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martedì 6 dicembre 2016
lunedì 5 dicembre 2016
DAGOSPIA... LAPO ELKAN -
DAGONEWS
La disavventura di Lapo è servita (anche) a far riaccendere lo scontro tra John Elkann e Andrea Agnelli. Il cugino monociglio ha molte ragioni per essere accigliato, e i suoi malumori nascono dalla gestione del patrimonio di famiglia, in cui si sente sempre più ''cadetto''.
E' vero, come rivela Moncalvo nel suo ultimo libro, che Lapo fu liquidato con 163 milioni per uscire dalla gestione di Exor e Fiat, ma è anche vero che lo scorso aprile, dopo la quotazione, Lapone è entrato nel cda della Ferrari insieme a John.
Una poltrona bramata dal figlio di Umberto, cui non bastava più essere presidente (di campanello) della Juventus. Anche Marchionne era contrario all'ingresso di Lapo nel consiglio della ''sua'' Maranello, ma Andrea in quel periodo aveva troppi casini familiari, tra la fine del matrimonio con Emma Winter e l'inizio della storia con Deniz, la moglie del suo (ex) migliore amico Francesco Calvo, dirigente juventino carissimo anche a John che se n'è andato al Barcellona sbattendo la porta e le corna.
Da quel momento le cose non sono migliorate, anzi: il controllo della squadra è scivolato dalle mani di Andrea man mano che aumentavano le copertine dei settimanali di gossip sulle sue notti romantiche con Deniz.
John Elkann non ha ruoli ufficiali nella Juve, ma essendo l'azionista di maggioranza e presidente della Exor, è di fatto il proprietario. E sia Giuseppe Marotta, amministratore delegato (parte sportiva), che Aldo Mazzia, chief financial officer e chief executive officer (parte finanziaria), rappresentano la longa manus di ''Yaki'' nella società sportiva.
Che si è fatta sentire molto negli ultimi mesi: mentre Andrea si chiudeva in un silenzio stampa insolito, Marotta parlava a destra e a manca scavalcando e contraddicendo il figlio di Umberto Agnelli: Adriano Galliani che può fare il presidente di Lega, il sostegno a Tavecchio, le strategie della squadra in Champions, la presentazione di Higuain senza Agnelli jr. Non solo: fino a due settimane fa, l'ingresso di Lapo anche nella Juve (è amatissimo dai tifosi, uno dei pochi a non aver mai rinnegato la fede bianconera, tatuata sul braccio) era dato da molti per probabile.
Ora la situazione è cambiata, e Andrea prova a giocarsi la figuraccia del cugino per riprendere il controllo della squadra. Sogna l'uscita di Marotta e di avere un ruolo più operativo. Punta la poltrona in Ferrari e minaccia anche di andarsene all'estero con la sua Deniz se verrà tenuto ancora lontano dalla prima linea.
Ma se il ramo Elkann è fresco di gaffe, anche lui ne rischierà un'altra a breve: poiché Calvo non ha concesso la separazione a Deniz, il figlio che lei aspetta da Andrea dovrà essere espressamente disconosciuto, visto che la legge presume che il figlio di una donna sposata sia del marito. Un momento ''Beautiful'' che cozza decisamente con l'austerità sabauda predicata (e praticata?) dal compunto John.
Tra i due, ci si mette pure Allegri. Il suo contratto scadrà nel 2018, ma l'allenatore toscano vorrebbe seguire le orme di Conte e cimentarsi con una strada straniera il prima possibile. La sua intenzione è andarsene un anno prima, alla fine di questo campionato.
ALLEGRI MAROTTAANDREA AGNELLI E JOHN ELKANN IN VISITA ALLA SQUADRAMAROTTAANDREA AGNELLI E JOHN ELKANNLAPO ELKANN ANDREA AGNELLI OSHOANDREA AGNELLI E BEPPE MAROTTAANDREA AGNELLI E JOHN ELKANNHIGUAIN - PARATICI - MAROTTAMONTEZEMOLO MARIO CALABRESI JOHN ELKANN ANDREA AGNELLILAPO+ELKANN+EMMA+WINTER+JUVENTUS+FC+V+FC+INTERNAZIONALE+0TWJ1EVLFDTLJUVENTUS SAMPDORIA JOHN E LAPO ELKANN SUGLI SPALTI 7LAPO ANDREA AGNELLII GIOVANISSIMI ANDREA AGNELLI COL PADRE UMBERTO E JOHN ELKANN COL NONNO GIANNIAGNELLI NIPOTI LAPO JOHN ELKANN
martedì 29 novembre 2016
PARTITO DEMOCRATICO...
