Anche Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita indagato per aver sottratto i fondi dei rimborsi elettorali, potrebbe aggiungersi alla lista di personaggi famosi che, nei guai con la giustizia, sono stati accolti fraternamente in conventi e monasteri. O supportati da religiosi che ne certificano la redenzione. Proprio la sua difesa ha chiesto al tribunale, riporta Il Messaggero, gli arresti domiciliari in convento, senza possibilità di comunicare con l’esterno.
Sempre tra i politici, già l’ex presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, aveva chiesto perdono al papa per le sue scappatelle con le trans cercando poi rifugio in un luogo spirituale. Più recentemente Michelle Martine, l’ex moglie del pedofilo assassino Marc Dutroux condannata a trent’anni per averlo aiutato, si è stabilita nel convento delle suore clarisse. Con l’ok della Corte di Cassazione belga. Anche Lele Mora si è redento, dopo ver detto che voleva farsi frate. E Pietro Maso, che nel 1991 uccise i genitori, è stato redento dal prete di Telepace, Mario Todeschini.
Una vera e propria moda spirituale, quella di rifarsi una verginità rivolgendosi a sacerdoti oppure ostentando la fede. Nessuno può ovviamente giudicare la genuinità di certe ‘conversioni’ maturate nell’intimo delle persone. Ma desta qualche dubbio il fatto che i tribunali attribuiscano alla religione un effetto necessariamente positivo nel recupero di certe persone. Concedendo, con un vulnus per la laicità dello stato e privilegiando la fede, prerogative a sacerdoti e strutture religiose. Senza che ci sia qualche prova tangibile sull’effettivo miglioramento della situazione, ma solo assecondando un condizionamento sociale già marcato. In tal modo la Chiesa può mostrare al mondo che tutte le ‘pecorelle’, anche le più nere, sono destinate tutte a tornare all’ovile.
Il carcere dovrebbe essere rieducativo. Mentre il convento è un ritiro religioso. Ma la nostra Repubblica ritiene una pena adeguata la vita in un monastero? Non c’è poi chiarezza sulle caratteristiche di questa ‘detenzione’, che pare benevolmente appaltata ai religiosi: ci si chiede se il convento sia sotto chiave, se c’è libertà di uscita, la possibilità di ricevere visite. O adeguata sorveglianza.
Risulta evidente che il soggiorno in convento diventi un privilegio per i credenti, con discriminazione nei confronti di detenuti non cattolici. Le condizioni di favore e l’attivismo dei cappellani possono anche diventare un incentivo al proselitismo religioso, con l’assenso dello Stato.
Ma non si può ritenere a priori che un’organizzazione religiosa dia garanzie giuridiche. Anzi, come comportamenti ben poco virtuosi si potrebbe citare il diffuso impegno delle gerarchie ecclesiastiche per insabbiare casi di pedofilia che hanno coinvolto sacerdoti. Senza contare la vicinanza imbarazzante tra certi preti e personaggi in odore di mafia.
La soluzione non è di certo stipare le carceri già piene, ma investire nel miglioramento delle condizioni di vita delle prigioni. Una via laica e civile, purtroppo destinata ad essere una eccezione, percorsa dal Governo Monti all’inizio del suo mandato. Delegare il recupero dei detenuti a strutture private marcatamente religiose fa invece pensare ancora una volta ad una sussidiarietà malata. In cui lo Stato abdica alle sue funzioni nella tutela dei diritti favorendo la religione.
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ma ci va in galera MastroPasqua?
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