Fermi tutti! L'Italietta dei misteri comincia a svelarsi. Ci è voluta l'intervista a futura memoria di Reginald Bartholomew per strappare vent'anni di misteri di Stato. In soldoni, l'ex ambasciatore americano ha detto (quasi) chiaramente che Tangentopoli iniziò con l'ambasciatore degli Stati Uniti Peter Secchia, attraverso il braccio armato del console di Milano Semler, e terminò sempre per opera del Dipartimento di Stato con la cacciata del diplomatico fellone Secchia sostituito da Bartholomew.
Antonio Di Pietro magistrato Nell'intervista concessa a Maurizio Molinari de ‘'La Stampa'', l'ex ambasciatore ancora schiuma di rabbia con il suo predecessore a Villa Taverna che accese i motori di Mani Pulite attraverso lo stretto rapporto tra il consola meneghino e Di Pietro. Al punto che, quando riepiloga al corrispondente de "La Stampa" Maurizio Molinari l'invio, attraverso il Corriere di Mieli (scoop firmato da Goffredo Bucicni), del famigerato avviso di garanzia che fece cadere il primo governo Berlusconi, esplode in un poco diplomatico: "gliela feci pagare a Mani Pulite". Il Banana ricevette l'avviso di garanzia a Napoli, durante il G7, nel mezzo di mille photo-opportunity con Clinton.
Come avvenne la vendetta di Bartholomew? Basta vedere la prima pagina del Corriere di Mieli, in data 8 dicembre '96, scoop firmato da Maria Antonietta Calabrò: "CASO DI PIETRO: ECCO LE ACCUSE DELLA FINANZA", catenaccio: "Nei nastri di Pacini Battaglia le visite di Lucibello al ministero dei Lavori Pubblici e l'interessamento per gli appalti". Amorale della favola: il ministro delle Infrastrutture del governo Prodi, succeduto all'espulso Berlusconi, alias Amtonio Di Pietro fu costretto alle dimissioni. Un anno prima aveva abbandonato misteriosamente la toga di primo magistrato d'Italia ed ora forse si capiscono alcuni perché.
sigonella
Bartholomew, scrive Molinari, era "convinto che il passaggio alla Seconda Repubblica dovesse essere opera di una nuova classe politica a cui aprì le porte dell'Ambasciata e non solo opera dei magistrati... perché la classe politica si stava sgretolando ponendo rischi per la stabilità di un alleato strategico nel bel mezzo del Mediterraneo".
la base di sigonellaInsomma, Secchia e Semler avevano fatto fuori sbrigativamente i filo-arabi Craxi e Andreotti, precipitati nel gradimento atlantico dopo i fatti di Sigonella, senza prevedere quello che sarebbe successo a un paese privo della quarantennale guida democristiana. Un'Italia allo sbando che costringe Bill Clinton a dirottare Bartholomew dall'ambasciata Usa di Tel Aviv a quella di Roma per ristabilire la situazione nel Mediterraneo e mettere un'argine all'operazione Mani Pulite, che dopo essere partita con il benestare (e forse non solo quello) degli Stati Uniti, rischiava di destabilizzare la "Portaerei Italia".
Peter Secchia
Ps: Ma non finì lì: Bartholomew dopo "essersi vendicato" di Di Pietro, attraverso Cossiga favorì la caduta di Prodi e l'ascesa di D'Alema, amico degli Usa pur se ex comunista. Amicizia ricambiata con il bombardamento della Serbia senza il benestare dell'Onu. E non finì neanche lì...
