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giovedì 22 ottobre 2015

SANITA'

AFFARI NEL SANGUE

di Andrea Cinquegrani
In una eccezionale inchiesta-documento della Bbc la vera storia del sangue infetto in Italia, protagonista la dinasty dei Marcucci e - spunta ora - l’avvocato d’affari David Mills, fresco di rinvio a giudizio a Milano con Berlusconi. Non solo traffici di antenne e frequenze tivvù, ma anche di sangue, sangue infetto.
L’avvocato inglese David Mills, appena rinviato a giudizio con Silvio Berlusconi dalla procura di Milano nell’inchiesta su tangenti alle fiamme gialle e affare All Iberian, negli anni ’90, è stato il braccio operativo estero del gruppo Marcucci, leader nel commercio di emoderivati. La notizia-bomba arriva via Bbc 2, che in un programma mandato in onda e metà ottobre da Panorama (una sorta di Report al cubo) col titolo “The price of blood”, il prezzo del sangue, in 45 minuti di riprese e interviste mozzafiato ricostruisce le tappe di un mega affare che ha portato decine e decine di miliardi di vecchie lire nelle casse della Sclavo (la sigla regina dei Marcucci) e delle tante controllate straniere, mietendo al tempo stesso lutti e tragedie per i tanti infettati dalle trasfusioni a rischio. In Italia l’inchiesta della magistratura era partita nel 1994. Che fine ha fatto? La solita, classica, inevitabile bolla di sapone. O colpo di spugna, se volete. Per la gioia di tutti. Assolti, prescritti e contenti. «Strumentalizzazioni», sbotta col suo faccione Mills ai microfoni della Bbc, ed ora accusa la prestigiosa tivvù inglese di aver ordito un complotto ai suoi danni, con un «unfair trial by television», un processo mediatico poco elegante contro di lui, e di rimbalzo anche contro sua moglie, una big nel Labour di Tony Blair. Per i lettori della Voce, scorriamo testi e immagini del documento choc, esemplare per la perfezione stilistica e per i contenuti da autentico giornalismo investigativo.
L’IMPERO DI DRACULA
«Red oil», petrolio rosso, «blood game», il gioco del sangue, «traffici per milioni di sterline», «questioni di vita o di morte», sono le prime frasi che si rincorrono nel fuori campo del giornalista. Cui si alternano quelle di alcuni “intercettati” durante le prime fasi dell’inchiesta e ricostruite fedelmente in studio: «roba degli anni ottanta», dicono i due trafficanti a proposito della “merce”, di quel sangue killer che sta per essere commercializzato. E poi: «nessun esame per l’hiv»; e poi, «abbiamo a che fare con gente grossa o piccola?», «con figli di mignotta»; ancora: «non so che cazzo hanno fatto…», «devono distruggere tutto?», «non devi rompere il cazzo». Siamo in pieno “organized crime”, viene precisato dal reporter, crimine organizzato. A ritmo serrato, si susseguono ricostruzioni e interviste. La prima, drammatica, con un “condannato a morte”, Angelo Magrini, infettato da una trasfusione killer che lo ha ridotto pelle e ossa su un letto. Seguono le parole di un ematologo, Paul Giangrande. Quindi il minuzioso racconto del colonnello delle fiamme gialle Marco Tripodi: «abbiamo cominciato le indagini per trovare dei reati di tipo amministrativo, ma un po’ alla volta ci siamo resi conto che si trattava di una colossale truffa per il commercio di sangue».
