio. Molte anche le persone che erano venute qui a lavorare e sono dovute ritornare al sud”, perche’ non ce la facevano piu’.
”Ho sentito un gran boato, sembrava un incidente, un tubo saltato. Ma affacciandomi alla finestra ho visto l’auto in fiamme, una palla di fuoco. A 25-30 metri i vigili urbani erano accanto a una ‘cosa’ a terra. Un vigile cercava di spegnerla con il giaccone; sembrava un pezzo dell’auto… poi mi sono accorto che era un uomo”. Cosi’ Moreno Masotti, che stamani alle 8.15 affacciandosi dal suo ufficio e’ stato testimone del salvataggio dell’uomo che si e’ dato fuoco davanti all’Agenzia delle Entrate a Bologna.
Masotti ha spiegato che quando ha visto le fiamme ha preso un estintore ed e’ sceso per aiutare i vigili urbani, non pensando che ci fosse una persona coinvolta. ”Quando sono arrivato giu’ ho visto che era un uomo, e che era completamente nudo, come se i vestiti fosse completamente bruciati, la pelle era carbonizzata e viva. Era a terra, si lamentava e alzava la testa, ma era distante e non ho capito se tentasse di parlare”. Poco dopo e’ arrivata la Croce rossa e hanno portato via l’uomo in ambulanza. ”Sono stati molto rapidi, mi sento di fare i complimenti ai vigili che spero siano riusciti a salvare quella persona”.
L’episodio dell’uomo che oggi si e’ dato fuoco a Bologna, davanti alla sede dell’Agenzia delle entrate, ”e’ il segno evidente di come la crisi economica sia diventata oramai anche crisi sociale”. Lo afferma il Presidente Codacons, Carlo Rienzi, che aggiunge: ”Gesti estremi da parte di artigiani e piccoli imprenditori schiacciati dai debiti e dalle tasse sono purtroppo sempre piu’ frequenti, e danno vita in Italia ad una vera e propria emergenza sociale”. Secondo Renzi, ”il Governo non puo’ limitarsi ad elevare le tasse e inasprire il fisco, ma deve anche intervenire per dare sostegno agli imprenditori in crisi – prosegue Rienzi – studiando provvedimenti in grado di aiutare chi ha un carico troppo elevato di debiti e, per questo, non riesce a pagare tasse e scadenza varie entro i termini di legge”.
CARLO DE BENEDETTI
FEDERICO RAMPINI INTERVISTA CARLO DE BENEDETTI
Federico Rampini chiede a De Benedetti quando ha inizio la sua lunga storia con l'Olivetti?
De Benedetti risponde, ai primi di gennaio 1978 il professor Bruno Visentini mi chiese un incontro, Ero curioso di conoscere i motivi, sia per la reputazione di un uomo dal carattere difficile che Visentini aveva, sia perche' la nostra ultima conversazione poco piu' di un anno prima, non era proprio stata idilliaca.
Perche?
Era il periodo in cui ero amministratore delegato della FIAT e avevo concesso un intervista all'Unita'. Volevo dare risposte rassicuranti al giornalista che sollevava preoccupazioni sul futuro della Fiat, Non riuscendo a convincerlo, persi la pazienza e gli dissi:
" Non siamo mica decotti come l'Olivetti!"
Visentini ando' su tutte le furie. telefono' ad Agnelli lamentantosi vivacemente, tanto che l'Avvocato mi chiese di fare direttamente una telefonata di scuse al professore.
continua...
Federico Rampini chiede a De Benedetti quando ha inizio la sua lunga storia con l'Olivetti?
De Benedetti risponde, ai primi di gennaio 1978 il professor Bruno Visentini mi chiese un incontro, Ero curioso di conoscere i motivi, sia per la reputazione di un uomo dal carattere difficile che Visentini aveva, sia perche' la nostra ultima conversazione poco piu' di un anno prima, non era proprio stata idilliaca.
Perche?
Era il periodo in cui ero amministratore delegato della FIAT e avevo concesso un intervista all'Unita'. Volevo dare risposte rassicuranti al giornalista che sollevava preoccupazioni sul futuro della Fiat, Non riuscendo a convincerlo, persi la pazienza e gli dissi:
" Non siamo mica decotti come l'Olivetti!"
Visentini ando' su tutte le furie. telefono' ad Agnelli lamentantosi vivacemente, tanto che l'Avvocato mi chiese di fare direttamente una telefonata di scuse al professore.
continua...
OLIVETTI - CARLO DE BENEDETTI
FONTE QUI
De Benedetti colpevole dello sfascio dell'Italia migliore.
Adriano Olivetti a Ivrea con le maestranze negli anni 50
Ci vuole un bel coraggio a sostenere che il percorso che ha condotto l’Olivetti a scomparire è stato positivo perché ha generato un’enorme liquidità tanto da consentirle l’acquisto di Telecom Italia. E’ Carlo De Benedetti che lo scrive oggi, su Il Giornale, in una lettera a Giuliano Ferrara. Il risultato è che, oggi, l’Olivetti SpA è una società ridotta ai minimi termini, di proprietà di Telecom Italia. Nel 1978 De Benedetti assunse la guida di Olivetti, allora gioiello dell’elettronica italiana e leader mondiale nel comparto delle macchine per ufficio. Negli anni 80, a fronte della spinta propulsiva dello staff tecnico che metteva a segno grandi successi nel settore emergente dei personal computer, la direzione si divertiva a giocare con l’alta finanza. Soprattutto fece crescere una generazione di dirigenti più sensibile ai passaggi di denaro che ai successi sul piano industriale. I nuovi dirigenti scalzarono la vecchia guardia ispirata dal fondatore, Adriano Olivetti, e ne distrussero la scuola. Nulla di nuovo sotto il sole, perché una cosa analoga successe negli altri comparti dell’industria italiana, pubblica e privata. L’eredità che rimane è lo sfascio italiano rappresentato degnamente dalle parole di Carlo De Benedetti: “Olivetti si comprò Telecom …” 120327DanieleLeoni
Pubblicato anche in:
http://www.ilfoglio.it/hydepark/archivio/21665
Hyde Park Corner › Archivio
Lettera di Carlo De Benedetti a Giuliano Ferrara. (27 Marzo 2011)
Caro Giuliano Ferrara,
constato che in questo periodo una delle sue principali occupazioni è quella di seguire tutto quanto riguarda Repubblica ed il suo editore.
Nell’articolo che lei ha pubblicato su Il Giornale del 25 marzo, commette due falsi, rispetto ai quali le chiedo una smentita:
1) quando Olivetti dovette ridurre fortemente il numero dei suoi dipendenti per cambiamenti epocali rispetto alla propria antica tecnologia meccanica, a causa dei quali scomparvero mestieri e prodotti (lei si ricorda ancora la calcolatrice meccanica?), si avviò presso il ministero del Lavoro una dura trattativa che riguardava settemila persone, nel contesto della quale peraltro Olivetti non chiese mai che Poste assumesse dipendenti Olivetti, né vi fu alcun accordo in tal senso, tanto che di fatto nessun dipendente Olivetti fu trasferito a Poste;
2) l’Olivetti non è mai fallita come erroneamente si afferma. Ha pagato sempre tutti, dipendenti, fornitori, banche, imposte e contributi e per la straordinaria «invenzione» che ebbi nel trovarle una nuova visione nelle telecomunicazioni, dette origine alla più grande creazione di valore in cinque anni mai avvenuta in Italia e si trovò ad essere l’azienda più liquida nel nostro Paese tanto che si comprò, dopo la mia uscita e contro il mio parere, Telecom Italia. Per favore, ne prenda nota e ne dia conto ai suoi lettori.
Con i migliori saluti
Carlo De Benedetti
Pubblicato da Daniele Leoni
De Benedetti colpevole dello sfascio dell'Italia migliore.
Adriano Olivetti a Ivrea con le maestranze negli anni 50
Ci vuole un bel coraggio a sostenere che il percorso che ha condotto l’Olivetti a scomparire è stato positivo perché ha generato un’enorme liquidità tanto da consentirle l’acquisto di Telecom Italia. E’ Carlo De Benedetti che lo scrive oggi, su Il Giornale, in una lettera a Giuliano Ferrara. Il risultato è che, oggi, l’Olivetti SpA è una società ridotta ai minimi termini, di proprietà di Telecom Italia. Nel 1978 De Benedetti assunse la guida di Olivetti, allora gioiello dell’elettronica italiana e leader mondiale nel comparto delle macchine per ufficio. Negli anni 80, a fronte della spinta propulsiva dello staff tecnico che metteva a segno grandi successi nel settore emergente dei personal computer, la direzione si divertiva a giocare con l’alta finanza. Soprattutto fece crescere una generazione di dirigenti più sensibile ai passaggi di denaro che ai successi sul piano industriale. I nuovi dirigenti scalzarono la vecchia guardia ispirata dal fondatore, Adriano Olivetti, e ne distrussero la scuola. Nulla di nuovo sotto il sole, perché una cosa analoga successe negli altri comparti dell’industria italiana, pubblica e privata. L’eredità che rimane è lo sfascio italiano rappresentato degnamente dalle parole di Carlo De Benedetti: “Olivetti si comprò Telecom …” 120327DanieleLeoni
Pubblicato anche in:
http://www.ilfoglio.it/hydepark/archivio/21665
Hyde Park Corner › Archivio
Lettera di Carlo De Benedetti a Giuliano Ferrara. (27 Marzo 2011)
Caro Giuliano Ferrara,
constato che in questo periodo una delle sue principali occupazioni è quella di seguire tutto quanto riguarda Repubblica ed il suo editore.
Nell’articolo che lei ha pubblicato su Il Giornale del 25 marzo, commette due falsi, rispetto ai quali le chiedo una smentita:
1) quando Olivetti dovette ridurre fortemente il numero dei suoi dipendenti per cambiamenti epocali rispetto alla propria antica tecnologia meccanica, a causa dei quali scomparvero mestieri e prodotti (lei si ricorda ancora la calcolatrice meccanica?), si avviò presso il ministero del Lavoro una dura trattativa che riguardava settemila persone, nel contesto della quale peraltro Olivetti non chiese mai che Poste assumesse dipendenti Olivetti, né vi fu alcun accordo in tal senso, tanto che di fatto nessun dipendente Olivetti fu trasferito a Poste;
2) l’Olivetti non è mai fallita come erroneamente si afferma. Ha pagato sempre tutti, dipendenti, fornitori, banche, imposte e contributi e per la straordinaria «invenzione» che ebbi nel trovarle una nuova visione nelle telecomunicazioni, dette origine alla più grande creazione di valore in cinque anni mai avvenuta in Italia e si trovò ad essere l’azienda più liquida nel nostro Paese tanto che si comprò, dopo la mia uscita e contro il mio parere, Telecom Italia. Per favore, ne prenda nota e ne dia conto ai suoi lettori.
Con i migliori saluti
Carlo De Benedetti
Pubblicato da Daniele Leoni
OLIVETTI
Confindustria: corso "successori ed eredi"
pubblicato da Daniele Leoni QUI..mercoledì 24 marzo 2010
Lo spunto me lo da Loris Modena con il suo articolo sull'Olivetti e le sue occasioni mancate. Questa è la domanda che mi sono fatto: - Carlo De Benedetti che interesse aveva, nel 1978, quando acquisì il controllo dell'Olivetti, a puntare sui sistemi dedicati di scrittura invece ce sul personal computer? - E ancora: - Perché il primo personal Olivetti, l'M20 del 1982, era così fuori standard da essere rifiutato dal mercato? - E infine: - Perché l'M24 del 1984 progettato per seguire i dettami del mercato (processore Intel e sistema operativo Microsoft), era incompatibile con le innumerevoli schede di espansione disponibili? - La risposta alle tre domande è semplice: scarsa considerazione dell'intelligenza dei clienti e arroganza; nessuna dietrologia o secondo fine.
A dir la verità la presunzione aleggiava in Olivetti ancor prima dell'avvento di De Benedetti. Infatti il rivoluzionario calcolatore portatile del 1975, l'Olivetti P6040, invece della classica tastiera alfanumerica QWERTY, quella che tutti conosciamo e che deriva dalle macchine per scrivere, montava una tastiera in ordine alfabetico e una tastiera numerica.
A tutti voi sarà capitato di usare un bancomat per funzioni speciali con una tastiera in ordine alfabetico. Si scrive con grande difficoltà perché siamo abituati alla QWERTY fin dalle scuole medie. La tastiera QWERTY è standard per tutte le lingue che usano l'alfabeto romano e i numeri arabi e fu brevettata nel 1864. In ogni modo, a parte la tastiera, l'Olivetti P6040 era rivoluzionario e arrivava sei anni prima del PC IBM. E poi stava in una valigetta 24 ore. Perché, allora, l'Olivetti integrò sistemi di scrittura dedicati invece del personal computer? Scarsa considerazione dell'intelligenza dei clienti e arroganza! La mentalità era che chi scriveva non doveva calcolare e chi calcolava non doveva scrivere. Era un convincimento arretrato sulla divisione del lavoro che spiega anche come mai, il calcolatore P6040, non avesse una tastiera QWERTY.
E veniamo al personal M20. Mi ricordo che fui tentato di comprarlo. In quel periodo collaboravo con l'inserto scientifico del quotidiano Il Giorno, "L'età dellatecnica". Il mio amico e maestro Roberto Vacca scrisse un articolo nell'inserto intitolato "Ho comprato il personal e sono contento; non per moda: per comodità". Spiegava, Roberto Vacca, ingegnere e scrittore, come fosse conveniente avere uno strumento con cui scrivere, calcolare, disegnare e tenere perfino la contabilità! Si capiva che aveva comprato un M20. Era il 15 marzo 1983, il giorno del mio compleanno: trent'anni. Decisi di farmi un regalo. Il concessionario Olivetti, che aveva l'M20 esposto in vetrina, fece di tutto per convincermi a comprare un sistema di scrittura invece del personal. Infastidito rinunciai e, pochi giorni dopo scelsi un PC IBM ...
