LAURA BOLDRINI
«Raccoglievo il riso e capivo i campesinos»
A 20 anni il primo viaggio in Venezuela: «Mio padre
non mi parlò per 8 anni, non capiva la mia curiosità»
Pubblichiamo l'articolo di Paolo Di Stefano del 26 luglio 2009, uscito sul Corriere della Sera nella serie «Quel viaggio che mi ha cambiato la vita»
Bisogna tornare al 1981. Laura Boldrini ha vent'anni, ha passato l' infanzia e l'adolescenza nelle Marche, prima in campagna poi a Jesi: «Abituata a vivere in zone rurali, mi sembrava di essere in una metropoli». La metropoli verrà presto, Laura lascerà i genitori e i quattro fratelli minori per trasferirsi a Roma e studiare giurisprudenza. Lì comincia a maturare la svolta. Anzi, probabilmente l'ha già maturata senza saperlo: «In campagna si correva all' aria aperta, si giocava senza paura delle auto, si viveva al ritmo delle stagioni e della natura. Frequentavamo la scuola rurale del posto. Finito il classico a Jesi, arrivai scalpitante a Roma, dove divisi il mio anno in due: per sei mesi avrei studiato a ritmi serratissimi e negli altri sei mesi avrei potuto viaggiare».
Volare via: un impulso giovanile, forse una fuga per chi fino ad allora aveva sofferto di claustrofobia da provincia: «Ci portavamo dietro l' eco del mito americano del viaggio on the road». Se Laura Boldrini ha lavorato alla Fao e se poi è passata alle Nazioni Unite come portavoce del Programma Alimentare Mondiale e da dieci anni come portavoce dell' Alto Commissariato per i Rifugiati, è perché nell' 81 ha preso uno zaino ed è salita su un aereo. Per dove? «America Centrale. Con un'amica, ho deciso di andare in Venezuela a lavorare in una "finca de arroz", un' azienda di riso a Calabozo, un paesino del Sud. Mio padre era contrarissimo, mentre mia madre si mostrò subito più malleabile». I genitori si oppongono finché hanno qualche speranza di essere ascoltati, ma poi in genere finiscono per adeguarsi alle scelte dei figli: «Mio padre non mi ha parlato per otto anni, mi voleva avvocato. È un padre difficile, un uomo molto speciale: riservato, studioso, solitario, tradizionalista, molto religioso, ama la campagna e la musica classica, spesso si esprime in latino e in greco. I suoi princìpi non si coniugavano con la mia curiosità». Ci ride su, Laura Boldrini.
Forse suo padre non capisce ancora oggi perché quella figlia di vent' anni decise di andare a lavorare con i «campesinos» venezuelani: «Mi misero in ufficio, ma io volevo conoscere la vita nei campi: rimasi lì tre mesi, abbastanza per capire come vivono i contadini in quella parte del mondo, li vedevo lavorare duramente per otto ore, poi la sera andavano nei bar a spendere i soldi che avevano guadagnato di giorno». Laura Boldrini ricorda i «chinchorros», le amache in cui passava le notti per evitare le minacce dei serpenti velenosi della savana: «Visitavamo le risaie, una volta invece degli stivali indossai dei sandali, perché faceva caldo: a un certo punto il direttore dell' azienda mi urlò di star ferma, di stare calma, di spostare solo la gamba destra... Vicino al mio piede c' era un "trepassi", un serpentino corallo pericolosissimo, il cui veleno entra subito in circolo». Quel primo viaggio prosegue avventurosamente verso Panama, Costa Rica, Nicaragua, Honduras, Guatemala, poi Messico e Stati Uniti, fino a New York. «Viaggiammo ancora per tre mesi nell' America centrale in pullman, ma a un certo punto mi rubarono la borsa con i soldi e il passaporto: fu un battesimo duro. Non volevo ricorrere alla mia famiglia per attestare la mia indipendenza e in qualche modo me la cavai...».
Ben presto verranno il Sud Est asiatico, l' Africa, l' India, il Tibet. Poi, con gli incarichi internazionali alle Nazioni Unite, le missioni nei luoghi di crisi: Bosnia, Albania, Kosovo, Pakistan, Afghanistan, Sudan, Caucaso, Angola, Zambia, Iran, Iraq, Giordania, Tanzania, Burundi, Ruanda, Sri Lanka, Siria e Yemen. Ma i primi viaggi, quelli per piacere, non si scordano mai: «Viaggiare è la scuola di vita più importante. Guardando il mondo da diversi punti di vista, capisci che tutto è relativo: le culture, le religioni, i costumi, le lingue. Oggi c' è un localismo identitario esasperato che certo non aiuta la conoscenza reciproca. Quel che consiglio ai giovani è di liberarsi dei pregiudizi, perché globalità è curiosità e conoscenza. Oggi, poi, tutto è molto più semplice, il mondo ce l' abbiamo in casa». A proposito di giovani. C' è un' altra svolta nella vita di Laura Boldrini.
Bisogna saltare al 1993, quando nasce Anastasia: «Mia figlia mi ha aperto un' altra dimensione anche nel lavoro. Con la maternità ho scoperto la parte interiore ed emotiva che stava dentro di me, un lato rimasto in ombra. Da allora ho capito che non bisogna mai abituarsi al dolore dell' umanità: ho cominciato a vedere nella sofferenza degli altri gli occhi di mia figlia». La separazione dopo dieci anni di matrimonio, un lavoro sempre più impegnativo, e ancora viaggi. Disagi per la madre e disagi, probabilmente, anche per la figlia: «Non ho mai vissuto Anastasia come una rinuncia, ho solo cercato di organizzarmi al meglio: mi auguro di essere riuscita a darle una serenità e se ci sono delle mie mancanze è per ragioni che credo e spero lei condivida. Da piccola, quando io partivo, Anastasia mi preparava una piccola valigia. Diceva: la devi dare a un bambino che non ha niente, però devi fare la fotografia perché voglio essere sicura...». Mamma Laura allora lavorava al Programma alimentare delle Nazioni Unite. Anastasia pensava che il suo lavoro consistesse nel cucinare per gli altri e diceva: «Ma poveretti, la mamma sa fare solo la pasta in bianco...». Se Anastasia volesse partire fra qualche anno, come fece Laura a suo tempo? Sorriso: «Mia figlia l' ho già portata in Madagascar, in Tanzania, negli Stati Uniti più volte, è stata in Spagna, in Francia, in Inghilterra. Alla sua età io avevo fatto qualche gita al Monte San Vicino... Però avevo già avuto i miei conflitti, a scuola, in famiglia... I conflitti fortificano.
Oggi il mondo non è più pericoloso di allora, ma i ragazzi sono più fragili e meno pronti ad affrontarlo. Se Anastasia mi dicesse: parto da sola, morirei di paura». Scheda Nome: Laura Boldrini Età: 48 Luogo di nascita: Macerata Luogo di residenza: Roma Figli: una, Anastasia Lingue straniere: inglese, spagnolo, francese L' ultima mostra a cui ha assistito: sui Persiani al British Museum di Londra L' ultimo viaggio: Istanbul per piacere Il libro che consiglierebbe: «Chicago» di Al-Aswani L' ultima canzone scaricata nell' iPod: «Amara terra mia» cantata dai Radio Derwish in italiano e in arabo Il piatto che cucina meglio: pasta in bianco, lo dice mia figlia Il progetto a cui sta lavorando: la campagna contro il razzismo e la paura dell' altro; l' Osservatorio sui media Il sogno che realizzerà: è in via di definizione.
Paolo Di Stefano
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