E’ la volta della parlamentare Verde Tana De Zulueta, che traccia un identikit del magnate Guelfo Marcucci, «un vero e proprio conte Dracula», mentre scorrono le immagini di Klaus Kinsky nel suo castello avvolto fra le nebbie. E subito ci troviamo negli stabilimenti della Sclavo, tra altri fumi e altre provette. Poi si susseguono, con ritmo martellante, i depositi di Padova, i maxi freezer dove vengono stoccate tonnellate di scatoloni con flaconi di emoderivati (55 tonnellate di sangue non testato, è la precisazione anglosassone). E navi, navi che approdano, caricano, sbarcano, col loro carico mortale. Ma da dove venivano, quelle navi? Quali sono state le mete preferite per almeno un quindicennio? Stati Uniti, Canada e, soprattutto, Africa. In particolare il Congo di Mobutu, «grande amico di Marcucci», ricorda proprio De Zulueta. Fanno capolino una serie di sigle estere, perché «Mills - osserva la puntuale voce fuori campo - è un avvocato specializzato in società off shore, quelle che servono soprattutto per non far pagare le tasse ai ricchi», «è un trader del sangue», «era in pieno nel gioco, non poteva non sapere», «is a master of elusion» (maestro nell’evasione). Eccoci allora in pieno oceano, nel super paradiso fiscale delle isole Vergini, a bordo di Padmore ltd, il cui nome è ben impresso sugli scatoloni contenenti sangue infetto; poi un salto a Panama, al timone di Sarafia Ltd; quindi CMM, altro crocevia. Scatole cinesi - viene ampiamente documentato - che coprono traffici colossali. Mills davanti agli inquirenti si trincera dietro ad un «non sapevo niente degli affari Padmore», «Cmm aveva 400 fra funzionari e collaboratori, che ne potevo sapere io?». «Bugie - bolla la Bbc - è come mettere indietro gli orologi, cambiare le date», mentre scorre un esilarante filmato a “indietro tutta”. Il rush finale è tutto da vedere, con un’inchiesta che implode passo dopo passo, fino alla tempesta finale, che fa volar via le carte più scottanti in possesso di un super teste, Dennis Lawin: «La finestra si è aperta di colpo e proprio quel faldone ha preso il volo», ricorda con candore. E’ la fine della storia, timbrata 2004, quando il processo va in soffitta perché «non è stata provata la colpa» degli incriminati, anche se sono provati una serie di reati e di comportamenti fuorilegge.
MILLS, MIA CARA MILLS
Un autentico pezzo da novanta del Labour Party, la lady di ferro nell’inossidabile (ancora per poco) esecutivo guidato da Tony Blair. Moglie di David Mills, Tessa Towell è l’attuale ministro della Cultura, un pedigree istituzionale più che ricco: dal 1997 al 1999, infatti, è stata ministro della Salute pubblica e per il successivo triennio è passata al dicastero del Lavoro. Insomma, una pedina strategica nello scacchiere di Downing street. I suoi avversari, però, malignano di qualche conflitto di troppo: «con la Cultura finisce per interessarsi anche di diritti televisivi, e si sa che il marito è consulente di alcuni gruppi, oltre ad esserlo stato per Berlusconi. Quanto alla Sanità, il gruppo Marcucci si dà molto da fare sul fronte del commercio internazionale, e Mills lo ha seguito fino a tutti gli anni novanta». Lei, però, non ha paura dei conflitti. Anche nell’ultimo, pesantissimo caso, dove è coinvolta col marito per un’operazione che tira in ballo proprio i 600 milioni di euro al centro dell’inchiesta milanese su “tangenti alla guardia di finanza e All Iberian” finiti a Mills. «Sono certa - dichiara Towell - che non ci sia conflitto d’interessi fra la transazione e i miei doveri ministeriali. Ho firmato un’ipoteca sulla casa di cui siamo co-proprietari per avallare un prestito chiesto solo da mio marito alla sua banca».
E’ il Sunday Times, in un suo reportage, a ricostruire i tasselli di questo ennesimo puzzle. A settembre 2000 i coniugi accendono un mutuo da 700.000 sterline sulla loro casa attraverso la società finanziaria Hambros. I soldi vengono subito smistati in un fondo off-shore (Mills è uno specialista del ramo), Centurion. Nel giro di un mese, in vorticosa successione, il passaggio attraverso la bellezza di sette conti, sparsi in mezzo mondo, da Gibilterra fino ai Carabi, passando per la canonica Svizzera. Alla fine del viaggio approdano sulle rive di un altro fondo, manco a dirlo off shore, il Torrey Global. Chiariti tutti i passaggi, resta l’interrogativo di fondo. Da chi sono partiti i soldi? E per quale motivo? A questo punto Mills fornisce le sue tre verità. La prima versione sembra schietta e attendibile, perché scritta in tempi non sospetti, e inviata al suo commercialista di fiducia. In sostanza, Mills chiede al suo consulente come fare per non pagar tasse su quel gruzzolo, tenuto conto dei sacrifici fatti, dei rischi corsi, e del fatto che i suoi soci hanno mangiato i due terzi della torta (da 2 milioni di sterline). E testualmente scrive: «Alla fine del 1999 mi fu detto che avrei ricevuto dei soldi che avrei dovuto considerare come un prestito a lungo termine o un regalo. 600 mila dollari furono messi in un “hedge fund” e mi fu detto che sarebbero stati a mia disposizione». Precisa ancora: «consideravo il pagamento come un regalo. Di cos’altro poteva trattarsi? Non ero un loro dipendente, non li rappresentavo, non stavo facendo nulla per loro, avevo già reso la mia testimonianza ma sussisteva ancora il rischio di futuri costi legali e di una grossa dose di ansia». Il gioco, però, valeva la candela, visto che «sapevano bene che il modo in cui io avevo reso la mia testimonianza avesse tenuto Mr. B. fuori da un mare di guai nei quali l’avrei gettato se solo avessi detto tutto quello che sapevo». Più chiari di così… Seconda verità, davanti ai pm milanesi Fabio De Pasquale e Alfredo Robledo il 18 luglio 2004. Una piena conferma di quanto scritto al suo commercialista. «Nell’autunno del 1999 - dichiara Mills - Carlo Bernasconi mi disse che Silvio Berlusconi a titolo di riconoscenza per il modo in cui ero riuscito a proteggerlo nel corso delle indagini giudiziarie e dei processi, aveva deciso di destinare a mio favore una somma di denaro». Qualche particolare in più, o in meno, circa il viaggio dei soldi: «quanto al percorso del denaro - precisa l’avvocato d’affari - esso affluì su Torrey Global tramite una società BVI che si chiamava Strie, società gestita per me da fiduciari e sul cui conto erano affluiti denari di alcuni clienti nel corso del tempo. In effetti una consistente somma di denaro era stata immessa in Strie da Bernasconi già nel 1997, ma fu solo nel 1999 che Bernasconi mi ha autorizzato a disporne nella misura di 600 mila dollari».