Presi quella decisione, un po' per la compatibilità del sistema operativo DOS, ma anche perla tastiera e il video separati dal corpo macchina. IBM proponeva un sistema che, visivamente, era assemblabile ed espandibile mentre Olivetti aveva inglobato tutto in un unico oggetto molto rigido e scomodo. Feci bene perché, di li a poco, l' M20 venne abbandonato per l'IBM compatibile Olivetti M24. Era perfetto, l'M24. Aveva a bordo il processore Intel 8086 che era più veloce dell'8088 dell'IBM. Però non dava la possibilità di montare schede di espansione che non fossero Olivetti. Il libero mercato degli accessori, che intanto si era sviluppato, risolse presto quel problema inventando il bus converter, che rendeva compatibile anche l'Olivetti M24 con l'universo delle espansioni e delle periferiche.
Poi, con rapidità, prese piede il mercato dei compatibili. Assemblare un Personal computer era la cosa più semplice del mondo e il prezzo dei componenti precipitava verso il basso. Le evoluzioni successive, con processori sempre più veloci e memoria sempre maggiore, me le costruii andando a scegliere la scheda madre, le CPU, il cabinet, l'alimentatore e le periferiche. Il software si poteva copiare anche da un amico e, pochi anni più tardi, si sarebbe potuto trovare in rete! Quello dell'informatica diventava, ogni anno di più, un settore poco adatto ai vecchi caproni dell'Olivetti.
Peccato però. Dietro quel marchio c'è una storia così gloriosa. Una storia che finì il 27 febbraio 1960, con la morte di Adriano Olivetti che non aveva formato un successore. Emma Marcegaglia dovrebbe fare il corso per gli industriali troppo accentratori, in confindustria. Dovrebbe chiamarlo "Successori ed eredi". Dovrebbe essere un corso gratuito, finanziato dallo Stato. Il Paese ne trarrebbe un grande beneficio!
100324 Daniele Leoni
Le foto. 1) Adriano Olivetti in fabbrica a Ivrea. 2) Mentre sviluppa sempre nuovi modelli di macchine per scrivere elettroniche, l’Olivetti, all’inizio degli anni ’80, punta ai sistemi di scrittura. 3) Nel 1975 Olivetti alla fiera di Hannover presenta il P6040 un personal computer basato su processore Intel 8080 in anticipo su IBM. 4) Il personal computer Olivetti M20 del 1983. 5) Il personal computer Olivetti M24 del 1984 disassemblato
pubblicato da Daniele Leoni QUI..mercoledì 24 marzo 2010
Lo spunto me lo da Loris Modena con il suo articolo sull'Olivetti e le sue occasioni mancate. Questa è la domanda che mi sono fatto: - Carlo De Benedetti che interesse aveva, nel 1978, quando acquisì il controllo dell'Olivetti, a puntare sui sistemi dedicati di scrittura invece ce sul personal computer? - E ancora: - Perché il primo personal Olivetti, l'M20 del 1982, era così fuori standard da essere rifiutato dal mercato? - E infine: - Perché l'M24 del 1984 progettato per seguire i dettami del mercato (processore Intel e sistema operativo Microsoft), era incompatibile con le innumerevoli schede di espansione disponibili? - La risposta alle tre domande è semplice: scarsa considerazione dell'intelligenza dei clienti e arroganza; nessuna dietrologia o secondo fine.
A dir la verità la presunzione aleggiava in Olivetti ancor prima dell'avvento di De Benedetti. Infatti il rivoluzionario calcolatore portatile del 1975, l'Olivetti P6040, invece della classica tastiera alfanumerica QWERTY, quella che tutti conosciamo e che deriva dalle macchine per scrivere, montava una tastiera in ordine alfabetico e una tastiera numerica.
A tutti voi sarà capitato di usare un bancomat per funzioni speciali con una tastiera in ordine alfabetico. Si scrive con grande difficoltà perché siamo abituati alla QWERTY fin dalle scuole medie. La tastiera QWERTY è standard per tutte le lingue che usano l'alfabeto romano e i numeri arabi e fu brevettata nel 1864. In ogni modo, a parte la tastiera, l'Olivetti P6040 era rivoluzionario e arrivava sei anni prima del PC IBM. E poi stava in una valigetta 24 ore. Perché, allora, l'Olivetti integrò sistemi di scrittura dedicati invece del personal computer? Scarsa considerazione dell'intelligenza dei clienti e arroganza! La mentalità era che chi scriveva non doveva calcolare e chi calcolava non doveva scrivere. Era un convincimento arretrato sulla divisione del lavoro che spiega anche come mai, il calcolatore P6040, non avesse una tastiera QWERTY.
E veniamo al personal M20. Mi ricordo che fui tentato di comprarlo. In quel periodo collaboravo con l'inserto scientifico del quotidiano Il Giorno, "L'età dellatecnica". Il mio amico e maestro Roberto Vacca scrisse un articolo nell'inserto intitolato "Ho comprato il personal e sono contento; non per moda: per comodità". Spiegava, Roberto Vacca, ingegnere e scrittore, come fosse conveniente avere uno strumento con cui scrivere, calcolare, disegnare e tenere perfino la contabilità! Si capiva che aveva comprato un M20. Era il 15 marzo 1983, il giorno del mio compleanno: trent'anni. Decisi di farmi un regalo. Il concessionario Olivetti, che aveva l'M20 esposto in vetrina, fece di tutto per convincermi a comprare un sistema di scrittura invece del personal. Infastidito rinunciai e, pochi giorni dopo scelsi un PC IBM ...
Presi quella decisione, un po' per la compatibilità del sistema operativo DOS, ma anche perla tastiera e il video separati dal corpo macchina. IBM proponeva un sistema che, visivamente, era assemblabile ed espandibile mentre Olivetti aveva inglobato tutto in un unico oggetto molto rigido e scomodo. Feci bene perché, di li a poco, l' M20 venne abbandonato per l'IBM compatibile Olivetti M24. Era perfetto, l'M24. Aveva a bordo il processore Intel 8086 che era più veloce dell'8088 dell'IBM. Però non dava la possibilità di montare schede di espansione che non fossero Olivetti. Il libero mercato degli accessori, che intanto si era sviluppato, risolse presto quel problema inventando il bus converter, che rendeva compatibile anche l'Olivetti M24 con l'universo delle espansioni e delle periferiche.
Poi, con rapidità, prese piede il mercato dei compatibili. Assemblare un Personal computer era la cosa più semplice del mondo e il prezzo dei componenti precipitava verso il basso. Le evoluzioni successive, con processori sempre più veloci e memoria sempre maggiore, me le costruii andando a scegliere la scheda madre, le CPU, il cabinet, l'alimentatore e le periferiche. Il software si poteva copiare anche da un amico e, pochi anni più tardi, si sarebbe potuto trovare in rete! Quello dell'informatica diventava, ogni anno di più, un settore poco adatto ai vecchi caproni dell'Olivetti.
Peccato però. Dietro quel marchio c'è una storia così gloriosa. Una storia che finì il 27 febbraio 1960, con la morte di Adriano Olivetti che non aveva formato un successore. Emma Marcegaglia dovrebbe fare il corso per gli industriali troppo accentratori, in confindustria. Dovrebbe chiamarlo "Successori ed eredi". Dovrebbe essere un corso gratuito, finanziato dallo Stato. Il Paese ne trarrebbe un grande beneficio!
100324 Daniele Leoni
Le foto. 1) Adriano Olivetti in fabbrica a Ivrea. 2) Mentre sviluppa sempre nuovi modelli di macchine per scrivere elettroniche, l’Olivetti, all’inizio degli anni ’80, punta ai sistemi di scrittura. 3) Nel 1975 Olivetti alla fiera di Hannover presenta il P6040 un personal computer basato su processore Intel 8080 in anticipo su IBM. 4) Il personal computer Olivetti M20 del 1983. 5) Il personal computer Olivetti M24 del 1984 disassemblato
GUIDALBERTO GUIDI...
GUIDALBERTO GUIDI ALL'ARENA DI GILLETTI RAI UNO IL 25 MARZO 2012
PAROLE DI GUIDALBERTO GUIDI:
In Italia per molti anni e forse per sempre, sicuramente per molti decenni non torneremo a come 10 anni fa', basta sorvolare con un aereo la baia di SINGAPORE per vedere navi che aspettano di partire con ogni tipo di prezzi di nolo.
Il lavoro si è spostato altrove, quindi le riforme servono a creare delle precondizioni: investimenti in infrastutture innovazione e ricerca.
------------------
IL LAVORO SI E' SPOSTATO ALTROVE, per il basso costo della mano d'opera che in Italia costa 22 euro, in India o,98 euro, in Croazia 2,70 euro, Argentina 4 euro, Romania 1,70 euro.
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A Roma diciamo, mettece na pezza. Allora se noi in Italia dobbiamo lavorare al prezzo dei cinesi, come mai in Germania questo non accade? forse i politici sono piu' onesti e capaci? e i sindacati? altrettanto piu' capaci e credibili?
PAROLE DI GUIDALBERTO GUIDI:
In Italia per molti anni e forse per sempre, sicuramente per molti decenni non torneremo a come 10 anni fa', basta sorvolare con un aereo la baia di SINGAPORE per vedere navi che aspettano di partire con ogni tipo di prezzi di nolo.
Il lavoro si è spostato altrove, quindi le riforme servono a creare delle precondizioni: investimenti in infrastutture innovazione e ricerca.
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IL LAVORO SI E' SPOSTATO ALTROVE, per il basso costo della mano d'opera che in Italia costa 22 euro, in India o,98 euro, in Croazia 2,70 euro, Argentina 4 euro, Romania 1,70 euro.
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A Roma diciamo, mettece na pezza. Allora se noi in Italia dobbiamo lavorare al prezzo dei cinesi, come mai in Germania questo non accade? forse i politici sono piu' onesti e capaci? e i sindacati? altrettanto piu' capaci e credibili?
martedì 27 marzo 2012
I CONTI DELLA SERVA IN CASA D'ALEMA...
Il libro sopra esposto non lo troverete piu' in circolazione, è una biografia scritta per i deficienti, le due pagine che io chiamo i "conti della serva" sono scritte in base alle informazioni che la moglie di D'Alema fornisce ai due giornalisti. Se cliccate sopra le pagine si ingrandiscono e potete leggere i conti e le spese di casa D'Alema. Il libro è stato stampato e messo in circolazione nell'anno 1995, 17 anni fa,
ERA L'ANNO 1965...E' CORROTTA LA CLASSE POLITICA?
LIBRI...IL SOTTOBOSCO...
Il sottobosco. Berlusconiani, dalemiani, centristi. Uniti nel nome degli affari
Un libro di Claudio Gatti Ferruccio Sansa , edito da Chiarelettere, 2012
Descrizione
I due autori vanno dritti al cuore del problema: gli affari della politica, che non hanno colore e se ne infischiano delle ideologie. Tutto comincia dalle incredibili convergenze tra Berlusconi e D'Alema, dalla famosa Bicamerale fino ad arrivare ai loro scudieri, De Santis e Dell'Utri. Le intercettazioni e gli atti di diverse indagini consentono di ricostruire i legami e gli incroci tra schieramenti opposti. Anche la prostituzione non ha colore: Tarantini procura donne al Cavaliere dopo averlo fatto per gli uomini del "cerchio magico" di D'AIema. Ma le combinazioni sono tante. Da Pranzato a Monchini e Lazzarini fino allo scandalo Enav, passando sempre per Italbrokers, il più grande broker assicurativo italiano. Naturalmente non poteva mancare lui, l'onnipresente Bisignani, amico di tutti e infaticabile manovratore. Gli autori non fanno sconti a nessuno. Ecco il sottobosco italiano, dalle seconde e terze linee, quelle che contano davvero e decidono dove la politica deve andare.
fonte qui
DAL SOLE 24 ORE
Pubblichiamo di seguito un estratto del libro Il Sottobosco da oggi disponibile nelle librerie
L'affare del petrolio venezuelano
... Figlio di un falegname di Martano, in provincia di Lecce, De Santis entra giovanissimo in politica. «Avevo tredici anni quando morì mio padre. Famiglia di artigiani, entrai nella Lega delle cooperative. Nel mio comune, Martano, sono stato anche assessore. Pci, 1989. Tessera nel portafoglio. Ma finiti il Pci, il Pds, i Ds, ho chiuso con la militanza» ha spiegato in una lunga intervista concessa il 30 settembre 2011 a Guido Ruotolo de «La Stampa».
Si definisce imprenditore. E ha uffici di rappresentanza nel cuore di Roma, in via del Conservatorio (anche se continua a recarsi spesso in Puglia, dove risiede la sua famiglia). Ma quale sia la sua impresa non è chiaro. A noi lo spiega così: «Sono una persona nata professionalmente nell'ambito del settore commerciale, della promozione, del marketing, delle relazioni istituzionali. E il settore commerciale è fatto di relazioni, di ricerca di possibilità di lavoro». Insomma, fa affari. Per lo più legati a permessi e concessioni pubbliche nei campi più svariati. Ultimamente si è concentrato sulle cosiddette energie alternative: biomasse, eolico, fotovoltaico. Ma si occupa anche di petrolio e gas...
... Il suo rapporto con D'Alema, ci spiega, nasce nella seconda metà degli anni Settanta, quando da Roma il Pci invia D'Alema a Bari a fare il segretario regionale. «Io ero iscritto all'università a Bari e militavo nel partito barese. Da lì si cementa un'amicizia». Nella citata intervista a «La Stampa», De Santis è andato oltre, definendo D'Alema «qualcosa di più di un semplice amico: Massimo, per me, è un fratello maggiore».
Quest'intimità con l'ex ministro degli Esteri diessino non ha in alcun modo impedito la costruzione di un rapporto con Marcello Dell'Utri, l'uomo che più di ogni altro in Italia rappresenta le viscere del berlusconismo...