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- DESTRA ALL’ATTACCO! DOPO BARTHOLOMEW, “FOGLIO” E “GIORNALE” CONTRO DI PIETRO E I SUOI RAPPORTI “SPECIALI” CON GLI USA DURANTE TANGENTOPOLI - 2- QUATTRO VIAGGI, DI CUI UNO ORGANIZZATO DALLE AGENZIE GOVERNATIVE DI SICUREZZA - 3- FERRARA, EX INFORMATORE CIA: “IO LO FACEVO DA PRIVATO, LUI INVECE DOVEVA LEALTÀ ALLA SUA FUNZIONE PUBBLICA DI MAGISTRATO. SERVE UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA - 4- TONINO NON SMENTISCE: VEDEVO IL DIPLOMATICO SEMLER, MA NON SVELAVO SEGRETI - 5- FORMICA: “IL CONSOLATO USA TESSEVA LA TELA CON DI PIETRO. MA POI CON MANI PULITE ESAGERÒ E PUNTARONO SU FINI E D’ALEMA, CHE POI BOMBARDÒ LA SERBIA” -
Paolo Bracalini per "il Giornale"
Antonio Di Pietro magistrato Quando rispuntano i misteri stelle e strisce di Di Pietro lui tira fuori la battuta: «Mi avete scoperto, sono James Tonino Bond». I viaggi americani, e non da turista, di Antonio Di Pietro, punteggiano la sua parabola da pm a politico, dai primi anni 90 (prima e durante mani pulite) al 2000 con la neonata Italia dei valori. Prima l'ex ambasciatore Usa Reginald Bartholomew poi l'ex console Peter Semler, intervistati dalla Stampa, hanno raccontato i rapporti confidenziali tra la diplomazia americana in Italia e il pm di Mani pulite. Semler accenna anche a un primo viaggio di Di Pietro negli Usa, organizzato dall'Usia (United States Information Agency), un ente governativo. Siamo nell'ottobre del 1992.
Cosa va a fare negli Usa e chi incontra? «Di Pietro ci ha chiesto di mantenere il riserbo sui suoi movimenti» spiegò Bill Reinckins, uno dei funzionari dell'Usia. In quel viaggio (di oltre due settimane...) Di Pietro interrogherà un costruttore chiamato in causa da Salvatore Ligresti, ma farà anche dell'altro. Incontri di alto livello, magistrati americani e capi del Fbi, «si dice che venga ospitato anche da quelli della Kroll, la superagenzia di investigazioni private che da sempre lavora anche per l'intelligence Usa» scrive l'ex amico (ora in causa) Mario Di Domenico nel suo libro.
antonio di pietro silvana mura in america nel duemila
I connazionali che lo riconoscono sulla Quinta strada con un hot dog fumante in mano lo fermano per gli autografi. Nel '92 Di Pietro non è solo famoso, è un eroe nazionale, «un modello per i 30enni» scrive Famiglia cristiana. Gli americani se lo studiano bene, vogliono sapere chi è e cosa vuole fare. Due anni dopo, nel '94, qualche mese prima di abbandonare la toga, Di Pietro è ancora in volo sull'Atlantico. Stavolta è ospite ufficialmente della New York University, che lo ha invitato a tenere una conferenza su «L'evolvere dei sistemi di corruzione nella moderna democrazia». Ma anche quel viaggio, che lo porterà poi in California, è l'occasione per incontri istituzionali.
Antonio Di Pietro magistrato I nomi che si fecero sono quelli di Rudy Giuliani e Mario Cuomo, sindaco e governatore di New York, Henry Kissinger (ex segretario di Stato), oltre a «esponenti del Fbi». Accolto da una folla di italo-americani a San Francisco, il pm parla già da politico: «Noi non siamo nuovi Robin Hood, siamo solo dei servitori dello Stato». Dieci mesi dopo, riecco Di Pietro «l'amerikano». Stavolta è a Washington, invitato per un ciclo di conferenze da due think tank di area repubblicana, l'American Enterprise Institute e il Centro studi strategici, dove il relatore, Edward Luttwak, lo presenta come «un eroe per il 92 per cento degli italiani» esprimendo l'augurio che «uno degli uomini nuovi della Seconda Repubblica possa essere proprio Di Pietro».
Antonio Di Pietro Racconterà poi Piero Rocchini, fondatore a metà anni '90 del movimento politico Mani pulite, embrione dell'Idv: «Quando Tonino tornò in Italia lo sentii cambiato. Era come se lì negli Usa il nostro progetto di dar vita a un movimento politico fosse stato accolto con freddezza. Da quel momento, Di Pietro non parlò più di rinnovare la classe politica italiana e quello che, nelle nostre intenzioni, doveva essere un progetto autonomo dai partiti, si trasformò in un discorso di appoggio. Ebbi come l'impressione che certi circoli americani gli avessero fatto intendere di preferire un Di Pietro dentro al sistema dei partiti, anziché fuori...».