Marco Travaglio Forever
110 INDAGATI NEL PARTITO DEMOCRATICO CHE GRAZIE AL SÌ SARANNO SALVI DALLE MANETTE , DA INDAGINI, INTERCETTAZIONI E ARRESTI! E MOLTI SARANNO PRONTI A DIVENTARE SENATORI
domenica 27 novembre 2016
POLITICHE SOCIALI
http://www.regioni.it/newsletter/n-2819/del-28-10-2015/il-ddl-di-stabilita-2016-e-le-politiche-sociali-14502/
sabato 26 novembre 2016
ISRAELE PALESTINA
by Donato on novembre 15, 2016 in Notizie
La seguente è una trascrizione delle dichiarazioni preparate dal direttore esecutivo della Ong israeliana B’Tselem, Hagai El-Ad, e da lui lette davanti ai membri del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite in una sessione speciale della “formula Arria,” su “Illegalità degli insediamenti israeliani: ostacoli alla pace e soluzione dei due Stati” a New York, il 14 ottobre 2016.
3_logo_homepage_5B’Tselem è un’organizzazione non governativa, fondata nel 1989 da accademici, avvocati, giornalisti e membri del parlamento israeliano (Knesset): il centro d’informazione israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati. Il suo nome è una parola ebraica che significa letteralmente “l’immagine”. Appare due volte in un famoso verso del primo capitolo del primo libro della Bibbia: Genesi 1:27: “Dio creò l’uomo a sua immagine (letteralmente, ad immagine di lui), a immagine di Dio lo creò. “In ebraico, la parola è usata anche come sinonimo di “dignità umana”. L’obiettivo dell’organizzazione B’Tselem, conosciuto e rispettato perfino in Israele, è quello di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica e i politici israeliani, responsabili delle violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi, illegalmente occupati, dopo la guerra di giugno del 1967. Così che nessuno possa dire un giorno: “non lo sapevo”.
Dal 14 ottobre, Hagai El-Ad è violentemente attaccato in Israele, dove i politici propongono di togliergli la sua cittadinanza israeliana come “traditore” per il suo paese. Ecco il testo del suo discorso:
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Illustri membri del Consiglio di sicurezza,
Prima di cominciare, vorrei esprimere il mio profondo ringraziamento per l’opportunità datami di parlare davanti a questo pubblico distinto e parlare con i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Quello che vi dirò non ha lo scopo di scioccarvi, ma di emozionarvi.
Durante i 49 anni trascorsi, e non è finita, l’ingiustizia, nota col nome di occupazione della Palestina e controllo da parte di Israele delle vite dei palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e Gerusalemme Est, è diventata parte integrante dell’ordine internazionale. Il primo mezzo secolo di questa realtà sarà raggiunto a breve. Oggi, a nome del B’Tselem, il Centro di informazione israeliano per i diritti umani nei Territori Occupati, vi prego di prendere provvedimenti. A meno di un’azione internazionale decisiva, ciò che sarà fatto non servirà a nulla, tranne che ad entrare nella seconda metà del primo secolo di occupazione.
Signore e Signori,
Che cosa significa in termini concreti, trascorrere 49 anni, vale a dire, la vita di un uomo sotto il governo militare? Quando la violenza scoppia o quando specifici incidenti attirano l’attenzione di tutto il mondo, si ha una visione di alcuni aspetti della vita sotto occupazione. Ma per quanto riguarda il resto del tempo? Che dire dei molti giorni ordinari di una occupazione di 17.898 giorni, che prosegue? Vivere sotto il regime militare è una violenza invisibile, burocratica, quotidiana. Significa vivere in un regime senza fine di domande di autorizzazioni, che controllano la vita dei palestinesi dalla culla alla tomba. Israele ha la leva di comando nel Registro civile, nei permessi di lavoro; Israele ha il controllo su chi può viaggiare all’estero e su chi non può; in alcuni villaggi, Israele detiene la lista di coloro che possono visitare il paese e chi ha il permesso di coltivare tali terreni. A volte i permessi sono rifiutati; I permessi devono essere sempre rinnovati. Così, ad ogni respiro, i palestinesi devono inalare l’occupazione. Al minimo errore, si può perdere la libertà di movimento, perdere la vostra vita o addirittura la possibilità di sposarsi e costruire una famiglia con la persona amata.
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Nel frattempo, dappertutto, ci sono insediamenti e coloni. Sono cittadini israeliani che vivono, senza nascondersi, in una democrazia del primo mondo che, in un certo senso, esiste solo per loro oltre i confini del loro paese. Questa impresa continua a crescere, anche se illegale e si trova ovunque in tutta la Cisgiordania e Gerusalemme Est. Gli insediamenti accerchiano i centri abitati palestinesi così come la generosa concessione di terra alle loro periferie, per la loro futura espansione o la creazione di “zone speciali di sicurezza” che diventano “punti di controllo” per i palestinesi. Danno origine anche a strade by-pass per i coloni, al muro di separazione e, in ultima analisi, alla frammentazione della Palestina in centinaia di comunità isolate che galleggiano – o meglio, dovrei dire, che affondano lentamente in un mare di dominio israeliano . Chi potrebbe meritare di sopportare tali condizioni per mezzo secolo?