E sullo sfondo altre due figure-chiave
Il faccendiere delle 'ndrine Aldo Micciché
... Micciché è un vecchio democristiano reggino riuscito in qualche modo a farsi notare sulla scena politica romana degli anni Settanta e Ottanta dopo il trasferimento nella capitale. Di quel suo periodo ama ricordare l'impegno editoriale: «Io sono un giornalista. E tanti se lo ricordano, visto che dirigevo la Montecitorio, l'agenzia di cui ero proprietario» ha dichiarato al «Corriere della Sera» il 12 aprile 2008.
A Roma chi si ricorda ancora di lui rammenta piuttosto il suo ruolo di gestore-cerimoniere di 31 al Vicario, un ristorante vicino a Montecitorio frequentato dai politici. «Viveva ai margini della Dc romana. Ma il ristorante era un punto di ritrovo di parlamentari e quindi conosceva molta gente di quel mondo» dice un ex politico reggino che chiede l'anonimato.
Di fatto Micciché non riesce a sfondare né come giornalista, né come ristoratore, né tantomeno come politico, anche perché una serie di procedimenti giudiziari per bancarotta e millantato credito lo spinge alla latitanza in Venezuela. Ma a noi interessano i suoi legami con la criminalità organizzata, e in particolare il suo rapporto con una delle maggiori cosche mafiose della sua zona natale, la 'ndrina dei Piromalli-Molé...
De Caro, l'ex comunista in cerca di una collocazione
... Prima di entrare nel vivo della vicenda del petrolio venezuelano dobbiamo aggiungere un ultimo tassello al nostro mosaico: Marino Massimo De Caro, nato a Orvieto, ma di origini pugliesi. Uomo polivalente – bibliofilo, politico, manager e console onorario (seppur di un «non paese» quale la Repubblica democratica del Congo) – De Caro è a strettissimo contatto con tutti e tre gli altri protagonisti di questa vicenda...
... De Caro ha poi un rapporto professionale con De Santis attraverso la Avelar, una società ginevrina controllata dall'oligarca russo Viktor Vekselberg, magnate dell'alluminio e del petrolio e uno degli uomini più ricchi della Russia putiniana. Avelar si occupa di fonti energetiche, dai combustibili tradizionali (petrolio, gas) alle energie alternative (solare, eolico). De Caro ne è vicepresidente-consulente, mentre De Santis siede nel suo consiglio di amministrazione....
IN LIBRERIA
Il grande male italiano
La politica degli affari e gli affari della politica, un intreccio di interessi che raramente emerge, ma che condiziona in modo decisivo la vita del nostro Paese: ecco il sottobosco, il cuore politico-economico dove il business è tale indipendentemente dal partito di appartenenza, e l'interesse
di pochi, i soliti, piega l'interesse generale.
Esemplare l'affare del petrolio venezuelano che nel volume viene ricostruito con tutte le connessioni nei diversi schieramenti politici.
Claudio Gatti, giornalista del Sole 24 Ore, e Ferruccio Sansa, giornalista del Fatto Quotidiano, provano a spiegare come D'Alema e Berlusconi – due politici apparentemente schierati uno contro l'altro – in realtà alimentino un nucleo di potere che da vent'anni incombe sull'Italia
Le regole del merito e della sana competizione sono falsate e i grandi investimenti con risorse pubbliche decisi senza garanzie di trasparenza. Nessun rilancio – sostengono gli autori – sarà possibile finché al potere rimarranno gli uomini del sottobosco
Un libro di Claudio Gatti Ferruccio Sansa , edito da Chiarelettere, 2012
Descrizione
I due autori vanno dritti al cuore del problema: gli affari della politica, che non hanno colore e se ne infischiano delle ideologie. Tutto comincia dalle incredibili convergenze tra Berlusconi e D'Alema, dalla famosa Bicamerale fino ad arrivare ai loro scudieri, De Santis e Dell'Utri. Le intercettazioni e gli atti di diverse indagini consentono di ricostruire i legami e gli incroci tra schieramenti opposti. Anche la prostituzione non ha colore: Tarantini procura donne al Cavaliere dopo averlo fatto per gli uomini del "cerchio magico" di D'AIema. Ma le combinazioni sono tante. Da Pranzato a Monchini e Lazzarini fino allo scandalo Enav, passando sempre per Italbrokers, il più grande broker assicurativo italiano. Naturalmente non poteva mancare lui, l'onnipresente Bisignani, amico di tutti e infaticabile manovratore. Gli autori non fanno sconti a nessuno. Ecco il sottobosco italiano, dalle seconde e terze linee, quelle che contano davvero e decidono dove la politica deve andare.
fonte qui
DAL SOLE 24 ORE
Pubblichiamo di seguito un estratto del libro Il Sottobosco da oggi disponibile nelle librerie
L'affare del petrolio venezuelano
... Figlio di un falegname di Martano, in provincia di Lecce, De Santis entra giovanissimo in politica. «Avevo tredici anni quando morì mio padre. Famiglia di artigiani, entrai nella Lega delle cooperative. Nel mio comune, Martano, sono stato anche assessore. Pci, 1989. Tessera nel portafoglio. Ma finiti il Pci, il Pds, i Ds, ho chiuso con la militanza» ha spiegato in una lunga intervista concessa il 30 settembre 2011 a Guido Ruotolo de «La Stampa».
Si definisce imprenditore. E ha uffici di rappresentanza nel cuore di Roma, in via del Conservatorio (anche se continua a recarsi spesso in Puglia, dove risiede la sua famiglia). Ma quale sia la sua impresa non è chiaro. A noi lo spiega così: «Sono una persona nata professionalmente nell'ambito del settore commerciale, della promozione, del marketing, delle relazioni istituzionali. E il settore commerciale è fatto di relazioni, di ricerca di possibilità di lavoro». Insomma, fa affari. Per lo più legati a permessi e concessioni pubbliche nei campi più svariati. Ultimamente si è concentrato sulle cosiddette energie alternative: biomasse, eolico, fotovoltaico. Ma si occupa anche di petrolio e gas...
... Il suo rapporto con D'Alema, ci spiega, nasce nella seconda metà degli anni Settanta, quando da Roma il Pci invia D'Alema a Bari a fare il segretario regionale. «Io ero iscritto all'università a Bari e militavo nel partito barese. Da lì si cementa un'amicizia». Nella citata intervista a «La Stampa», De Santis è andato oltre, definendo D'Alema «qualcosa di più di un semplice amico: Massimo, per me, è un fratello maggiore».
Quest'intimità con l'ex ministro degli Esteri diessino non ha in alcun modo impedito la costruzione di un rapporto con Marcello Dell'Utri, l'uomo che più di ogni altro in Italia rappresenta le viscere del berlusconismo...
E sullo sfondo altre due figure-chiave
Il faccendiere delle 'ndrine Aldo Micciché
... Micciché è un vecchio democristiano reggino riuscito in qualche modo a farsi notare sulla scena politica romana degli anni Settanta e Ottanta dopo il trasferimento nella capitale. Di quel suo periodo ama ricordare l'impegno editoriale: «Io sono un giornalista. E tanti se lo ricordano, visto che dirigevo la Montecitorio, l'agenzia di cui ero proprietario» ha dichiarato al «Corriere della Sera» il 12 aprile 2008.
A Roma chi si ricorda ancora di lui rammenta piuttosto il suo ruolo di gestore-cerimoniere di 31 al Vicario, un ristorante vicino a Montecitorio frequentato dai politici. «Viveva ai margini della Dc romana. Ma il ristorante era un punto di ritrovo di parlamentari e quindi conosceva molta gente di quel mondo» dice un ex politico reggino che chiede l'anonimato.
Di fatto Micciché non riesce a sfondare né come giornalista, né come ristoratore, né tantomeno come politico, anche perché una serie di procedimenti giudiziari per bancarotta e millantato credito lo spinge alla latitanza in Venezuela. Ma a noi interessano i suoi legami con la criminalità organizzata, e in particolare il suo rapporto con una delle maggiori cosche mafiose della sua zona natale, la 'ndrina dei Piromalli-Molé...
De Caro, l'ex comunista in cerca di una collocazione
... Prima di entrare nel vivo della vicenda del petrolio venezuelano dobbiamo aggiungere un ultimo tassello al nostro mosaico: Marino Massimo De Caro, nato a Orvieto, ma di origini pugliesi. Uomo polivalente – bibliofilo, politico, manager e console onorario (seppur di un «non paese» quale la Repubblica democratica del Congo) – De Caro è a strettissimo contatto con tutti e tre gli altri protagonisti di questa vicenda...
... De Caro ha poi un rapporto professionale con De Santis attraverso la Avelar, una società ginevrina controllata dall'oligarca russo Viktor Vekselberg, magnate dell'alluminio e del petrolio e uno degli uomini più ricchi della Russia putiniana. Avelar si occupa di fonti energetiche, dai combustibili tradizionali (petrolio, gas) alle energie alternative (solare, eolico). De Caro ne è vicepresidente-consulente, mentre De Santis siede nel suo consiglio di amministrazione....
IN LIBRERIA
Il grande male italiano
La politica degli affari e gli affari della politica, un intreccio di interessi che raramente emerge, ma che condiziona in modo decisivo la vita del nostro Paese: ecco il sottobosco, il cuore politico-economico dove il business è tale indipendentemente dal partito di appartenenza, e l'interesse
di pochi, i soliti, piega l'interesse generale.
Esemplare l'affare del petrolio venezuelano che nel volume viene ricostruito con tutte le connessioni nei diversi schieramenti politici.
Claudio Gatti, giornalista del Sole 24 Ore, e Ferruccio Sansa, giornalista del Fatto Quotidiano, provano a spiegare come D'Alema e Berlusconi – due politici apparentemente schierati uno contro l'altro – in realtà alimentino un nucleo di potere che da vent'anni incombe sull'Italia
Le regole del merito e della sana competizione sono falsate e i grandi investimenti con risorse pubbliche decisi senza garanzie di trasparenza. Nessun rilancio – sostengono gli autori – sarà possibile finché al potere rimarranno gli uomini del sottobosco
NAZIONE INFETTA...
Sistema infetto, questi politici ladri ci hanno rubato tutto
Sul Fatto Quotidiano del 31 luglio scorso, lo scrittore commentava l'escalation degli scandali all'ombra dei palazzi del potere: "Viviamo in un enorme buco nero, siamo sommersi da leggi incostituzionali".
Lo scrittore Antonio Tabucchi
La classe politica italiana nella stagione del terrorismo tramava con servizi segreti interni ed esteri. Una volta finite le stragi, quella di oggi è passata al furto. Agli Italiani ha rubato tutto. Ha rubato il paesaggio. Ha rubato la libera scelta e la libera concorrenza. Ha rubato il futuro dei nostri giovani. Ha rubato loro il democratico diritto di dissentire, di protestare e di manifestare e quando ha potuto li ha massacrati e perfino assassinati. Ha rubato la Carta costituzionale. Ha rubato la libera informazione, la televisione pubblica, la scuola, l’università.
Ha rubato la Resistenza, da cui la nostra repubblica è nata, e l’antifascismo su cui si fonda. Ha rubato il principio di ripudio della guerra, che è costitutivo della repubblica. Ha rubato la convivenza civile, il rispetto dovuto ai cittadini, i fondamenti del patto sociale di ogni vera democrazia. Ha rubato le più belle parole della nostra lingua, come “libertà”, facendone un uso perverso. Ha rubato la fiducia nella democrazia (era fragile e incerta, ed è stato facile) e nelle istituzioni. Ci ha rubato perfino il diritto di morire in pace. Ha trasformato il parlamento in un rifugio di corrotti, di mafiosi, di indagati, di condannati. Ha stretto patti scellerati con la mafia. Ha sigillato tutti i suoi malaffari sotto il segreto di Stato: la storia del nostro passato recente è un enorme buco nero. Infine ha rotto gli equilibri istituzionali: il potere legislativo, che in Italia coincide con quello esecutivo, come un fiume in piena ha sommerso il paese con una pletora di leggi incostituzionali.
La magistratura è stata aggredita, avvilita, ingiuriata e indicata alla pubblica opinione quale corpo malato della società. I delinquenti hanno chiamato delinquente l’istituzione di controllo delle loro delinquenze. Questa aggressione del potere politico al potere giudiziario è stata spacciata dalla stessa classe politica come uno “scontro” fra politica e magistratura e come tale propagandato nel paese. Ma avete mai sentito una voce della magistratura che abbia detto che la classe politica è un cancro da estirpare? O che i politici sono antropologicamente diversi? O che le Brigate rosse sono nascoste in Parlamento? No: è quello che contro la magistratura urla da anni l’ex-piduista Silvio Berlusconi. Per questo la magistratura subisce reprimende ogni volta che viene raggirata e vilipesa: perché in Italia al danno deve seguire anche la beffa. Da vent’anni la classe politica impazza su tutti i canali televisivi, quelli privati del presidente del Consiglio e quelli pubblici sui quali ha messo le mani e i piedi.
Da mattina a sera, dai teleschermi, i politici intossicano l’anima degli italiani con le loro chiacchiere, menzogne, barzellette, false promesse, falsi contratti, messe nere. Per questo i magistrati sono rimproverati di eccessiva esposizione mediatica: è perfino successo che abbiano mostrato i calzini a una telecamera nascosta di Berlusconi che li spiava. Ma ultimamente la magistratura si è messa a indagare nella Città e i Cani. A largo raggio. E a chiedere conti. La prostituta marocchina minorenne fermata per furto e che la questura ha rilasciato dietro telefonata di Berlusconi non era proprio la nipote di Mubarak? Spiace che il Parlamento si dica convinto che Berlusconi ne fosse convinto.
