Siria, stragi “agghiaccianti” e umanità a fini bellici
Si annuncia un nuovo Irak, forse un nuovo Afganistan o molto più probabilmente una nuova Libia. E a darne la notizia per primo è stato, non a caso, il Wall Street Journal che l’altro ieri ha riportato le parole di un alto funzionario dell’amministrazione Usa, secondo il quale la decisione di Damasco di consentire agli ispettori dell’Onu la visita della zona dove sarebbe stato utilizzato il gas nervino, arriva “troppo tardi per essere credibile”.
Il ragionamento è in qualche modo sorprendente: “Se il governo siriano non aveva nulla da nascondere e voleva dimostrare al mondo di non avere fatto uso di armi chimiche in questa circostanza, avrebbe dovuto far cessare gli attacchi nella zona e consentire un accesso immediato dell’Onu cinque giorni fa, le prove disponibili sono state inquinate in maniera significativa a seguito dei continui bombardamenti del regime e di altre azioni intenzionali avvenute negli ultimi cinque giorni”. C’è allora da domandarsi su quali basi che non siano le sole dichiarazioni dei ribelli veri o presunti, si afferma che è stato usato il gas, visto che in pochi giorni le prove sarebbero ormai cancellate. E c’è da chiedersi come mai esse in 24 ore siano addirittura diventate “inequivocabili”.
Così ovviamente non è, anche se i media mainstream si affannano a raccontare leggende, tipo quella che i gas nervini non sono rilevabili nei corpi delle vittime. Il gas in sé, si, ma le alterazioni che esso apporta alla acetil-colina-esterasi, sono facilmente rilevabili con esami ematologici. Così non è perché tracce chimiche rimarrebbero comunque sugli abiti degli scampati e dei feriti oltre che sulla scena della battaglia, mentre gli ordigni destinati a questo uso hanno caratteristiche note e assolutamente riconoscibili. Così non è perché il rapporto tra vittime denunciate (1300) e abitanti non ha senso in relazione all’uso di questi gas che sono letali
anche a dosi bassissime. Altro che la “larga scala” di Kerry. Così non è perché foto e brevi filmati diffusi questi giorni parrebbero dimostrare – al contrario di come vengono presentati – che il totale scoordinamento motorio dovuto ai gas che attaccano le sinapsi delle cellule nervose, non si è affatto verificato. E non è presente nemmeno in quella davvero agghiacciante dei bambini sotto ghiaccio che sputtana in maniera grottesca il maneggio e il commercio di umanità per fini bellici. Così non è perché assieme ai morti ci dovrebbero essere anche molte decine di migliaia di feriti con lesioni tipiche e sindromi ben conosciute, tra cui la più comune è la cecità, mentre i 3500 di cui parla Medici senza frontiere (non presente in Siria se non come sigla di supporto ai sanitari locali) che si sarebbero presentati agli ospedali di Damasco lasciano piuttosto perplessi: chi li ha portati fin là senza le tute protettive necessarie ai soccorritori per non essere a loro volta intossicati? Come è possibile che 355 di essi siano morti dopo aver affrontato molti chilometri di spostamento? Insomma ben poco, anzi nulla funziona in questa storia, compresa l’insensatezza di usare armi chimiche proprio nel momento in cui la guerriglia perde terreno. Ma si sa che a questo si può tranquillamente porre rimedio, creando da soli quello sconfinamento della “linea rossa” che oggi viene addebitata a Damasco. Anzi a dire la verità tutto questo è ancora più grottesco perché arriva in contemporanea con le rivelazioni del Daily Mail sulle conseguenze della guerra chimica in Vietnam: 150 mila bambini venuti alla luce con gravissime malformazioni o affetti da cancro e diabete già alla nascita.
Una cosa comunque è certa: che le possibilità di dimostrare l’uso effettivo delle armi chimiche ci sarebbe eccome anche a molti giorni di distanza dagli eventi e nonostante i tentativi di confondere le acque. Esiste a tal punto che un’analisi anche superficiale sarebbe in grado di svelare se l’eventuale gas arriva dalla Russia oppure dagli Usa o da qualche Paese europeo o ancora da qualche più artigianale fabbricante di morte. Cosa che di certo solleverebbe qualche imbarazzo. Ma l’atteggiamento riportato dal Wall Street Journal ci fa capire bene gli ultimi sviluppi di ieri e cioè che l’ultima cosa a cui si pensa è l’accertamento dei fatti, che ci troviamo di fronte a una verità prefabbricata destinata ad essere usata come pretesto e che trasforma in menzogna strumentale anche una possibile realtà. Che qualunque cosa possano scoprire gli ispettori dell’Onu non conterà nulla di fronte alla evidente volontà di intervenire, come del resto è stato per l’Irak.
Il premio nobel per la pace, dopo una serie impressionante di disastri, minaccia dunque la guerra e una guerra di quelle che hanno ampiamente dimostrato la loro perversa inutilità finendo per creare situazioni ancora più drammatiche di quelle che ufficialmente volevano sanare. Per la Siria non si è fatto nulla fin dall’inizio della guerra civile e adesso Obama si trova di fronte a due prospettive: o subire la permanenza del feroce Assad nel frattempo legatosi alla Russia e dall’Iran, oppure assistere alla vittoria dei ribelli ormai egemonizzati dell’integralismo islamico. L’intervento dunque si rende necessario per tornare a contare qualcosa in Siria, per rimettere in gioco gli Usa e e determinare gli esiti di una futura pacificazione. Per riavere qualche voce in capitolo, senza rendersi conto dei guasti che ciò comporta, senza accorgersi che ogni invasione, no fly zone, scarica di missili, rappresenta una sconfitta futura oltre che la palpabile dimostrazione di una leadership così usurata e in declino da potersi fondare solo sulle armi.