MILLS NAPOLETANO
Terza versione, diametralmente opposta. Mills tira in ballo un armatore napoletano, originario di Monte di Procida, il cinquantasettenne Diego Attanasio. Davanti agli sbigottiti pm, in sostanza, nega che il “regalo” gli sia pervenuto dagli amici di mr.B., e racconta al contrario che deriva dai suoi rapporti di consulenza con Attanasio. Il quale, a sua volta, viene interrogato dai magistrati e - raccontano in procura - nega di aver dato ordine di far confluire somme di danaro dalle Bahamas sul conto aperto da Mills presso una banca di Ginevra. Anche perché - motiva - «in quello stesso periodo ero in carcere a Salerno». L’armatore, infatti, è rimasto impigliato in una storia di corruzione per l’acquisto di un immobile nella locale zona Asi (ora la vicenda è in appello), e detenuto per settanta giorni. Una terza versione densa di interrogativi. E di contraddizioni un po’ su tutti i fronti. La difesa di Berlusconi produce un documento considerato decisivo (sulla cui autenticità si nutrono invece forti dubbi), per l’esattezza un cd rom contenente alcuni documenti relativi a compravendite di navi effettuate dallo stesso Attanasio. Tutti grandi affari: come ad esempio quello del motorimorchiatore “Ravello”, comprato dall’armatore per 715 mila dollari, risistemato e rivenduto ad un prezzo cinque volte superiore alla Manai corporation, società del golfo Persico. Alcuni dettagli vengono descritti da un’altra fonte, il commercialista italo-svizzero Antonio Mattiello, che ha verbalizzato a Ginevra davanti ai pm De Pasquale e Robledo e si era interessato all’operazione. Ecco la ricostruzione di Mattiello: il motorimorchiatore è proprietà della napoletana Diamar, sigla che fa capo ad Attanasio; quindi viene smistato ad una società off shore, ISS, la quale però non ha liquidità perché è appena nata e per acquistare la nave si fa prestare i soldi nientemeno che dalla venditrice, Diamar, per poi restituirli dopo la magica vendita araba. Un giro tortuoso, vorticoso e, soprattutto, misterioso. Ma chi è stato il gran regista dell’operazione? Chi ha creato in un battibaleno la misteriosa ISS? La risposta di Mattiello resa ai pm è inequivocabile: «Sia l’acquisto che la vendita sono state stabilite da David Mills, che ha trattato l’acquisto con la Diamar, cioè con Attanasio». E’ fra le pieghe di questa fantomatica operazione che potrebbero essere finiti i soldi del “regalo” del Cavaliere? Un gran fumo per mimetizzare il tutto? Piste investigative. Tanto più che le acque - è il caso di dirlo - si intorbidano, perché fra i vari giri di denari fanno capolino anche ingenti somme riconducibili a Flavio Briatore - il mago della Formula 1, grande amico di Berlusconi - e Paolo Marcucci, rampollo della dinasty toscana (la sorella Marialina è reginetta di carta stampata e tivvù, il fratello Andrea è stato parlamentare pli sotto l’ala protettivo di Sua Sanità De Lorenzo). Si vedrà.