La Fininvest ha sottratto la Mondadori al legittimo acquirente grazie a un giudice corrotto dall’onorevole Previti che Oscar Luigi Scalfaro licenziò da ministro della Giustizia prima che lo diventasse? Deve risarcire il derubato. Non si tratta di ideologia, si tratta di furto: spiace che la classe politica non concordi. C’è un grosso giro di prostituzione in una villa del presidente del Consiglio? In Italia lo sfruttamento della prostituzione è ancora un reato e il codice penale non è un’ideologia: spiace che gli onorevoli di Berlusconi non siano d’accordo.
Il perverso sistema della Loggia P2 si è moltiplicato per partenogenesi producendo P3 e P4, cioè affari loschi, pressioni indebite, rapporti oscuri fra finanza e politica? Spiace che alla classe politica piacciano gli affari sporchi. Le falle, come quando una rete si smaglia, si allargano. Da un’inchiesta all’altra affiora da sottopelle un sistema infetto che ricopre l’Italia come una lebbra. Si capisce perché il conflitto d’interessi che ha tenuto in piedi Berlusconi per vent’anni non è mai saltato: perché faceva comodo a destra e a manca. Si capisce perché Enrico Berlinguer è stato rinnegato e Craxi rivalutato dalla politica tutta.
E l’opposizione, implicata anch’essa in faccende illecite, reagisce in maniera scomposta, non proprio come gli altri ma quasi. Sotto inchiesta non ci sono piccoli bottegai ma personaggi di potere, assi di raccordo fra politica e affari. La classe politica si allarma. I “lodi” (Schifani, Alfano, ecc.) non funzionano più, la Camera ha perfino consentito l’arresto cautelare di un onorevole! Che fare? E se si rinfrescasse il ministero della Giustizia?
“Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”. E’ la formula del giuramento che ogni ministro deve fare di fronte al capo dello Stato per essere accettato come ministro. I ministri li propone il presidente del Consiglio, ma il capo dello Stato li accetta o li respinge. Dipende. E’ importante che Giorgio Napolitano abbia espresso la sua autorevole contrarietà ai tre ministri “baschi” che vogliono portare nelle loro “riserve” alcuni ministeri della Repubblica, sconnettendo ancora di più questa povera Italia sconnessa. Certo che li vogliono lassù, e non con il tricolore: con la croce celtica. Ma questi tre stessi ministri non avevano giurato la loro lealtà alla Repubblica italiana davanti al capo dello Stato?
Il giuramento è un atto simbolico nel quale il celebrante ha la stessa responsabilità morale di colui che giura. Nella cerimonia del battesimo, se il sacerdote dubitasse della cattiva fede del padrino, non accetterebbe la sua garanzia. Evidentemente Napolitano non dubitava delle garanzie che offrivano questi padrini della Repubblica: contrastarli ora, a cose fatte, è più complicato. Peccato che si sia fidato di tali personaggi. In questi giorni l’onorevole Nitto Palma ha giurato la sua fedeltà alle leggi della Repubblica di fronte al capo dello Stato quale nuovo ministro della Giustizia. Non mi compete scendere nel merito. Ma mi preme ricordare il principio della fisica secondo il quale il cosiddetto “punto di crisi”, a causa dell’aumento della temperatura e della pressione, segna il cambiamento di stato di un corpo che da solido diventa liquido o da liquido gassoso e viceversa. E per la percezione che ho delle cose, ritengo che la situazione italiana abbia raggiunto un punto di crisi irreversibile. Impossibile fare previsioni: ma c’è sempre un peggio del peggio. E poi non si dica che era inevitabile.
di Antonio Tabucchi
da Il Fatto Quotidiano del 31 luglio 2011
Sul Fatto Quotidiano del 31 luglio scorso, lo scrittore commentava l'escalation degli scandali all'ombra dei palazzi del potere: "Viviamo in un enorme buco nero, siamo sommersi da leggi incostituzionali".
Lo scrittore Antonio Tabucchi
La classe politica italiana nella stagione del terrorismo tramava con servizi segreti interni ed esteri. Una volta finite le stragi, quella di oggi è passata al furto. Agli Italiani ha rubato tutto. Ha rubato il paesaggio. Ha rubato la libera scelta e la libera concorrenza. Ha rubato il futuro dei nostri giovani. Ha rubato loro il democratico diritto di dissentire, di protestare e di manifestare e quando ha potuto li ha massacrati e perfino assassinati. Ha rubato la Carta costituzionale. Ha rubato la libera informazione, la televisione pubblica, la scuola, l’università.
Ha rubato la Resistenza, da cui la nostra repubblica è nata, e l’antifascismo su cui si fonda. Ha rubato il principio di ripudio della guerra, che è costitutivo della repubblica. Ha rubato la convivenza civile, il rispetto dovuto ai cittadini, i fondamenti del patto sociale di ogni vera democrazia. Ha rubato le più belle parole della nostra lingua, come “libertà”, facendone un uso perverso. Ha rubato la fiducia nella democrazia (era fragile e incerta, ed è stato facile) e nelle istituzioni. Ci ha rubato perfino il diritto di morire in pace. Ha trasformato il parlamento in un rifugio di corrotti, di mafiosi, di indagati, di condannati. Ha stretto patti scellerati con la mafia. Ha sigillato tutti i suoi malaffari sotto il segreto di Stato: la storia del nostro passato recente è un enorme buco nero. Infine ha rotto gli equilibri istituzionali: il potere legislativo, che in Italia coincide con quello esecutivo, come un fiume in piena ha sommerso il paese con una pletora di leggi incostituzionali.
La magistratura è stata aggredita, avvilita, ingiuriata e indicata alla pubblica opinione quale corpo malato della società. I delinquenti hanno chiamato delinquente l’istituzione di controllo delle loro delinquenze. Questa aggressione del potere politico al potere giudiziario è stata spacciata dalla stessa classe politica come uno “scontro” fra politica e magistratura e come tale propagandato nel paese. Ma avete mai sentito una voce della magistratura che abbia detto che la classe politica è un cancro da estirpare? O che i politici sono antropologicamente diversi? O che le Brigate rosse sono nascoste in Parlamento? No: è quello che contro la magistratura urla da anni l’ex-piduista Silvio Berlusconi. Per questo la magistratura subisce reprimende ogni volta che viene raggirata e vilipesa: perché in Italia al danno deve seguire anche la beffa. Da vent’anni la classe politica impazza su tutti i canali televisivi, quelli privati del presidente del Consiglio e quelli pubblici sui quali ha messo le mani e i piedi.
Da mattina a sera, dai teleschermi, i politici intossicano l’anima degli italiani con le loro chiacchiere, menzogne, barzellette, false promesse, falsi contratti, messe nere. Per questo i magistrati sono rimproverati di eccessiva esposizione mediatica: è perfino successo che abbiano mostrato i calzini a una telecamera nascosta di Berlusconi che li spiava. Ma ultimamente la magistratura si è messa a indagare nella Città e i Cani. A largo raggio. E a chiedere conti. La prostituta marocchina minorenne fermata per furto e che la questura ha rilasciato dietro telefonata di Berlusconi non era proprio la nipote di Mubarak? Spiace che il Parlamento si dica convinto che Berlusconi ne fosse convinto.
La Fininvest ha sottratto la Mondadori al legittimo acquirente grazie a un giudice corrotto dall’onorevole Previti che Oscar Luigi Scalfaro licenziò da ministro della Giustizia prima che lo diventasse? Deve risarcire il derubato. Non si tratta di ideologia, si tratta di furto: spiace che la classe politica non concordi. C’è un grosso giro di prostituzione in una villa del presidente del Consiglio? In Italia lo sfruttamento della prostituzione è ancora un reato e il codice penale non è un’ideologia: spiace che gli onorevoli di Berlusconi non siano d’accordo.
Il perverso sistema della Loggia P2 si è moltiplicato per partenogenesi producendo P3 e P4, cioè affari loschi, pressioni indebite, rapporti oscuri fra finanza e politica? Spiace che alla classe politica piacciano gli affari sporchi. Le falle, come quando una rete si smaglia, si allargano. Da un’inchiesta all’altra affiora da sottopelle un sistema infetto che ricopre l’Italia come una lebbra. Si capisce perché il conflitto d’interessi che ha tenuto in piedi Berlusconi per vent’anni non è mai saltato: perché faceva comodo a destra e a manca. Si capisce perché Enrico Berlinguer è stato rinnegato e Craxi rivalutato dalla politica tutta.
E l’opposizione, implicata anch’essa in faccende illecite, reagisce in maniera scomposta, non proprio come gli altri ma quasi. Sotto inchiesta non ci sono piccoli bottegai ma personaggi di potere, assi di raccordo fra politica e affari. La classe politica si allarma. I “lodi” (Schifani, Alfano, ecc.) non funzionano più, la Camera ha perfino consentito l’arresto cautelare di un onorevole! Che fare? E se si rinfrescasse il ministero della Giustizia?
“Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”. E’ la formula del giuramento che ogni ministro deve fare di fronte al capo dello Stato per essere accettato come ministro. I ministri li propone il presidente del Consiglio, ma il capo dello Stato li accetta o li respinge. Dipende. E’ importante che Giorgio Napolitano abbia espresso la sua autorevole contrarietà ai tre ministri “baschi” che vogliono portare nelle loro “riserve” alcuni ministeri della Repubblica, sconnettendo ancora di più questa povera Italia sconnessa. Certo che li vogliono lassù, e non con il tricolore: con la croce celtica. Ma questi tre stessi ministri non avevano giurato la loro lealtà alla Repubblica italiana davanti al capo dello Stato?
Il giuramento è un atto simbolico nel quale il celebrante ha la stessa responsabilità morale di colui che giura. Nella cerimonia del battesimo, se il sacerdote dubitasse della cattiva fede del padrino, non accetterebbe la sua garanzia. Evidentemente Napolitano non dubitava delle garanzie che offrivano questi padrini della Repubblica: contrastarli ora, a cose fatte, è più complicato. Peccato che si sia fidato di tali personaggi. In questi giorni l’onorevole Nitto Palma ha giurato la sua fedeltà alle leggi della Repubblica di fronte al capo dello Stato quale nuovo ministro della Giustizia. Non mi compete scendere nel merito. Ma mi preme ricordare il principio della fisica secondo il quale il cosiddetto “punto di crisi”, a causa dell’aumento della temperatura e della pressione, segna il cambiamento di stato di un corpo che da solido diventa liquido o da liquido gassoso e viceversa. E per la percezione che ho delle cose, ritengo che la situazione italiana abbia raggiunto un punto di crisi irreversibile. Impossibile fare previsioni: ma c’è sempre un peggio del peggio. E poi non si dica che era inevitabile.
di Antonio Tabucchi
da Il Fatto Quotidiano del 31 luglio 2011
lunedì 26 marzo 2012
IL CONTO ALLA ROVESCIA...
Dopo la seconda settimana, parte il conto alla rovescia per la sopravvivenza...meno 17 18 19 20
fino ad arrivare a fine mese. Occhio vigile nei supermercati alle offerte, merce in decomposizione quindi se non venduta il prezzo scende notevolmente e vaiiiiiiiiiiiiiiiii. Quotidiani si spera di trovarli fuori la porta, ogni tanto accade. Poi al giorno fatidico in cui hai accesso all'accredito della pensione e puoi prelevare... c'è l'abbuffata con susseguente nausea, non essendo abituadi piu' a mangiare come "cristo comanda". E la casa? meno male che c'è il blocco agli sfratti, altra preoccupazione che toglie il sonno. La casa un diritto negato a troppi, con la scusa che gli italiani sono proprietari di case all'80% circa, non si fa edilizia popolare, l'altro 20% puo' vivere sotto le stelle.
Domani è un altro giorno.
MORTI SUL LAVORO
FONTE QUI
Muore sul lavoro. Dopo 10 anni reato prescritto. La lettera del figlio
di Marco Bazzoni
ROMA - E' una telefonata disperata quella di Rosario D'amico:suo padre Antonio D'Amico morì il 6 Marzo del 2002 allo Stabilimento Fiat di Pomigliano D'arco, schiacciato da un muletto guidato da un precario. Giovedì 22 marzo 2012 è stata emessa la sentenza che ha prescritto il reato . Così la morte di Antonio D'amico resta impunita: insomma l'ennesimo scandalo.
Oggi Rosario è stato pure emarginato dalla Fiat, la stessa azienda dove lavorava il padre. E' stato messo in un capannone "confino", se così possiamo definirlo, che si chiama Fiat Logistic. In questo capannone ci stanno circa 300, tutti lavoratori iscritti fiom, slai cobas, e tutte queste persone sono rigorosamente in cassaintegrazione. Rosario è in cassa integrazione da ben 4 anni.
In questi giorni in cui parla fortemente di riduzione dei diritti (smantellamento dell'articolo 18), i mezzi d'informazione stanno perdendo di vista una notizia importante, cioè che un lavoratore possa morire sul lavoro e che nessuno paghi per la sua morte. Dove è finita la giustizia? è la domanda che sorger spontanea. Rosario afferma che questo genere di reato doveva dichiararsi prescritto dopo 15 anni, invece è stato dichiarato prescritto dopo 10.
Un' ingiustizia che uccide Antonio una seconda volta.
Questa che segue è la lettera disperata di Rosario, che non vuole arrendersi a questo stato di cose
LA LETTERA
Buongiorno,mi chiamo Rosario D'Amico e Le scrivo da San Giorgio a Cremano (Na).
Le scrivo con la speranza di trovare la voce giusta per far ascoltare le mie grida di dolore. La storia che Le racconto vede come protagonista un uomo semplice, che ha lasciato nel mio cuore e nei cuori di tutta la famiglia, tanti insegnamenti ricchi di bellissimi valori e di tanta onestà.
Questo eroe senza medaglia è mio padre D'amico Antonio una vittima sul lavoro.Nel marzo del 2002 alle ore 6.30 nello Stabilimento Fiat di Pomigliano D'arco, quella maledetta mattina è stato travolto dal muletto violentemente, come descrive la dottoressa Castaldo nell'esame autoptico.