Il ragionamento è in qualche modo sorprendente: “Se il governo siriano non aveva nulla da nascondere e voleva dimostrare al mondo di non avere fatto uso di armi chimiche in questa circostanza, avrebbe dovuto far cessare gli attacchi nella zona e consentire un accesso immediato dell’Onu cinque giorni fa, le prove disponibili sono state inquinate in maniera significativa a seguito dei continui bombardamenti del regime e di altre azioni intenzionali avvenute negli ultimi cinque giorni”. C’è allora da domandarsi su quali basi che non siano le sole dichiarazioni dei ribelli veri o presunti, si afferma che è stato usato il gas, visto che in pochi giorni le prove sarebbero ormai cancellate. E c’è da chiedersi come mai esse in 24 ore siano addirittura diventate “inequivocabili”.
Così ovviamente non è, anche se i media mainstream si affannano a raccontare leggende, tipo quella che i gas nervini non sono rilevabili nei corpi delle vittime. Il gas in sé, si, ma le alterazioni che esso apporta alla acetil-colina-esterasi, sono facilmente rilevabili con esami ematologici. Così non è perché tracce chimiche rimarrebbero comunque sugli abiti degli scampati e dei feriti oltre che sulla scena della battaglia, mentre gli ordigni destinati a questo uso hanno caratteristiche note e assolutamente riconoscibili. Così non è perché il rapporto tra vittime denunciate (1300) e abitanti non ha senso in relazione all’uso di questi gas che sono letali
anche a dosi bassissime. Altro che la “larga scala” di Kerry. Così non è perché foto e brevi filmati diffusi questi giorni parrebbero dimostrare – al contrario di come vengono presentati – che il totale scoordinamento motorio dovuto ai gas che attaccano le sinapsi delle cellule nervose, non si è affatto verificato. E non è presente nemmeno in quella davvero agghiacciante dei bambini sotto ghiaccio che sputtana in maniera grottesca il maneggio e il commercio di umanità per fini bellici. Così non è perché assieme ai morti ci dovrebbero essere anche molte decine di migliaia di feriti con lesioni tipiche e sindromi ben conosciute, tra cui la più comune è la cecità, mentre i 3500 di cui parla Medici senza frontiere (non presente in Siria se non come sigla di supporto ai sanitari locali) che si sarebbero presentati agli ospedali di Damasco lasciano piuttosto perplessi: chi li ha portati fin là senza le tute protettive necessarie ai soccorritori per non essere a loro volta intossicati? Come è possibile che 355 di essi siano morti dopo aver affrontato molti chilometri di spostamento? Insomma ben poco, anzi nulla funziona in questa storia, compresa l’insensatezza di usare armi chimiche proprio nel momento in cui la guerriglia perde terreno. Ma si sa che a questo si può tranquillamente porre rimedio, creando da soli quello sconfinamento della “linea rossa” che oggi viene addebitata a Damasco. Anzi a dire la verità tutto questo è ancora più grottesco perché arriva in contemporanea con le rivelazioni del Daily Mail sulle conseguenze della guerra chimica in Vietnam: 150 mila bambini venuti alla luce con gravissime malformazioni o affetti da cancro e diabete già alla nascita.
Una cosa comunque è certa: che le possibilità di dimostrare l’uso effettivo delle armi chimiche ci sarebbe eccome anche a molti giorni di distanza dagli eventi e nonostante i tentativi di confondere le acque. Esiste a tal punto che un’analisi anche superficiale sarebbe in grado di svelare se l’eventuale gas arriva dalla Russia oppure dagli Usa o da qualche Paese europeo o ancora da qualche più artigianale fabbricante di morte. Cosa che di certo solleverebbe qualche imbarazzo. Ma l’atteggiamento riportato dal Wall Street Journal ci fa capire bene gli ultimi sviluppi di ieri e cioè che l’ultima cosa a cui si pensa è l’accertamento dei fatti, che ci troviamo di fronte a una verità prefabbricata destinata ad essere usata come pretesto e che trasforma in menzogna strumentale anche una possibile realtà. Che qualunque cosa possano scoprire gli ispettori dell’Onu non conterà nulla di fronte alla evidente volontà di intervenire, come del resto è stato per l’Irak.
Il premio nobel per la pace, dopo una serie impressionante di disastri, minaccia dunque la guerra e una guerra di quelle che hanno ampiamente dimostrato la loro perversa inutilità finendo per creare situazioni ancora più drammatiche di quelle che ufficialmente volevano sanare. Per la Siria non si è fatto nulla fin dall’inizio della guerra civile e adesso Obama si trova di fronte a due prospettive: o subire la permanenza del feroce Assad nel frattempo legatosi alla Russia e dall’Iran, oppure assistere alla vittoria dei ribelli ormai egemonizzati dell’integralismo islamico. L’intervento dunque si rende necessario per tornare a contare qualcosa in Siria, per rimettere in gioco gli Usa e e determinare gli esiti di una futura pacificazione. Per riavere qualche voce in capitolo, senza rendersi conto dei guasti che ciò comporta, senza accorgersi che ogni invasione, no fly zone, scarica di missili, rappresenta una sconfitta futura oltre che la palpabile dimostrazione di una leadership così usurata e in declino da potersi fondare solo sulle armi.
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