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venerdì 26 aprile 2013

NIK ILNERO


Litigi a 5 Stelle: Nik il Nero, Giovanni Favia e la fitta al bicipite

Il responsabile video del Movimento al Senato ebbe un incarico temporaneo alla Regione Emilia Romagna ma poi venne licenziato dall'ex consigliere in vista di un regolare bando. Da lì il rancore verso il "traditore" sfociato nella serata in cui gli attivisti bolognesi si rivoltarono contro i giornalisti e uno di loro disse: "Stiamo diventando fascisti"

Litigi a 5 Stelle: Nik il Nero, Giovanni Favia e la fitta al bicipite
Brindisi e feste, poi si comincia a lavorare. Servono collaboratori e Favia ha un amico disoccupato che gli chiede aiuto. I video, Nik, li ha imparati a fare nelle giornate passate con gli attivisti: interviste a politici, a giornalisti: “Con una telecamerina – diceva – si può abbattere il muro delle ingiustizie”. Ma in Regione servono professionisti. E poi il Movimento che fa del merito una bandiera, che chiede il curriculum anche a Zagrebelsky, non può scegliere un collaboratore solo perché è un amico di vecchia data.
Favia, comunque, un contratto di prova a Nik lo fa. Lo avverte però che si tratta di una situazione temporanea, che nel frattempo farà colloqui con altre persone. E alla prima scadenza, un paio di mesi dopo, non gli rinnova più il contratto. È lì che Nicola Virzì si mette davanti al computer e butta giù tutto il suo rancore, scusandosi per il suo “pessimo italiano”: “Ultimamente avrete notato il mio pessimo umore alle riunioni, ma cazzo io non mi ci ritrovo più (…) in Regione mi sento un estraneo, non me l’immaginavo così, pensavo di rivedere le nostre facce in quegli uffici a lavorare come un tempo, con gli scazzi e le risate che si sarebbero sentite fino all’atrio di quel triste palazzo della Regione, avremmo rinfrescato l’ambiente (…) li è tutto blu petrolio e grigio con persone tristi e incravattate e noi ci stiamo adattando (…) Per fare politica a quanto pare ci vogliono dei tecnici e non il cuore delle persone, bisogna sottostare a delle regole che io non accetto, io sono libero e voglio esprimermi come so fare, semplicemente , in modo diretto senza paura, non voglio essere un professionista voglio rimanere Nik, con i miei difetti con il mio entusiasmo. (…) in Regione hanno deciso giustamente di fare una sorta di bando per un video operatore e altre figure che collaborino con loro chiedendo il curriculum, io non potrei farlo per tre motivi: non ho studiato per fare il video operatore, non voglio soldi dal movimento, non potrei mai e poi mai snaturare il mio modo di riprendere e montare i video per seguire un target che a me non piace”.
È da lì che il “caso Favia” comincia a montare. La campagna di Nik contro il consigliere regionale è feroce. Su Facebook, su Twitter e poi dalla cabina del suo camion – che nel frattempo è diventato il suo nuovo lavoro – manda “editoriali” di fuoco: “I panni sporchi – dice – li lavano in casa solo i vecchi partiti”. A novembre del 2012, durante una riunione del Movimento bolognese, è lui che aizza gli attivisti a gridare “Vergogna” contro i giornalisti.
Un consigliere di quartiere, Pasquale Rinaldi, cerca di calmare la situazione. Lui gli fa capire che è meglio che stia zitto: “Ad un certo punto – raccontò all’epoca Rinaldi – sento una fitta lancinante al bicipite sinistro e voltando la testa mi accorgo che Nik il nero mi ha afferrato per il braccio, stringendo con una forza inaudita. A quel punto mi trascina per tutta la sala, mi avrà trascinato per una decina di metri credo, e nel frattempo continuava ad insultarmi dicendomi che mi dovevo fare i cazzi miei e che non dovevo rompergli i coglioni, ecc. Siamo ostaggio dei violenti – proseguiva Rinaldi – e non abbiamo strumenti per distinguerci da costoro. Stiamo diventando fascisti ed ho paura”. Martedì Nik è arrivato al Senato. Lo ha voluto Casaleggio in persona. IL FATTO

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