Un carrello guidato da un operaio con contratto a scadenza, quindi privo di ogni diritto lavorativo.Dopo l'incidente ci siamo affidati alla giustizia, volevamo giustizia. Purtroppo la giustizia non esiste, nell'aula 5 della Corte di Appello di
Napoli il giudice prescrive il reato, dopo aver rinviato anche lui tre volte le udienze: dopo il danno, la beffa.
Ci siamo sentiti trattati male, la polizia ci ha circondato e noi senza dire una parola ,ma increduli cercavamo di capire. Il reato è prescritto?! Ma come, nessuno ha mai parlato di prescrizione nè il pm, nè gli avvocati della controparte. Avrei tante cose da dire ,ma in questa semplice email vi chiedo aiuto. Mio padre non può finire cosi! Vi chiedo di far sapere all'opinione pubblica la mia storia fatta di vera ingiustizia.
Aiutatemi.....vi prego.
Cordiali saluti.
Rosario D'Amico
Muore sul lavoro. Dopo 10 anni reato prescritto. La lettera del figlio
di Marco Bazzoni
ROMA - E' una telefonata disperata quella di Rosario D'amico:suo padre Antonio D'Amico morì il 6 Marzo del 2002 allo Stabilimento Fiat di Pomigliano D'arco, schiacciato da un muletto guidato da un precario. Giovedì 22 marzo 2012 è stata emessa la sentenza che ha prescritto il reato . Così la morte di Antonio D'amico resta impunita: insomma l'ennesimo scandalo.
Oggi Rosario è stato pure emarginato dalla Fiat, la stessa azienda dove lavorava il padre. E' stato messo in un capannone "confino", se così possiamo definirlo, che si chiama Fiat Logistic. In questo capannone ci stanno circa 300, tutti lavoratori iscritti fiom, slai cobas, e tutte queste persone sono rigorosamente in cassaintegrazione. Rosario è in cassa integrazione da ben 4 anni.
In questi giorni in cui parla fortemente di riduzione dei diritti (smantellamento dell'articolo 18), i mezzi d'informazione stanno perdendo di vista una notizia importante, cioè che un lavoratore possa morire sul lavoro e che nessuno paghi per la sua morte. Dove è finita la giustizia? è la domanda che sorger spontanea. Rosario afferma che questo genere di reato doveva dichiararsi prescritto dopo 15 anni, invece è stato dichiarato prescritto dopo 10.
Un' ingiustizia che uccide Antonio una seconda volta.
Questa che segue è la lettera disperata di Rosario, che non vuole arrendersi a questo stato di cose
LA LETTERA
Buongiorno,mi chiamo Rosario D'Amico e Le scrivo da San Giorgio a Cremano (Na).
Le scrivo con la speranza di trovare la voce giusta per far ascoltare le mie grida di dolore. La storia che Le racconto vede come protagonista un uomo semplice, che ha lasciato nel mio cuore e nei cuori di tutta la famiglia, tanti insegnamenti ricchi di bellissimi valori e di tanta onestà.
Questo eroe senza medaglia è mio padre D'amico Antonio una vittima sul lavoro.Nel marzo del 2002 alle ore 6.30 nello Stabilimento Fiat di Pomigliano D'arco, quella maledetta mattina è stato travolto dal muletto violentemente, come descrive la dottoressa Castaldo nell'esame autoptico.
Un carrello guidato da un operaio con contratto a scadenza, quindi privo di ogni diritto lavorativo.Dopo l'incidente ci siamo affidati alla giustizia, volevamo giustizia. Purtroppo la giustizia non esiste, nell'aula 5 della Corte di Appello di
Napoli il giudice prescrive il reato, dopo aver rinviato anche lui tre volte le udienze: dopo il danno, la beffa.
Ci siamo sentiti trattati male, la polizia ci ha circondato e noi senza dire una parola ,ma increduli cercavamo di capire. Il reato è prescritto?! Ma come, nessuno ha mai parlato di prescrizione nè il pm, nè gli avvocati della controparte. Avrei tante cose da dire ,ma in questa semplice email vi chiedo aiuto. Mio padre non può finire cosi! Vi chiedo di far sapere all'opinione pubblica la mia storia fatta di vera ingiustizia.
Aiutatemi.....vi prego.
Cordiali saluti.
Rosario D'Amico
domenica 25 marzo 2012
MIGUEL MARTINEZ...
DI MIGUEL MARTINEZ
kelebeklerblog.com
Un anno fa, ci fu la strage di Oslo.
Senza un attimo di esitazione, Guido Olimpio (e innumerevoli suoi colleghi in tutto l’Occidente) affermarono che si trattava di un attentato compiuto da al-Qaeda.
Poi è venuto fuori che si trattava di un solitario, con simpatie di estrema destra. A questo punto, i giornalisti cialtroni, invece di strisciare per terra chiedendo scusa, si sono accaniti a cercare le prove del Complotto, questa volta da parte dei movimenti islamofobi. I cui dirigenti non saranno il massimo dell’intelligenza, ma capiscono perfettamente che una strage del genere è il modo migliore per distruggere tutto ciò che hanno costruito, e quindi sicuramente non sono correi.
Con la triplice strage in Francia – due attachi distinti ai parà francesi e uno alla scuola ebraica di Tolosa – i media si sono comportati allo stesso modo, ma invertendo i fattori.
Questa volta, i giornalisti cialtroni hanno deciso che la strage doveva essere “opera dei neonazisti“.
Poi è venuto fuori che si trattava di un solitario, con simpatie per al-Qaeda. Possiamo ipotizzare che la prossima tappa del giornalismo cialtrone consisterà, non nello strisciare per terra chiedendo scusa, ma nel cercare le prove del Complotto, questa volta da parte della “rete dell’estremismo islamico”.
Immaginiamo gli alti e bassi nell’entourage di Marine Le Pen, “oddio, siamo spacciati! Dicono che l’assassino è uno xenofobo di destra!”, poi una mattina radiosa, la Signora viene svegliata con una telefonata, “Madame, è un musulmano!“. Di corsa a scrivere un discorso di fuoco chiedendo espulsioni e telecamere della laicità.
Ora, sia a Oslo che in Francia, c’era una sola cosa che si poteva capire da subito, e cioè che gli attentati erano opera di solitari e che non poteva esistere alcun Complotto.
Per il semplice motivo che in tempi di controllo totale, solo una persona che agisce in assoluta solitudine ed evita accuratamente di frequentare gruppi (o Facebook) sarebbe stato in grado di fare una cosa del genere. Per dire, Le Monde ci racconta casualmente che l’attentatore è passato davanti a ben 46 telecamere di videosorveglianza a Montauban, che non sarà più fortezza paranoica di qualunque altro posto nel nostro Occidente contemporaneo.
In questo senso, ogni pista al plurale – “i” neonazisti, “gli” estremisti islamici, “gli” anarchici – è impossibile in partenza.
Purtroppo, siamo programmati in modo tale che chi ha riconosciuto la cialtroneria dei giornalisti nel caso di Oslo, tacerà di fronte alla cialtroneria nel caso francese, e viceversa. Mentre è solo cogliendo la natura trasversale del modello cialtronesco mediatico, che si capisce che si tratta proprio di un meccanismo e non dell’imbecillità di un singolo giornalista.
Godiamoci comunque alcune perle di questi giorni.
Sul blog di Panorama, una certa Anna Mazzoni, sotto il titolo Neonazisti: i crimini dei nipotini di Hitler che sognano il quarto Reich – LA CLASSIFICA esordisce:
“La strage nella scuola ebraica di Tolosa ha drammaticamente riacceso i riflettori sull’universo neonazista [...]
Gruppi e gruppuscoli spuntano come funghi, in tutto il mondo. Il cuore dei neonazisti resta il Vecchio Continente, con movimenti più numerosi proprio tra Francia, Germania e Gran Bretagna, e picchi nei Paesi Nordici, dalla Svezia alla Finlandia, ma i nipotini di Hitler sono distribuiti in tutto il mondo. Dalla Mongolia al Cile, e poi gli Stati Uniti, l’Africa, l’Australia, la Russia. Truppe di fedelissimi al Fuhrer, che ne onorano la memoria e che sognano il suo ritorno nelle vesti di un nuovo Messia.”
Segue un caotico elenco telefonico di sigle, alcune con bizzarri errori di ortografia, e infine la conclusione:
“Spesso agiscono “in solitaria”, come Anders Breivik, che a luglio dell’anno scorso ha massacrato 70 giovani sull’isola di Utoya, di fronte a Oslo. Ma il più delle volte operano in gruppo. Si sa, i vigliacchi si sentono più forti se seguono una mandria ed è più facile nascondere il loro volto mentre compiono delitti infami.”
Quest’ultimo paragrafo è in qualche modo necessario: il Solitario, al di fuori dei romanzi noir, non è una notizia politica, e soprattutto non permette alcuna soluzione repressiva.
Repubblica è un quotidiano che lo scorso ottobre si è distinto per aver invitato i propri lettori a fare i delatori contro i manifestanti che si sono scontrati con la polizia a Roma.
E nello stesso stile, ospita un articolo di Barbara Spinelli che spiega agli ignoranti “Il male oscuro dell’Europa“.
Essendo figlia di uno dei fondatori dell’Europa economico-politica, la signora cerca subito di capire come un fatto di cronaca a quel momento ancora del tutto misterioso possa contribuire dei bambini-martiri al suo pallino preferito.
La nostra detective-filosofa spiega così i retroscena del delitto.
Dunque, l’Europa è in crisi:
“Il naufragio del sogno europeo, emblema di riconciliazione dopo secoli di guerre, e di vittoria sulle violenze di cui Europa è stata capace, partorisce mostri.”
Ora, l’Unione Europea ha 500 milioni di cittadini.
Se mettiamo insieme tutti gli attentatori solitari di questi ultimi tre o quattro anni, da Mohammed Game unico terrorista islamico nella storia italiana, ad Anders Behring Breivik, a Gianluca Casseri, al dimenticato anticlericale di Rovereto, quanti saranno? Dieci? Faranno pure notizia, ma non sono certo un fenomeno sociale. Però Barbara Spinelli riesce a trasformare questa decina di solitari in compatte masse che marciano, basta tirar fuori la Hitler card e diventano milioni:
“Non dimentichiamo che il nazismo quando prese il sopravvento aveva caratteristiche affini, e assecondava la furia amok: “Marcia senza approdo, barcollamento senza ebbrezza, fede senza Dio”, così lo scrittore socialdemocratico Konrad Heiden descriveva, nel 1936, la caduta di milioni di tedeschi nel nazismo e nell’”era dell’irresponsabilità”.”
Creativamente, la signora Spinelli riesce pure a tirare in ballo la Lega:
“In Italia abbiamo la Lega, e banalizzati sono i suoi mai sconfessati incitamenti ai linciaggi.”
Cioè, la signora Spinelli sta usando quello che si rivelerà essere un assassino che sembra la caricatura di ciò che la Lega denuncia, per accusare indirettamente la Lega dell’omicidio di quattro bambini. Io litigo con la Lega da anni, ma un colpo basso così non lo userei contro i miei peggiori nemici.
Poi arriviamo al punto che interessa davvero Barbara Spinelli: attaccare quello che deve essere un suo eterno rivale sul palcoscenico mediatico, Ernesto Galli Della Loggia, che ha detto che l’Europa attuale sta demolendo la sovranità nazionale, “unico contenitore della democrazia”. E così Barbara Spinelli lancia i morti in Francia all’attacco, contro il suo concorrente:
“È una verità molto discutibile, quantomeno. Lo Stato nazione è contenitore di ben altro, nella storia. Ha prodotto le moderne democrazie ma anche mali indicibili: nazionalismi, fobie verso le impurità etnico-religiose, guerre. Ha sprigionato odii razziali, che negli imperi europei (l’austro-ungarico, l’ottomano) non avevano spazio essendo questi ultimi fondati sulla mescolanza di etnie e lingue. La Shoah è figlia del trionfo dello Stato-nazione sugli imperi. Vale la pena ricordarlo, nell’ora in cui un fatto criminoso isolato, ma emblematico, forse ci risveglia un po’.”
Ora, ci sarebbe molto da dire a favore e contro le tesi della Spinelli e di Della Loggia. Ma ciò che è interessante è quanto i cadaveri freschi siano utili per regolare conti mediatici.
In base a tutta l’esperienza passata, credo che assisteremo adesso a due fenomeni.
La caccia alla Pista Islamica, con foto del defunto sheykh Osama e diagrammi con frecce che indicano tutte le Basi Operative di al-Qaeda in Francia (“Parigi: al-Qaeda 1.218 militanti; Bordeaux, 353 militanti…”);
e soprattutto un gran coro, che unisce fraternamente Destra e Sinistra:
“Più galera per tutti!”
Miguel Martinez GLI AGGIORNAMENTI QUI
kelebeklerblog.com
Un anno fa, ci fu la strage di Oslo.
Senza un attimo di esitazione, Guido Olimpio (e innumerevoli suoi colleghi in tutto l’Occidente) affermarono che si trattava di un attentato compiuto da al-Qaeda.
Poi è venuto fuori che si trattava di un solitario, con simpatie di estrema destra. A questo punto, i giornalisti cialtroni, invece di strisciare per terra chiedendo scusa, si sono accaniti a cercare le prove del Complotto, questa volta da parte dei movimenti islamofobi. I cui dirigenti non saranno il massimo dell’intelligenza, ma capiscono perfettamente che una strage del genere è il modo migliore per distruggere tutto ciò che hanno costruito, e quindi sicuramente non sono correi.
Con la triplice strage in Francia – due attachi distinti ai parà francesi e uno alla scuola ebraica di Tolosa – i media si sono comportati allo stesso modo, ma invertendo i fattori.
Questa volta, i giornalisti cialtroni hanno deciso che la strage doveva essere “opera dei neonazisti“.