 Assolti per AVER commesso il fatto
E’ stato uno dei grandi processi del post Tangentopoli, quello sul sangue infetto. Con imputati eccellenti come l’ex ministro della sanità Franco De Lorenzo, il vertice ministeriale e collettore delle tangenti Duilio Poggiolini, Guelfo Marcucci e - ora si viene a sapere - l’avvocato d’affari lib lab (per la serie da Berlusconi a Blair) David Mills. Ricostruisce alcune tappe di quel drammatico processo Elena Coccia, che ha seguito, come avvocato, tante storie di contagiati dal sangue infetto. «Tutto partiva dal fatto che l’Italia ha applicato con un anno di ritardo le normative comunitarie sui test del sangue. E’ solo nel ’95 che ci siamo adeguati, mentre comunque la gran parte dei paesi europei era in regola fin dall’89-90. E’ in questo buco nero, questo periodo di non controllo, che si sono verificati molti casi di infezione per trasfusioni da sangue non testato». Un processo travagliato, nato a Napoli, poi passato a Roma, quindi a Trento, poi tornato nella capitale per perdersi nelle inevitabili nebbie delle stra-annunciate prescrizioni e alla pietra tombale. Comunque spezzettato fin dall’origine.
«Sono state fatte migliaia e migliaia di cause e alla fine di un lungo iter a quasi tutti gli ammalati è stata risarcita un somma intorno ad un milione di vecchie lire, una sorta di equo indennizzo un po’ a tutti per nesso causale». Un nesso che dunque c’era, esisteva per dare pochi spiccioli a pioggia, una mancia che non ti restituisce i patimenti e la salute; quello stesso nesso che magicamente sparisce quando si tratta di inchiodare i vip alle loro responsabilità. Riprende Coccia. «I pubblici ministeri di Trento hanno disposto una perizia tecnica. E’ stato difficilissimo trovare a chi affidarla, per via dei tanti interessi incrociati fra periti, medici e industrie farmaceutiche. Alla fine la scelta è caduta sul professore romano Pasquale Angeloni che ha lavorato per un paio d’anni». Tempi su tempi, e viene partorito il classico topolino. Difficile, molto difficile ricucire dei nessi… . «Con il passaggio a Roma abbiamo capito che tutto sarebbe finito e nessuna giustizia sarebbe mai stata fatta», conclude con amarezza l’avvocato di tante battaglie per le minoranze e per il rispetto dei diritti civili.
Sangue che SCOTTI
Ecco cosa scriveva quasi trent’anni fa - è il numero 14 del 17 luglio 1977 - la Voce in un’inchiesta dedicata a Guelfo Marcucci, alle sue imprese internazionali e anche napoletane. «Ha l’oligopolio del sangue in Italia. E’ infatti proprietario degli stabilimenti ISI della Campania per la produzione di emoderivati e degli stabilimenti AIMA Plasma e derivati spa, con sede a Città Ducale (Rieti), ad altissima densità di capitale e pochi addetti (60). La Biagini di Pisa provvede alla commercializzazione dei prodotti Aima». Ma eccoci al cuore del problema. «Quali le fonti di provenienza del sangue trattato negli stabilimenti Marcucci? In gran parte il terzo mondo, fino al ’75 prevalentemente il Congo ex belga. Qui l’abile finanziere aveva impiantato un centro poliambulatoriale e un centro di raccolta del sangue dove, mediante una tecnica assai sofisticata, veniva prelevata agli ignari donatori una quantità tripla di plasma sanguigno, reimmettendo in circolo i globuli rossi diluiti in apposita soluzione fisiologica».
Ancora: «Marcucci gestisce diversi centri raccolta di sangue in varie parti del mondo, impiantando enormi speculazioni, per gli elevatissimi costi di vendita: basti pensare ai preparati Fattore VII, uno dei quali, il Kryobulin, costa 162.400 lire a confezione!». Poi: «Marcucci ha letteralmente ricevuto in dono dai multinazionali americani dell’ex Merrell i due stabilimenti di Napoli, in via Pietro Castellino, e Sant’Antimo, valore tra i sei e i sette miliardi». Lo “spacchettamento” dell’ex Richardson Merrell (divisa in tre fette e tre sigle) era stato deciso nel ’75, con un provvedimento firmato dall’allora ministro del Bilancio: Giulio Andreotti. A seguirne le fasi di attuazione (compreso il passaggio della costola più grossa al gruppo Marcucci) un giovane sottosegretario (sempre al Bilancio): Enzo Scotti. Ora riemerso dagli ozi e dagli studi maltesi per abbracciare il progetto di Marco Follini della nuova, Grande Balena Bianca. Buon bagno.


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