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Una coincidenza storica si trova: nel 1996 Di Pietro, ancora senza un suo partito, entra nel governo Prodi come ministro dei Lavori pubblici. Dirà quell'anno l'ex pm Tiziana Parenti in un'intervista a Repubblica, querelata da Di Pietro: «Prima di far partire l'onda d'urto di Tangentopoli Di Pietro è andato negli Stati Uniti, al dipartimento di giustizia, per avere il viatico, la legittimazione».
L'ultimo viaggio (documentato) negli Usa, tra Washington e la Florida, è del 2000, quando Di Pietro è capo di un nuovo partito da lui fondato a San Sepolcro in una sede del Cepu, l'Italia dei valori. Servono finanziamenti, e siccome in Italia non si trovano, Tonino comunica ai suoi un «e allora ce ne jammo in America». Una foto lo ritrae su un divano del «Ponte Vedra Beach Resort» di Miami, nell'autunno del 2000, insieme a Di Domenico, al facoltoso imprenditore della Florida Randy Stelk (all'epoca indagato per frode fiscale) e a un sedicente ingegnere, Gino A. G. Bianchini, che poi staccherà un assegno post datato da 50mila dollari per il partito (mai riscosso). Misteri su misteri sulla rotta Molise-Usa.
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2- DIPLOMATIKO AMERIKANO CONFERMA: LA SERA ANDAVAMO DA DI PIETRO
Giuliano Ferrara per "Il Foglio"
Eugenio Scalfari intervistò Aldo Moro dopo mesi dal suo assassinio in un carcere del popolo, e merita il laticlavio a vita. Maurizio Molinari ha intervistato Reginald Bartholomew un mese prima della morte, e mentre cercava conferma di quanto l'ambasciatore americano a Roma (19931997) gli aveva detto, l'intervistato è morto. Tre giorni dopo esce il dialogo tra i due, avvenuto in un ristorante dell'Upper East Side di Manhattan.
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Reggie Bartholomew dice all'inviato della Stampa: ho messo le cose a posto, com'era necessario, perché al consolato americano a Milano si erano fatti mallevadori dell'attacco giudiziario di Antonio Di Pietro ai partiti politici, che erano al centro di un traffico di finanziamenti illegali, con metodi barbarici di carcerazione preventiva e obiettivi ed effetti politicamente destabilizzanti. La conferma è arrivata quattro giorni dopo la morte del "teste", ieri, e da parte di un vivo, che suona il pianoforte agli Hamptons, dove vive in ritiro: ecco a voi il diretto interessato, l'ex console Usa a Milano Peter Semler.
ANTONIO DI PIETRO Risultato. Il capostipite dei magistrati che fanno politica utilizzando mezzi di giustizia, l'ex poliziotto dalle mani callose e dalla parlata fantasiosa ma sommamente imperfetta, e dalle manette facili, tramicchiava nella serie B dei servizi diplomatici (e altri servizi) americani, informava con largo anticipo sulle sue indagini il signor console, lo vedeva spesso, e c'è voluto un ambasciatore di carriera del rango di Reggie per mettere la parola fine allo scandalo sommerso, che era un segreto di Pulcinella, di un moralizzatore in crociata che faceva sin dall'origine politica e carriera cercando appoggi esteri contro la classe dirigente del suo paese.
ANTONIO DI PIETRO Particolare che il buon Tonino nega, per la gola, con parole di smentita decisamente grottesche, raccolte da Mattia Feltri sempre ieri sul giornale di Torino. Si può parlare con la Cia, da insider del palazzo politico, per spiegare e legittimare le scelte di un governo al suo alleato, sul finire della Guerra fredda (come ha fatto chi scrive, rendendolo noto alla prima buona occasione). Diverso è sputtanare la funzione inquirente, cosa non privata ma di rilievo pubblico nell'amministrazione del diritto penale, intortando e facendosi intortare da un diplomatico minore ma operativo e fattivo, disgustato dalla Roma politica e dal suo stesso ambasciatore Peter Secchia, e voglioso di sangue istituzionale quando l'Italia era diventata irrilevante perché la Guerra fredda era appena finita.