Poi è venuto fuori che si trattava di un solitario, con simpatie per al-Qaeda. Possiamo ipotizzare che la prossima tappa del giornalismo cialtrone consisterà, non nello strisciare per terra chiedendo scusa, ma nel cercare le prove del Complotto, questa volta da parte della “rete dell’estremismo islamico”.
Immaginiamo gli alti e bassi nell’entourage di Marine Le Pen, “oddio, siamo spacciati! Dicono che l’assassino è uno xenofobo di destra!”, poi una mattina radiosa, la Signora viene svegliata con una telefonata, “Madame, è un musulmano!“. Di corsa a scrivere un discorso di fuoco chiedendo espulsioni e telecamere della laicità.
Ora, sia a Oslo che in Francia, c’era una sola cosa che si poteva capire da subito, e cioè che gli attentati erano opera di solitari e che non poteva esistere alcun Complotto.
Per il semplice motivo che in tempi di controllo totale, solo una persona che agisce in assoluta solitudine ed evita accuratamente di frequentare gruppi (o Facebook) sarebbe stato in grado di fare una cosa del genere. Per dire, Le Monde ci racconta casualmente che l’attentatore è passato davanti a ben 46 telecamere di videosorveglianza a Montauban, che non sarà più fortezza paranoica di qualunque altro posto nel nostro Occidente contemporaneo.
In questo senso, ogni pista al plurale – “i” neonazisti, “gli” estremisti islamici, “gli” anarchici – è impossibile in partenza.
Purtroppo, siamo programmati in modo tale che chi ha riconosciuto la cialtroneria dei giornalisti nel caso di Oslo, tacerà di fronte alla cialtroneria nel caso francese, e viceversa. Mentre è solo cogliendo la natura trasversale del modello cialtronesco mediatico, che si capisce che si tratta proprio di un meccanismo e non dell’imbecillità di un singolo giornalista.
Godiamoci comunque alcune perle di questi giorni.
Sul blog di Panorama, una certa Anna Mazzoni, sotto il titolo Neonazisti: i crimini dei nipotini di Hitler che sognano il quarto Reich – LA CLASSIFICA esordisce:
“La strage nella scuola ebraica di Tolosa ha drammaticamente riacceso i riflettori sull’universo neonazista [...]
Gruppi e gruppuscoli spuntano come funghi, in tutto il mondo. Il cuore dei neonazisti resta il Vecchio Continente, con movimenti più numerosi proprio tra Francia, Germania e Gran Bretagna, e picchi nei Paesi Nordici, dalla Svezia alla Finlandia, ma i nipotini di Hitler sono distribuiti in tutto il mondo. Dalla Mongolia al Cile, e poi gli Stati Uniti, l’Africa, l’Australia, la Russia. Truppe di fedelissimi al Fuhrer, che ne onorano la memoria e che sognano il suo ritorno nelle vesti di un nuovo Messia.”
Segue un caotico elenco telefonico di sigle, alcune con bizzarri errori di ortografia, e infine la conclusione:
“Spesso agiscono “in solitaria”, come Anders Breivik, che a luglio dell’anno scorso ha massacrato 70 giovani sull’isola di Utoya, di fronte a Oslo. Ma il più delle volte operano in gruppo. Si sa, i vigliacchi si sentono più forti se seguono una mandria ed è più facile nascondere il loro volto mentre compiono delitti infami.”
Quest’ultimo paragrafo è in qualche modo necessario: il Solitario, al di fuori dei romanzi noir, non è una notizia politica, e soprattutto non permette alcuna soluzione repressiva.
Repubblica è un quotidiano che lo scorso ottobre si è distinto per aver invitato i propri lettori a fare i delatori contro i manifestanti che si sono scontrati con la polizia a Roma.
E nello stesso stile, ospita un articolo di Barbara Spinelli che spiega agli ignoranti “Il male oscuro dell’Europa“.
Essendo figlia di uno dei fondatori dell’Europa economico-politica, la signora cerca subito di capire come un fatto di cronaca a quel momento ancora del tutto misterioso possa contribuire dei bambini-martiri al suo pallino preferito.
La nostra detective-filosofa spiega così i retroscena del delitto.
Dunque, l’Europa è in crisi:
“Il naufragio del sogno europeo, emblema di riconciliazione dopo secoli di guerre, e di vittoria sulle violenze di cui Europa è stata capace, partorisce mostri.”
Ora, l’Unione Europea ha 500 milioni di cittadini.
Se mettiamo insieme tutti gli attentatori solitari di questi ultimi tre o quattro anni, da Mohammed Game unico terrorista islamico nella storia italiana, ad Anders Behring Breivik, a Gianluca Casseri, al dimenticato anticlericale di Rovereto, quanti saranno? Dieci? Faranno pure notizia, ma non sono certo un fenomeno sociale. Però Barbara Spinelli riesce a trasformare questa decina di solitari in compatte masse che marciano, basta tirar fuori la Hitler card e diventano milioni:
“Non dimentichiamo che il nazismo quando prese il sopravvento aveva caratteristiche affini, e assecondava la furia amok: “Marcia senza approdo, barcollamento senza ebbrezza, fede senza Dio”, così lo scrittore socialdemocratico Konrad Heiden descriveva, nel 1936, la caduta di milioni di tedeschi nel nazismo e nell’”era dell’irresponsabilità”.”
Creativamente, la signora Spinelli riesce pure a tirare in ballo la Lega:
“In Italia abbiamo la Lega, e banalizzati sono i suoi mai sconfessati incitamenti ai linciaggi.”
Cioè, la signora Spinelli sta usando quello che si rivelerà essere un assassino che sembra la caricatura di ciò che la Lega denuncia, per accusare indirettamente la Lega dell’omicidio di quattro bambini. Io litigo con la Lega da anni, ma un colpo basso così non lo userei contro i miei peggiori nemici.
Poi arriviamo al punto che interessa davvero Barbara Spinelli: attaccare quello che deve essere un suo eterno rivale sul palcoscenico mediatico, Ernesto Galli Della Loggia, che ha detto che l’Europa attuale sta demolendo la sovranità nazionale, “unico contenitore della democrazia”. E così Barbara Spinelli lancia i morti in Francia all’attacco, contro il suo concorrente:
“È una verità molto discutibile, quantomeno. Lo Stato nazione è contenitore di ben altro, nella storia. Ha prodotto le moderne democrazie ma anche mali indicibili: nazionalismi, fobie verso le impurità etnico-religiose, guerre. Ha sprigionato odii razziali, che negli imperi europei (l’austro-ungarico, l’ottomano) non avevano spazio essendo questi ultimi fondati sulla mescolanza di etnie e lingue. La Shoah è figlia del trionfo dello Stato-nazione sugli imperi. Vale la pena ricordarlo, nell’ora in cui un fatto criminoso isolato, ma emblematico, forse ci risveglia un po’.”
Ora, ci sarebbe molto da dire a favore e contro le tesi della Spinelli e di Della Loggia. Ma ciò che è interessante è quanto i cadaveri freschi siano utili per regolare conti mediatici.
In base a tutta l’esperienza passata, credo che assisteremo adesso a due fenomeni.
La caccia alla Pista Islamica, con foto del defunto sheykh Osama e diagrammi con frecce che indicano tutte le Basi Operative di al-Qaeda in Francia (“Parigi: al-Qaeda 1.218 militanti; Bordeaux, 353 militanti…”);
e soprattutto un gran coro, che unisce fraternamente Destra e Sinistra:
“Più galera per tutti!”
Miguel Martinez GLI AGGIORNAMENTI QUI
L'OTTIMISMO DI UN PRIVILEGIATO...
REALTÀ, PREGIUDIZI E NOSTALGIE
Una trincea ideologica
La riforma del mercato del lavoro è molto più ampia della revisione dell'articolo 18. Estende gli ammortizzatori sociali a categorie che ne sono attualmente escluse, riduce la precarietà. Aspira a stabilizzare e a rendere più facili le assunzioni definitive. È emendabile, ma va nella direzione giusta. Un licenziamento dovuto a ragioni disciplinari, per il quale il giudice può ordinare il reintegro, è aggirabile con una motivazione economica e il solo risarcimento da 15 a 27 mensilità? Certo, lo è. L’abuso va contrastato con norme chiare e rigorose.
Le reazioni sindacali sono tutte comprensibili. Meno i ripensamenti di Bonanni e Centrella che al tavolo con il governo dicono una cosa e poi se la rimangiano, magari dopo aver ascoltato un esponente dell’episcopato. Il travaglio interno del Pd è da rispettare. La dialettica fra laburisti e liberali vivace e salutare. Colpiscono, però, sia la durezza di D’Alema, che parla del governo come un «vigilante di norme confuse», sia di Bersani che teme l’esautorazione delle Camere. Il Parlamento, ai tempi della concertazione, ratificava soltanto gli accordi tra le parti sociali. Il segretario del Pd se ne è uscito anche con la seguente frase: «Non morirò monetizzando il lavoro». Nobile e curioso. Solo l’1 per cento delle pratiche di licenziamento gestite dalla sola Cgil tra il 2007 e il 2011 è sfociato in riassunzioni o reintegri. E poi: gli accordi sui prepensionamenti e sugli esodi incentivati che cosa sono se non una monetizzazione di posti di lavoro che spariscono?
I toni apocalittici di molti commenti sono poi inquietanti. Descrivono un Paese irreale. Tradiscono una visione novecentesca, ideologica e da lotta di classe, che non corrisponde più alla realtà della stragrande maggioranza dei luoghi di lavoro. Dipingono gli imprenditori (che hanno le loro colpe) come un branco di lupi assetati che non aspetta altro se non licenziare migliaia di dipendenti. Come se adesso le aziende in crisi, e non sono poche purtroppo, non riducessero l’occupazione e non vi fosse il dramma di tanti lavoratori abbandonati in cassa integrazione o senza sussidi e possibilità di un reimpiego. E come se l’Italia non fosse ricca di tantissime realtà, grandi e piccole, in cui il lavoro è difeso e rispettato. E, ancora, tanti imprenditori e dipendenti non condividessero le stesse ansie e lo stesso amore per ciò che producono e per i valori comuni di cui sono portatori. Sono commenti che paventano il sibilo di una tagliola che cadrebbe, in un sol colpo, su decenni di conquiste dei lavoratori.
Scrive Guido Viale su il manifesto: «I capi girano nei reparti e minacciano i delegati non allineati e gli operai che resistono all’intensificazione del lavoro annunciando: appena passa l’abolizione dell’articolo 18 siete fuori!». Davvero è questo il clima che si respira nelle fabbriche, al di là di qualche isolato episodio? O è una ripetizione logora di schemi mentali del passato, il tentativo di creare un solco ideologico, una trincea fra capitale e lavoro, la costruzione artificiosa di un nemico di classe?
Lo Statuto dei lavoratori fu, nel 1970, un’importante conquista sociale. Sono passati 42 anni, la società è cresciuta, i diritti sono meglio protetti. Ma in parti del sindacato e della sinistra la nostalgia per quegli anni di lotte operaie e studentesche è forte. La storia andrebbe riletta, anche per risparmiarci le code spiacevoli e le derive violente di cui dovremmo coltivare la memoria.
Ferruccio de Bortoli
Una trincea ideologica
La riforma del mercato del lavoro è molto più ampia della revisione dell'articolo 18. Estende gli ammortizzatori sociali a categorie che ne sono attualmente escluse, riduce la precarietà. Aspira a stabilizzare e a rendere più facili le assunzioni definitive. È emendabile, ma va nella direzione giusta. Un licenziamento dovuto a ragioni disciplinari, per il quale il giudice può ordinare il reintegro, è aggirabile con una motivazione economica e il solo risarcimento da 15 a 27 mensilità? Certo, lo è. L’abuso va contrastato con norme chiare e rigorose.
Le reazioni sindacali sono tutte comprensibili. Meno i ripensamenti di Bonanni e Centrella che al tavolo con il governo dicono una cosa e poi se la rimangiano, magari dopo aver ascoltato un esponente dell’episcopato. Il travaglio interno del Pd è da rispettare. La dialettica fra laburisti e liberali vivace e salutare. Colpiscono, però, sia la durezza di D’Alema, che parla del governo come un «vigilante di norme confuse», sia di Bersani che teme l’esautorazione delle Camere. Il Parlamento, ai tempi della concertazione, ratificava soltanto gli accordi tra le parti sociali. Il segretario del Pd se ne è uscito anche con la seguente frase: «Non morirò monetizzando il lavoro». Nobile e curioso. Solo l’1 per cento delle pratiche di licenziamento gestite dalla sola Cgil tra il 2007 e il 2011 è sfociato in riassunzioni o reintegri. E poi: gli accordi sui prepensionamenti e sugli esodi incentivati che cosa sono se non una monetizzazione di posti di lavoro che spariscono?
I toni apocalittici di molti commenti sono poi inquietanti. Descrivono un Paese irreale. Tradiscono una visione novecentesca, ideologica e da lotta di classe, che non corrisponde più alla realtà della stragrande maggioranza dei luoghi di lavoro. Dipingono gli imprenditori (che hanno le loro colpe) come un branco di lupi assetati che non aspetta altro se non licenziare migliaia di dipendenti. Come se adesso le aziende in crisi, e non sono poche purtroppo, non riducessero l’occupazione e non vi fosse il dramma di tanti lavoratori abbandonati in cassa integrazione o senza sussidi e possibilità di un reimpiego. E come se l’Italia non fosse ricca di tantissime realtà, grandi e piccole, in cui il lavoro è difeso e rispettato. E, ancora, tanti imprenditori e dipendenti non condividessero le stesse ansie e lo stesso amore per ciò che producono e per i valori comuni di cui sono portatori. Sono commenti che paventano il sibilo di una tagliola che cadrebbe, in un sol colpo, su decenni di conquiste dei lavoratori.
