Per Gasparri, Storace e altri 5 ex-An scialuppa post-elettorale al Secolo d’Italia
Nonostante
la grave situazione del giornale, in caso di sconfitta alle urne
Meloni, Bocchino e gli altri si aprirebbe l'uscita di sicurezza verso il
giornale della fiamma tricolore, dal quale sono in aspettativa
parlamentare. Continuando a maturare la pensione da giornalista insieme
al vitalizio parlamentare. L'ex ministro delle Comunicazioni: "E' un
diritto, non un privilegio"
Mario
Landolfi, Francesco Storace, Giorgia Meloni, Maurizio Gasparri, Silvano
Moffa, Italo Bocchino, Gennaro Malgieri. Cosa hanno in comune questi
sette politici oltre alle radici in
Alleanza Nazionale? Oggi sono divisi:
Giorgia Meloni ha fondato “Fratelli d’Italia” con
Guido Crosetto, remake dell’omonimo cinepanettone del duo Boldi-De Sica.
Francesco Storace resta fedele alla sua “Destra”,
Maurizio Gasparri sta con Berlusconi. Il mite
Silvano Moffa guida un manipolo semisconosciuto denominato “Popolo e Territorio”. Mario Landolfi e
Gennaro Malgieri sono montiani e
Italo Bocchino
rimane l’ultimo giapponese accanto a Fini. I magnifici sette corrono
sotto insegne diverse ma li accomuna l’uscita di sicurezza in caso di
disastro elettorale: il 26 febbraio potrebbero mettersi in fila davanti
al portone di via della Scrofa 43 per riprendere il loro posto nella
redazione del
Secolo d’Italia.
Mario Landolfi, assunto nel 1991 è in
aspettativa parlamentare dal 1994, come Francesco Storace assunto nel 1986 e in aspettativa con la qualifica di
caposervizio;
Giorgia Meloni, consigliere provinciale a 21 anni nel 1998, è entrata
nel 2004 ed è in aspettativa parlamentare dal 2006. Maurizio Gasparri
assunto nel 1983 come Moffa è in aspettativa dal 1992, mentre Moffa è in
aspettativa dal 1998. Italo Bocchino, assunto nel 1991 è in aspettativa
dal 1996 mentre il più anziano e alto in grado è Gennaro Malgieri,
assunto nel 1979 e in aspettativa dal 1996, con la qualifica di
direttore, incarico ricoperto dal 1994, dopo Gasparri.
Il giornale che hanno lasciato in edicola non c’è più. Da ieri per la prima volta l’organo di An
non è in edicola. L’editoriale di commiato del direttore-deputato (non retribuito),
Marcello De Angelis, si chiude così: “da gennaio, sarà on line. La battaglia continua, con altri mezzi”. Il giornale vendeva a malapena
700 copie reali al giorno e la nuova legge sui
contributi ai giornali di partito ha favorito il passaggio sul web permettendo il rimborso del
70 per cento delle spese invece del 50 per cento riservato ai giornali di carta. L’organico comunque dovrà essere ridotto. Oggi ci sono
14 giornalisti più i sette in aspettativa più l’ex direttore finiano
Flavia Perina,
in causa da quando è stata licenziata in tronco senza nemmeno il
riconoscimento del Tfr. E c’è pure il caso anomalo dell’ex portavoce di
Fini,
Salvo Sottile assunto dal Secolo nel 2006 (anno dello scandalo
Vallettopoli-Gregoraci) ma che figura “in distacco”. Il suo stipendio oggi non è a carico del
Secolo ma è più alto di tutti i colleghi e preoccupa per il futuro i contribuenti.
Il
Secolo, oltre alle iniezioni di liquidità permesse dai
rimborsi elettorali ad An, è costato ai contribuenti più di
20 milioni
solo negli ultimi sette anni. Il Dipartimento editoria della Presidenza
del consiglio ha versato 2 milioni e 433 mila euro per il 2010, 2
milioni e 952 mila euro per il 2009, 2 milioni e 950 mila nel 2008, 2
milioni e 959 mila euro nel 2007, 3 milioni e 98 mila euro nel 2006, 3
milioni e 98 mila euro nel 2005, 3 milioni e 98 mila euro nel 2004, per
un totale di 20 milioni e 588 mila euro che non sono bastati a sostenere
un organico di 40 persone.
Per rimettere in equilibrio i conti nell’ottobre scorso, l’amministratore nominato dalla liquidazione del Tribunale,
Alberto Dello Strologo,
aveva preparato un piano – approvato dai liquidatori Marco Lacchini e
Giuseppe Tepedino – che riduceva l’organico a sette giornalisti
decretando di fatto la
fuoriuscita dei parlamentari in
aspettativa. Il Presidente del Tribunale di Roma, Mario Bresciano, però
ha fermato tutto nominando due nuovi liquidatori, Davide Franco e Andrea
D’Ovidio, ai quali ha chiesto di trasferire subito la proprietà del
Secolo d’Italia
dalla liquidazione (diretta dal Tribunale) alla Fondazione (di Alleanza
Nazionale) dove comandano i politici che, alla fine, hanno deciso di
salvare il posto ai giornalisti, compresi quelli in aspettativa.
La riduzione dell’organico alla fine riguarderà solo gli
impiegati comuni.
Gasparri e compagni possono restare in aspettativa. La Fondazione
(presieduta dal senatore Francesco Mugnai, e diretta da un comitato di
cui fanno parte anche il finiano Lamorte, La Russa, Alemanno, Matteoli e
Gasparri) per permettere la
sopravvivenza del
Secolo
ha comprato le quote e ha immesso nella società 700mila euro cash
rinunciando anche ai suoi crediti per circa mezzo milione. I soldi non
mancano: sui conti correnti della Fondazione ci sono
65 milioni di euro cash provenienti dai rimborsi elettorali più altri 35 milioni di euro in
immobili.
Grazie al liquido della Fondazione An, la scialuppa dei sette parlamentari resta a galla, pronta ad accoglierli in caso di
naufragio elettorale. Silvano Moffa nel 2003, dopo aver perso la provincia di Roma, è tornato al
Secolo per nove mesi fino a quando è stato eletto sindaco di
Colleferro nel 2004. Senza contare il vero vantaggio: la
doppia pensione da giornalista che si unisce al
vitalizio parlamentare. Fino al 1999, tutti i giornalisti in aspettativa parlamentare maturavano i
contributi figurativi
senza versare un euro. Dal 1999 i parlamentari pagano almeno la loro
quota di contributi fissata all’8,69 per cento. Mentre la parte a carico
dell’editore la paga l’Istituto previdenziale, cioè i giornalisti
tutti. Al
Fatto che gli chiede se, in un momento di
sacrifici, non sarebbe il caso di
rinunciare
alla pensione da giornalista, avendo già diritto al vitalizio
parlamentare, Gasparri replica: “Se qualcuno davvero volesse togliermi
questo
diritto mi dovrebbe prima restituire i contributi già pagati. E’ un diritto riconosciuto a chiunque vada in aspettativa e
non è un privilegio. Se la vogliamo dire tutta io al
Secolo
ho fatto il direttore pagato solo come un caposervizio e, dopo
l’elezione del 1992, l’ho fatto anche gratis fino al 1994, quando sono
stato nominato sottosegretario e ho lasciato. Altro che privilegio”. Al
Secolo sono avvertiti: poche storie o l’ex direttore Gasparri chiede pure gli arretrati.
Da Il Fatto Quotidiano del 23 dicembre 2012