ANTONIO DI PIETRO
Se uno vince un concorso ed entra nelle carriere riunite dei pm e dei giudici, deve lealtà rigorosa al suo codice deontologico e alla sua funzione super partes, non è un giornalista-insider privato. Quella lealtà è palesemente mancata, e per ragioni forti. In altra occasione, secondo la testimonianza di Francesco Saverio Borrelli, Tonino disse del presidente del Consiglio pro tempore, Silvio Berlusconi: "Io a quello lo sfascio". Il tipo presiede un carrozzone chiamato l'Italia dei valori. Un'inchiesta parlamentare sulle gesta di simili pm politici sarebbe utile. O no?
3- MANI PULITE E QUEI RAPPORTI CON IL CONSOLATO DEGLI USA: IL VIAGGIO ORGANIZZATO DALL'INFORMATION AGENCY - DI PIETRO: VEDEVO IL DIPLOMATICO, MA MAI SVELATO SEGRETI IN AMERICA
Cesare Giuzzi per il "Corriere della Sera"
Antonio Di Pietro
Nel 1992, Antonio Di Pietro, allora pubblico ministero della Procura di Milano, si recò insieme
all'ufficiale dei carabinieri Roberto Zuliani negli Stati Uniti per una decina di giorni
I MOTIVI
Il Corriere della Sera scrisse che il magistrato di punta del pool «Mani Pulite» ebbe in quella trasferta fitti colloqui con gli uomini del Federal bureau of investigation e con alcuni magistrati federali. Incontri che Di Pietro smentì in modo categorico. Ufficialmente,
il viaggio dell'allora magistrato fu organizzato dalla United states information agency (Usia) e dalla ambasciata statunitense
Antonio Di Pietro
Mani Pulite esisteva prima dell'arresto di Mario Chiesa? Qualcuno sapeva dell'indagine che in meno di tre anni avrebbe portato all'azzeramento della Prima Repubblica? Vent'anni dopo l'arresto del presidente del Pio Albergo Trivulzio (17 febbraio '92) sbucano nuovi interrogativi sulla più grande inchiesta per corruzione della storia giudiziaria italiana.
Antonio Di Pietro
Un mistero infittito dalle rivelazioni a La Stampa, pochi giorni prima della morte, dell'ex ambasciatore statunitense Reginald Bartholomew e dalle parole dell'allora console a Milano Peter Semler. Il primo venne inviato a Roma nel '93 per guidare l'ambasciata e «normalizzare» i rapporti con il nostro Paese, il secondo prese l'incarico a Milano nel '90 e visse da vicino la stagione di Tangentopoli. Bartholomew aveva in realtà un secondo incarico. Quello di spezzare il legame tra gli Usa e i magistrati di Mani Pulite. Perché, a suo dire, «qualcosa nel consolato americano non quadrava»: la diplomazia aveva un legame diretto con il pool.
Così, dopo l'insediamento di Bill Clinton alla Casa Bianca, venne appunto deciso di mandare in via Veneto Bartholomew: «Gli Usa erano preoccupati della deriva dei magistrati: nell'intento di combattere la corruzione politica dilagante il pool era andato ben oltre violando sistematicamente i diritti degli imputati», sosteneva Bartholomew. L'ex console Semler ha confermato che, in effetti, incontrò Antonio Di Pietro quando ancora era uno sconosciuto pubblico ministero il quale gli annunciò alcuni mesi prima dell'arresto che «c'era un'inchiesta su Mario Chiesa e che le indagini avrebbero raggiunto Bettino Craxi e la Dc». Uno scenario che vorrebbe, quindi, l'inchiesta nata a tavolino con obiettivi ben precisi.
jcon57 reg bartholomew paolo bulgari
Antonio Di Pietro
Una tesi smentita per primo dall'ex pm Antonio Di Pietro, oggi leader dell'Idv: «Non potevo anticipargli il coinvolgimento dei vertici di Dc e Psi perché nel novembre 1991 già indagavo su Mario Chiesa ma non avevo idea di dove saremmo andati a parare».
Da Washington, ricorda Di Pietro, non arrivarono mai pressioni né in un senso né nell'altro. Voci di eventuali ingerenze americane vengono smentite con fermezza anche dall'allora magistrato guida del pool Gerardo D'Ambrosio. «Personalmente non ebbi mai contatti con americani. E mi battei per il massimo rispetto dei diritti di difesa e contro detenzioni non necessarie. Gli arresti non venivano decisi dai pm ma dal gip». Ancora più netto l'ex procuratore capo Francesco Saverio Borrelli: «Mi stupiscono queste dichiarazioni perché provengono da un americano e se ci sono prassi poliziesche o carcerarie contrarie ai diritti dell'uomo sono proprio certe prassi seguite negli Usa». Gherardo Colombo e Piercamillo Davigo si sono invece affidati a un comunicato del legale Francesco Borasi contro «eventuali diffamazioni».