Scrive Guido Viale su il manifesto: «I capi girano nei reparti e minacciano i delegati non allineati e gli operai che resistono all’intensificazione del lavoro annunciando: appena passa l’abolizione dell’articolo 18 siete fuori!». Davvero è questo il clima che si respira nelle fabbriche, al di là di qualche isolato episodio? O è una ripetizione logora di schemi mentali del passato, il tentativo di creare un solco ideologico, una trincea fra capitale e lavoro, la costruzione artificiosa di un nemico di classe?
Lo Statuto dei lavoratori fu, nel 1970, un’importante conquista sociale. Sono passati 42 anni, la società è cresciuta, i diritti sono meglio protetti. Ma in parti del sindacato e della sinistra la nostalgia per quegli anni di lotte operaie e studentesche è forte. La storia andrebbe riletta, anche per risparmiarci le code spiacevoli e le derive violente di cui dovremmo coltivare la memoria.
Ferruccio de Bortoli
BERNARDO ROMANO...
C'è pure chi per mancanza di lavoro si dispera e si arrende dandosi fuoco...ricordiamo anche Bernardo Romano LSU nel comune di Cercola Napoli ...la storia QUI
Che fine avranno fatto la moglie e i sei figli?
MORTI BIANCHE e la FIAT
Sulle morti bianche voglio partire da lontano, da questo libro di Ettore Bernabei,dove a pag.124/125/ 126/127 si parla di questo episodio:
Anno 1962 - Canzonissima - a condurla la coppia Dario Fo' Franca Rame, alla quinta settimana di Canzonissima Dario Fo' fu influenzato dallo sciopero degli edili perche' tutti i giorni uno di loro cadeva dalle impalcature crepando. I Sindacati avevano organizzato una grande manifestazione a Roma in Piazza Santi Apostoli, vi erano stati scontri con la polizia e diversi feriti tra manifestanti e agenti, decise di fare uno sketch cosi creato:
Era la storia di un imprenditore edile, bello grasso e pasciuto, con la catena d’oro sul panciotto e un grande anello con brillante al dito. Questo imprenditore aveva un’amica, naturalmente una biondona con un gran seno, era la Rame. Lo si vedeva gioire perché gli portavano la notizia che un operaio era caduto da un’impalcatura. Allora, per la felicità, l’imprenditore regalava alla biondona un gioiello.
Naturalmente Dario Fo' per contratto doveva prima passare con i suoi testi alla "bassa frequenza" cosi si chiamava una specie di censura, prima di arrivare in prima serata al pubblico.
Lo sketch non passo' e fu censurato, furono proprio i comunisti a censurarlo, nella persona di Maurizio Ferrara, padre di Giuliano Ferrara, e Carlo Galluzzi, i due dietero ragione a Ettore Bernabei Direttore generale della Rai che aveva censurato lo sketch per non creare tensioni sociali, visti gli scioperi e i disordini con le forze di polizia.
Scrive ancora Ettore Bernabei, che Luciano Lama si raccomandava sempre di andarci piano con le denunce sociali e spiegava cosi: "Qualcuno potrebbe pensare che vent'anni di sindacalismo non sono serviti a niente"
Dario Fo' per protesta se ne ando' sbattendo la porta e non si vide in Rai per 20 e piu' anni.
Quiindi ora che siamo nel 2012, vediamo bene che le morti nel posto di lavoro sono continuate fino ad oggi nella indifferenza generale...misere parole a ripetizione per ogni persona a crepare per portare la pagnotta a casa.
A proposito della FIAT cito il libretto di Gad Lerner "OPERAI" dove a pag. 193/194 un giovane addetto alle relazioni mentre fa visitare al giornalista la residenza meravigliosa del senatore Agnelli, che gira tra parquet intarsiati e affreschi alle pareti meravigliosi, l'addetto dice: " IL CASO DELLA FIAT DI TERMOLI E' ESEMPLARE, LI ABBIAMO PRESO DEL MATERIALE UMANO MOLTO GREZZO, DI TIPO AGRO-PASTORALE E LO ABBIAMO INSERITO IN MEZZO ALLE MACCHINE PIU' SOFISTICATE"
si nota vero il sangue blu della famiglia Agnelli!
E cosi succede che Rosario D'Amico, Nel marzo del 2002 alle ore 6.30 nello Stabilimento Fiat di Pomigliano D’arco, una maledetta mattina viene travolto dal muletto violentemente, come descrive la dottoressa Castaldo nell’esame autoptico.
Un carrello guidato da un operaio con contratto a scadenza, quindi privo di ogni diritto lavorativo.
Dopo l’incidente la famiglia si affida alla giustizia, volevamo giustizia dice il figlio pieno di dolore.
Purtroppo la giustizia non esiste, ieri nell’aula 5 della Corte di Appello di Napoli il giudice prescrive il reato. Quando si dice "l'Ingiustizia della giustizia"
Anno 1962 - Canzonissima - a condurla la coppia Dario Fo' Franca Rame, alla quinta settimana di Canzonissima Dario Fo' fu influenzato dallo sciopero degli edili perche' tutti i giorni uno di loro cadeva dalle impalcature crepando. I Sindacati avevano organizzato una grande manifestazione a Roma in Piazza Santi Apostoli, vi erano stati scontri con la polizia e diversi feriti tra manifestanti e agenti, decise di fare uno sketch cosi creato:
Era la storia di un imprenditore edile, bello grasso e pasciuto, con la catena d’oro sul panciotto e un grande anello con brillante al dito. Questo imprenditore aveva un’amica, naturalmente una biondona con un gran seno, era la Rame. Lo si vedeva gioire perché gli portavano la notizia che un operaio era caduto da un’impalcatura. Allora, per la felicità, l’imprenditore regalava alla biondona un gioiello.
Naturalmente Dario Fo' per contratto doveva prima passare con i suoi testi alla "bassa frequenza" cosi si chiamava una specie di censura, prima di arrivare in prima serata al pubblico.
Lo sketch non passo' e fu censurato, furono proprio i comunisti a censurarlo, nella persona di Maurizio Ferrara, padre di Giuliano Ferrara, e Carlo Galluzzi, i due dietero ragione a Ettore Bernabei Direttore generale della Rai che aveva censurato lo sketch per non creare tensioni sociali, visti gli scioperi e i disordini con le forze di polizia.
Scrive ancora Ettore Bernabei, che Luciano Lama si raccomandava sempre di andarci piano con le denunce sociali e spiegava cosi: "Qualcuno potrebbe pensare che vent'anni di sindacalismo non sono serviti a niente"
Dario Fo' per protesta se ne ando' sbattendo la porta e non si vide in Rai per 20 e piu' anni.
Quiindi ora che siamo nel 2012, vediamo bene che le morti nel posto di lavoro sono continuate fino ad oggi nella indifferenza generale...misere parole a ripetizione per ogni persona a crepare per portare la pagnotta a casa.
A proposito della FIAT cito il libretto di Gad Lerner "OPERAI" dove a pag. 193/194 un giovane addetto alle relazioni mentre fa visitare al giornalista la residenza meravigliosa del senatore Agnelli, che gira tra parquet intarsiati e affreschi alle pareti meravigliosi, l'addetto dice: " IL CASO DELLA FIAT DI TERMOLI E' ESEMPLARE, LI ABBIAMO PRESO DEL MATERIALE UMANO MOLTO GREZZO, DI TIPO AGRO-PASTORALE E LO ABBIAMO INSERITO IN MEZZO ALLE MACCHINE PIU' SOFISTICATE"
si nota vero il sangue blu della famiglia Agnelli!
E cosi succede che Rosario D'Amico, Nel marzo del 2002 alle ore 6.30 nello Stabilimento Fiat di Pomigliano D’arco, una maledetta mattina viene travolto dal muletto violentemente, come descrive la dottoressa Castaldo nell’esame autoptico.
Un carrello guidato da un operaio con contratto a scadenza, quindi privo di ogni diritto lavorativo.
Dopo l’incidente la famiglia si affida alla giustizia, volevamo giustizia dice il figlio pieno di dolore.
Purtroppo la giustizia non esiste, ieri nell’aula 5 della Corte di Appello di Napoli il giudice prescrive il reato. Quando si dice "l'Ingiustizia della giustizia"
sabato 24 marzo 2012
DAL BLOG DI ALESSANDRO GILIOLI - L'ESPRESSO
MORTI SUL LAVORO
«Buongiorno, mi chiamo Rosario D’Amico e Le scrivo da San Giorgio a Cremano (Na). Le scrivo con la speranza di trovare la voce giusta.
La storia che Le racconto vede come protagonista un uomo semplice, che ha lasciato nel mio cuore e nei cuori di tutta la famiglia, tanti insegnamenti ricchi di bellissimi valori e di tanta onestà.
Questo eroe senza medaglia è mio padre D’amico Antonio, una vittima sul lavoro.
Nel marzo del 2002 alle ore 6.30 nello Stabilimento Fiat di Pomigliano D’arco, quella maledetta mattina è stato travolto dal muletto violentemente, come descrive la dottoressa Castaldo nell’esame autoptico.
Un carrello guidato da un operaio con contratto a scadenza, quindi privo di ogni diritto lavorativo.
Dopo l’incidente ci siamo affidati alla giustizia, volevamo giustizia.
Purtroppo la giustizia non esiste, ieri nell’aula 5 della Corte di Appello di Napoli il giudice prescrive il reato.
Ci siamo sentiti trattati male, la polizia ci ha circondato e noi senza dire una parola ,ma increduli cercavamo di capire.
Mio padre non può finire cosi!
Vorrei far sapere all’opinione pubblica la mia storia fatta di vera ingiustizia.
Cordiali saluti.
Rosario D’Amico
vicenda di Antonio D’Amico si è già occupata in queste ore Samanta Di Persio . Grazie aMarco Bazzoni che mi ha inoltrato la mail del figlio di Antonio, Rosario, chiedendomi di darle risalto pubblico.
«Buongiorno, mi chiamo Rosario D’Amico e Le scrivo da San Giorgio a Cremano (Na). Le scrivo con la speranza di trovare la voce giusta.
La storia che Le racconto vede come protagonista un uomo semplice, che ha lasciato nel mio cuore e nei cuori di tutta la famiglia, tanti insegnamenti ricchi di bellissimi valori e di tanta onestà.
Questo eroe senza medaglia è mio padre D’amico Antonio, una vittima sul lavoro.
Nel marzo del 2002 alle ore 6.30 nello Stabilimento Fiat di Pomigliano D’arco, quella maledetta mattina è stato travolto dal muletto violentemente, come descrive la dottoressa Castaldo nell’esame autoptico.
Un carrello guidato da un operaio con contratto a scadenza, quindi privo di ogni diritto lavorativo.
Dopo l’incidente ci siamo affidati alla giustizia, volevamo giustizia.
Purtroppo la giustizia non esiste, ieri nell’aula 5 della Corte di Appello di Napoli il giudice prescrive il reato.
Ci siamo sentiti trattati male, la polizia ci ha circondato e noi senza dire una parola ,ma increduli cercavamo di capire.
Mio padre non può finire cosi!
Vorrei far sapere all’opinione pubblica la mia storia fatta di vera ingiustizia.
Cordiali saluti.
Rosario D’Amico
vicenda di Antonio D’Amico si è già occupata in queste ore Samanta Di Persio . Grazie aMarco Bazzoni che mi ha inoltrato la mail del figlio di Antonio, Rosario, chiedendomi di darle risalto pubblico.
TUTTI A COLAZIONE A VILLA D'ESTE - CERNOBBIO
Lavoro/ Monti a colazione con Camusso, Alfano ed Enrico Letta
Allo stesso tavolo a Villa d'Este anche Gnudi, Profumo e Sangalli
Cernobbio (Co), 24 mar. (TMNews) - Il presidente del Consiglio, Mario Monti, si è seduto per la colazione a un tavolo nella veranda di Villa d'Este con il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, alla sua destra. Allo stesso tavolo hanno preso posto anche il vicesegretario del Pd Enrico Letta, e il segretario del Pdl Angelino Alfano.
Tra i commensali ci sono anche i ministri Piero Gnudi e Francesco Profumo oltre al presidente della Confcommercio, Carlo Sangalli, organizzatore del forum i cui lavori saranno conclusi nel tardo pomeriggio da un intervento del premier. FONTE QUI
PD...
Articolo 18, le macerie del Pd
di Marco Damilano -
L'ESPRESSO
Da una parte la sinistra, contrarissima alla riforma Fornero. Dall'altra i veltroniani e i liberal, favorevoli. In mezzo, il povero Bersani che cerca la quadra. Sono giorni decisivi: e non si esclude più nemmeno la scissione
DAL BLOG DI ALESSANDRO GILIOLI - L'ESPRESSO
Buongiorno, mi chiamo Rosario D’Amico
morte-sul-lavoro
«Buongiorno, mi chiamo Rosario D’Amico e Le scrivo da San Giorgio a Cremano (Na). Le scrivo con la speranza di trovare la voce giusta.
La storia che Le racconto vede come protagonista un uomo semplice, che ha lasciato nel mio cuore e nei cuori di tutta la famiglia, tanti insegnamenti ricchi di bellissimi valori e di tanta onestà.
Questo eroe senza medaglia è mio padre D’amico Antonio, una vittima sul lavoro.
Nel marzo del 2002 alle ore 6.30 nello Stabilimento Fiat di Pomigliano D’arco, quella maledetta mattina è stato travolto dal muletto violentemente, come descrive la dottoressa Castaldo nell’esame autoptico.
Un carrello guidato da un operaio con contratto a scadenza, quindi privo di ogni diritto lavorativo.
Dopo l’incidente ci siamo affidati alla giustizia, volevamo giustizia.
Purtroppo la giustizia non esiste, ieri nell’aula 5 della Corte di Appello di Napoli il giudice prescrive il reato.
Ci siamo sentiti trattati male, la polizia ci ha circondato e noi senza dire una parola ,ma increduli cercavamo di capire.
Mio padre non può finire cosi!
Vorrei far sapere all’opinione pubblica la mia storia fatta di vera ingiustizia.
Cordiali saluti.