IL CONSOLE Peter Semler Di Pietro, tuttavia, non ha negato i rapporti con Semler. «Incontri cordiali nei quali non violai il segreto istruttorio». Su questo punto Giampiero Borghini, sindaco di Milano nel biennio della tormenta ('92-93) chiede chiarezza: «Un magistrato che entra in un consolato per parlare di un'indagine? Se avesse parlato con la diplomazia dell'Unione Sovietica cosa sarebbe accaduto? Oggi mi rendo conto - risponde Borghini - che qualcuno sapeva dell'inchiesta, non solo gli Usa. E si smarcò prima della caduta».
GIULIANO FERRARA Uomo chiave della diplomazia Usa a Milano era ed è il consigliere politico Giuseppe Borgioli. Ben introdotto nelle segreterie di partito e nel mondo imprenditoriale milanese, era il braccio destro del console Semler: «Non ricordo nessun episodio in particolare - dice Borgioli al telefono - ma furono anni di grande cambiamento». Quale poteva essere l'interesse degli Usa su Mani Pulite? «Bettino non si sbilanciava mai, ma diceva che l'America non aveva mandato giù la vicenda di Sigonella, né aveva gradito la politica estera di Giulio Andreotti», sottolinea Paolo Pillitteri, ex sindaco ('86-92) e cognato di Craxi. Bobo e Stefania Craxi chiedono a Di Pietro di «vuotare il sacco» e invocano una Commissione parlamentare d'inchiesta.
4- «COSÌ LE TOGHE DIEDERO INIZIO ALLA GUERRA CIVILE»
Tommaso Labate per il "Corriere della Sera"
ILDA BOCCASSINI E FRANCESCO SAVERIO BORRELLI
ROMA - «Ci faccia caso. In fondo è uno dei punti oscuri di quegli anni. E la domanda, è ancora senza risposta».
Quale domanda, Formica?
«Perché, a un certo punto, Di Pietro decide di lasciare la magistratura?».
Perché, secondo lei?
«Secondo me, Di Pietro capì che quel sistema di servizi e poteri che aveva alle spalle era svanito. E si chiamò fuori portando con sé quelle ‘‘verità'' vere o presunte che gli avrebbero consentito di rimanere a galla com'è stato nell'ultimo ventennio».
Rino Formica - classe '27, fama da lucidissimo analista politico, ex ministro delle Finanze, una prima fila del Psi di Craxi - interviene sulle rivelazioni postume di Reginald Bartholomew, l'ex ambasciatore Usa a Roma morto da pochi giorni, che sostenne di aver spezzato il legame tra Washington e Mani Pulite.
GHERARDO COLOMBO C'era davvero questo legame?
«Certo. Gli Usa avevano dei problemi nell'Europa del post '89. Uno di questi era l'Italia. E il consolato di Milano tesseva la tela col pm Di Pietro».
Dc e Psi non garantivano più Washington?
«Chi aveva governato nel dopoguerra aveva dimostrato una certa stanchezza. Mani Pulite fece
il resto».
Che cosa cambia quando, con Clinton, arriva a Roma l'ambasciatore Bartholomew?
«Clinton capì che l'Italia, nel biennio '92-93, era un Paese sull'orlo della guerra civile. C'erano tutte le avvisaglie. Pensi anche alle tv di Berlusconi».
RINO FORMICA Schierate con la Procura di Milano.
«Che cos'erano se non vere e proprie armi di guerra civile?».
Di fronte alla guerra civile, insomma, gli Usa rompono con Di Pietro.
«E puntano sugli eredi di quelle tradizioni storicamente rimaste fuori dal governo. E li trasformano in politici che rinnegano il loro passato. Puntano su Massimo D'Alema, trasformandolo grazie a Cossiga nell'uomo che avrebbe bombardato la Serbia. E puntano su Gianfranco Fini, trasformandolo nel politico post fascista che avrebbe fatto pace con Israele. L'Italia, però, pagò un costo altissimo. Soprattutto in termini di sovranità».
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