Rosario D’Amico
vicenda di Antonio D’Amico si è già occupata in queste ore Samanta Di Persio . Grazie aMarco Bazzoni che mi ha inoltrato la mail del figlio di Antonio, Rosario, chiedendomi di darle risalto pubblico.
morte-sul-lavoro
«Buongiorno, mi chiamo Rosario D’Amico e Le scrivo da San Giorgio a Cremano (Na). Le scrivo con la speranza di trovare la voce giusta.
La storia che Le racconto vede come protagonista un uomo semplice, che ha lasciato nel mio cuore e nei cuori di tutta la famiglia, tanti insegnamenti ricchi di bellissimi valori e di tanta onestà.
Questo eroe senza medaglia è mio padre D’amico Antonio, una vittima sul lavoro.
Nel marzo del 2002 alle ore 6.30 nello Stabilimento Fiat di Pomigliano D’arco, quella maledetta mattina è stato travolto dal muletto violentemente, come descrive la dottoressa Castaldo nell’esame autoptico.
Un carrello guidato da un operaio con contratto a scadenza, quindi privo di ogni diritto lavorativo.
Dopo l’incidente ci siamo affidati alla giustizia, volevamo giustizia.
Purtroppo la giustizia non esiste, ieri nell’aula 5 della Corte di Appello di Napoli il giudice prescrive il reato.
Ci siamo sentiti trattati male, la polizia ci ha circondato e noi senza dire una parola ,ma increduli cercavamo di capire.
Mio padre non può finire cosi!
Vorrei far sapere all’opinione pubblica la mia storia fatta di vera ingiustizia.
Cordiali saluti.
Rosario D’Amico
vicenda di Antonio D’Amico si è già occupata in queste ore Samanta Di Persio . Grazie aMarco Bazzoni che mi ha inoltrato la mail del figlio di Antonio, Rosario, chiedendomi di darle risalto pubblico.
venerdì 23 marzo 2012
GIULIANO FERRARA SALVA LA RAI - VA TUTTO BENE PERCHE' COMMISSIONARLA?
GIULIANO FERRARA IERI SERA A RADIO LONDRA...ha fatto uno spot a favore della Rai...va tutto bene , ha detto perche' commissionarla?Giuliano Ferrara è un altro che da mamma Rai becca una paccata di soldi pubblici:
Ferrara ha un contratto triennale da 1 milione e mezzo di euro (il tipo è anche Direttore del Foglio) il suo Qui Radio Londra dal 14 marzo 5 giorni su sette, subito dopo il Tg1 e senza pubblicità (quindi senza ricavi per la Rai), fino a marzo 2013 (con possibilità di rinnovo di un altro anno).Prevedo un AMARCORD della Ercolani alla Rai anche per lui!
Ferrara ha un contratto triennale da 1 milione e mezzo di euro (il tipo è anche Direttore del Foglio) il suo Qui Radio Londra dal 14 marzo 5 giorni su sette, subito dopo il Tg1 e senza pubblicità (quindi senza ricavi per la Rai), fino a marzo 2013 (con possibilità di rinnovo di un altro anno).Prevedo un AMARCORD della Ercolani alla Rai anche per lui!
FLORIDA...RAGAZZINO DI COLORE ...17 ANNI UCCISO
Quel razzismo Made in USA
C'È UN pistolero ispanico di 28 anni dalla pelle bianca, una sorta di vigilantes di quartiere, che continua a circolare libero a Sanford, una piccola contea della Florida, anche se qualche giorno fa ha ucciso un ragazzo di colore di 17 anni, sparandogli. Sostiene di avere agito per legittima difesa, ma testimoni oculari parlano di motivazione razziale. Bill Lee, il capo della polizia di Sanford, non ne ha mai ordinato l'arresto e adesso il consiglio comunale chiede la sua testa, mentre si moltiplicano le marce anti razziste in decine di città americane. George Zimmerman sostiene di aver sparato dopo un alterco. Trayvon Martin è stato fulminato con un unico colpo al petto. Quasi un'esecuzione. Era disarmato. Aveva in mano una bottiglia di the freddo e un pacchetto di caramelle. Non è la prima volta che in Florida si commettono abusi sulla gente di colore. Ma nell'era di Obama molti temono che questa reazione violenta sia rivelatrice di un odio razziale che ancora cova sottopelle, anche se c'è un presidente di colore alla Casa Bianca. Il capo della polizia Bill Lee non fa mistero delle sue scarse simpatie per gli afroamericani. Non è il solo in Florida e a Sanford, ma questo omicidio senza arresto apre vecchie ferite mai rimarginate che portano ai linciaggi e alle violenze del Ku Klux Klan. «Mio figlio è come vostro figlio. Non ci fermeremo - ha detto la mamma di Trayvon, gridando nei microfoni durante la marcia di Manhattan - finché non avremo giustizia. Trayvon non ha commesso alcun crimine. Non è questione di bianco o nero, ma di giusto o sbagliato».
IL CAPO della polizia di Sanford sembra avere i giorni contati e non ha più la fiducia della gente. Ma anche un solo giorno di più sembra davvero troppo. «Persino Stevie Wonder può vedere perfettamente che cosa sta succedendo», dicono i difensori dei diritti civili.
notizie tratte da La Nazione
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Usa/ Florida, in migliaia chiedono arresto omicida 17enne nero
L'uomo, 28enne bianco, è libero grazia a una legge statale
Sanford (Florida), 23 mar. (TMNews) - Migliaia di persone sono tornate in piazza ieri in Florida per chiedere giustizia per la morte di Trayvon Martin, il 17enne nero ucciso il 26 febbraio scorso da George Zimmerman, 28enne bianco, che stava facendo delle ronde di controllo nel suo quartiere di Sanford, a Orlando.
I manifestanti, per lo più afro-americani, hanno chiesto l'arresto di Zimmerman, che ha dichiarato di aver agito per autodifesa e per questo non è stato arrestato nè incriminato. "Vogliamo vedere Zimmerman in aula con le mani legate alla schiena, incriminato per la morte di un ragazzo, Trayvon Martin!", ha scandito il reverendo Al Sharpton, che ha organizzato il raduno. La manifestazione si è tenuta poche ore dopo che il capo della polizia locale, Bill Lee, ha annunciato le sue dimissioni "temporanee", sottolineando di voler favorire un rasserenamento del clima in città.
La morte di Martin e il mancato arresto di Zimmerman hanno infatti alimentato accuse di razzismo contro la polizia. "Il fattore razziale ha avuto un ruolo in questa vicenda - ha detto Karen Curry, 33 anni, scesa in piazza ieri con la sua famiglia - come può essere possibile che la polizia non abbia arrestato l'uomo che ha ucciso un ragazzino e lo ha lasciato a terra come uno scarto?". La polizia locale ha motivato il mancato arresto di Zimmerman con una legge della Florida che consente ai residenti nello Stato di usare forza letale per autodifesa. Sul caso stanno indagano il Dipartimento di Giustizia Usa, l'Fbi, la procura federale e il Dipartimento di Giustizia della Florida. (fonte Afp)
MONI OVADIA
Strage Tolosa, Moni Ovadia:
“Odio non è solo contro ebrei ma contro tutte le minoranze”
L'autore teatrale commenta quanto accaduto in Francia dove un 24enne franco-algerino ha ucciso un rabbino e tre bimbi davanti a una scuola ebraica. "Sarkozy e Hollande non avrebbero interrotto la loro campagna elettorale se fossero stati uccisi tre bambini rom"
Sono tanti i rischi che gli ebrei corrono quando devono commentare l’ennesimo massacro di stampo antisemita. Il primo è quello di dargli una forma retorica, fatto salvo il contenuto intollerabile. “Sono d’accordo. Se noi ebrei non cambiamo il nostro modo di pensare e affrontare questi momenti dolorosissimi e sconvolgenti che ci riguardano, rischiamo di strumentalizzarli e farli strumentalizzare”, dice Moni Ovadia riferendosi a quanto accaduto a Tolosa dove un 24enne ha ucciso quattro persone ebree proclamando “la vendetta dei bambini palestinesi”. “ Dobbiamo sforzarci di scorporare l’odio contro noi ebrei per non rischiare di trasformarlo in un abuso della memoria. Di ritornare alla Shoah intesa come genocidio solo degli ebrei. Proprio in questi momenti bui, che ci lacerano, dovremmo ricordarci che è un errore separare l’odio contro gli ebrei dall’odio verso le altre minoranze”.
Moni Ovadia sa di fare riflessioni scomode e, per molta gente, assurde e inopportune ma ciò che gli preme – e lo dimostra tutta la sua storia, umana e professionale – è riflettere sulle cause che inducono le persone a coltivare l’odio razzista. “So di dire una cosa per molti intollerabile ma è ciò che penso: pensate che Sarkozy e Hollande avrebbero interrotto la loro campagna elettorale se fossero stati uccisi tre bambini Rom? Io, purtroppo, non credo. Quando vengono appiccati gli incendi agli accampamenti rom, i media non reagiscono come se avessero incendiato una scuola ebraica. Eppure anche i rom hanno subito un genocidio nei lager nazisti e così gli omosessuali. Ciò che intendo dire è che la comunità ebraica dovrebbero urlare molto più forte quando avvengono episodi di razzismo nei confronti delle altre minoranze. Noi ebrei dobbiamo sforzarci di pensare che l’odio razzista non è settoriale. Che sia peggiore quello nei confronti degli ebrei”.
Ma l’odio antisemita ha una sua specificità?
“Certo ma questo non significa che valga di più o di meno. Primo Levi non ha scritto ‘Se questo è un ebreo’ ha scritto ‘Se questo è un uomo’. Un rabbino recentemente ha detto: “Vedrete la prossima volta non inizieranno da noi ma finiranno con noi”, con questo voglio dire che non siamo solo noi ebrei le vittime dell’odio razzista. Chi ha ucciso quei poveri bambini, aveva ucciso prima dei ragazzi musulmani”.
Vuole dire che se si tollera o non si reagisce allo stesso modo contro il razzismo nei confronti di altre etnie e categorie di persone, poi non si è credibili quando si condanna l’antisemitismo?
“Sì, la società e, la comunità ebraica in particolare, devono essere più intransigenti contro il razzismo in tutti i suoi aspetti. Quando per esempio si è saputo che un console italiano fa parte di una band fascio rock, non mi pare di aver visto e sentito forti reazioni di indignazione. Ma anche questo episodio fa parte della peste nera, la peste neonazista, che non va scambiata per folklore. Mai”
FONTE: IL FATTO QUOTIDIANO
“Odio non è solo contro ebrei ma contro tutte le minoranze”
L'autore teatrale commenta quanto accaduto in Francia dove un 24enne franco-algerino ha ucciso un rabbino e tre bimbi davanti a una scuola ebraica. "Sarkozy e Hollande non avrebbero interrotto la loro campagna elettorale se fossero stati uccisi tre bambini rom"
Sono tanti i rischi che gli ebrei corrono quando devono commentare l’ennesimo massacro di stampo antisemita. Il primo è quello di dargli una forma retorica, fatto salvo il contenuto intollerabile. “Sono d’accordo. Se noi ebrei non cambiamo il nostro modo di pensare e affrontare questi momenti dolorosissimi e sconvolgenti che ci riguardano, rischiamo di strumentalizzarli e farli strumentalizzare”, dice Moni Ovadia riferendosi a quanto accaduto a Tolosa dove un 24enne ha ucciso quattro persone ebree proclamando “la vendetta dei bambini palestinesi”. “ Dobbiamo sforzarci di scorporare l’odio contro noi ebrei per non rischiare di trasformarlo in un abuso della memoria. Di ritornare alla Shoah intesa come genocidio solo degli ebrei. Proprio in questi momenti bui, che ci lacerano, dovremmo ricordarci che è un errore separare l’odio contro gli ebrei dall’odio verso le altre minoranze”.
Moni Ovadia sa di fare riflessioni scomode e, per molta gente, assurde e inopportune ma ciò che gli preme – e lo dimostra tutta la sua storia, umana e professionale – è riflettere sulle cause che inducono le persone a coltivare l’odio razzista. “So di dire una cosa per molti intollerabile ma è ciò che penso: pensate che Sarkozy e Hollande avrebbero interrotto la loro campagna elettorale se fossero stati uccisi tre bambini Rom? Io, purtroppo, non credo. Quando vengono appiccati gli incendi agli accampamenti rom, i media non reagiscono come se avessero incendiato una scuola ebraica. Eppure anche i rom hanno subito un genocidio nei lager nazisti e così gli omosessuali. Ciò che intendo dire è che la comunità ebraica dovrebbero urlare molto più forte quando avvengono episodi di razzismo nei confronti delle altre minoranze. Noi ebrei dobbiamo sforzarci di pensare che l’odio razzista non è settoriale. Che sia peggiore quello nei confronti degli ebrei”.
Ma l’odio antisemita ha una sua specificità?
“Certo ma questo non significa che valga di più o di meno. Primo Levi non ha scritto ‘Se questo è un ebreo’ ha scritto ‘Se questo è un uomo’. Un rabbino recentemente ha detto: “Vedrete la prossima volta non inizieranno da noi ma finiranno con noi”, con questo voglio dire che non siamo solo noi ebrei le vittime dell’odio razzista. Chi ha ucciso quei poveri bambini, aveva ucciso prima dei ragazzi musulmani”.
Vuole dire che se si tollera o non si reagisce allo stesso modo contro il razzismo nei confronti di altre etnie e categorie di persone, poi non si è credibili quando si condanna l’antisemitismo?
“Sì, la società e, la comunità ebraica in particolare, devono essere più intransigenti contro il razzismo in tutti i suoi aspetti. Quando per esempio si è saputo che un console italiano fa parte di una band fascio rock, non mi pare di aver visto e sentito forti reazioni di indignazione. Ma anche questo episodio fa parte della peste nera, la peste neonazista, che non va scambiata per folklore. Mai”
FONTE: IL FATTO QUOTIDIANO
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