Signore e Signori,
Quasi ogni aspetto di questa realtà è considerata legale da parte di Israele. Il modo con cui Israele controlla la vita dei palestinesi è unico per l’attenzione scrupolosa che pone, come potenza occupante, nell’interpretare la legge alla lettera, mentre ne strangola lo spirito. L’occupazione ha perfezionato talmente l’arte di diluire il diritto umanitario internazionale ed i diritti umani che li ha praticamente svuotati del loro significato. Quando gli avvocati militari, i pubblici ministeri ed i giudici della Corte Suprema hanno finito di perfezionare il parere legale, tutto ciò che rimane è l’ingiustizia pura e semplice.
Per ogni morto palestinese, del quale si vuole scagionare l’assassinio, si trova sempre un parere saccente del procuratore militare per garantire l’impunità all’autore.
Che dire dei 100.000 palestinesi che si trovano dall’altro lato della barriera di separazione, eretta a Gerusalemme Est, dei quali è stata ignorata e trascurata l’esistenza? Vi ricordo che anche tale palese ingiustizia è stata approvata in anticipo dall’Alta Corte di Israele.
Trovatemi un palestinese che desidera essere riconosciuto proprietario di un suo appezzamento di terra, l’Amministrazione Civile vi fornirà materiale legale su misura – naturalmente, tutto questo nel rispetto della legge – per giustificare i suoi obiettivi: zone militari di esercitazioni, riserve naturali, siti archeologici e, soprattutto, la dichiarazione di migliaia di ettari come “terra di stato” – ma terra di quale stato? – Tutti questi metodi sono utilizzati con successo per spostare i palestinesi con la forza e giustificare il divieto fatto loro di connettersi alla rete idrica e a quella di distribuzione dell’ energia elettrica.
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Naturalmente, queste azioni degli israeliani non hanno sempre successo. Sarebbe troppo bello. Così, ogni tanto, magari una volta ogni dieci anni, un militare di grado non troppo elevato si trova davanti a un tribunale farsa che di sfuggita approva un piano di utilizzo del territorio per un villaggio. Queste peculiarità straordinarie, accuratamente scelte, distraggono utilmente dal quadro complessivo.
Al fine di mantenere l’apparenza di legalità, Israele prevede la procedura per tutto e niente: per l’alimentazione forzata di sciopero della fame, come è stato recentemente il caso presso l’alta corte; per approvare o automaticamente rinnovare gli ordini di detenzione amministrativa o estendere la detenzione senza processo di centinaia di palestinesi; per demolire la casa della famiglia di palestinesi che hanno effettuato attacchi – Sì, questo è successo anche centinaia di volte, secondo la procedura e con il sigillo dell’Alta Corte. Dal 2000 oltre 4.400 palestinesi hanno perso le loro case in questo modo.
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Sì, Israele ha avvocati, pubblici ministeri e giudici che sono dei professionisti. Si tratta naturalmente di un lavoro altamente professionale. Abbiamo avuto il tempo sufficiente per muoverci verso un’occupazione più perfetta. Ma non c’è bisogno di essere avvocati per riconoscere un’ingiustizia. Guardate l’occupazione e tutta l’apparenza di legalità che l’ accompagna, e descrivetela per quello che è: una parodia della legalità su una violenza organizzata di stato.
Signore e Signori,
Israele ha sistematicamente legalizzato violazioni dei diritti umani nei territori occupati: installazione di colonie perenni, demolizioni punitive di case, un meccanismo di parte nelle costruzioni e pianificazione, confisca delle terre palestinesi e molto, molto altro ancora. Il sistema militare di applicazione della legge – se possiamo chiamarla così – ripulisce centinaia di casi in cui i palestinesi sono stati uccisi o vittime di abusi.
Ecco alcune cifre: Israele ha dichiarato il 20% del West Bank “terra di stato”; Israele autorizza “generosamente” i palestinesi a costruire su metà dell’uno per cento di Area C, il 60% della Cisgiordania posto “temporaneamente” sotto il controllo israeliano da una generazione; negli ultimi dieci anni, Israele ha demolito circa 1.200 case nella West Bank, senza contare le demolizioni a Gerusalemme Est, rendendo in tal modo senza domicilio fisso più di 5.500 persone, la metà delle quali erano minorenni; se si includono le cifre di Gerusalemme Est, questi casi aumenterebbero del 50%. Nel mese di aprile 2016, sono stati circa 7.000 i palestinesi nelle carceri israeliane, di cui un quarto agli arresti durante il tempo necessario per la procedura dei tribunali militari, e circa il 10% sono in detenzione amministrativa. Ultima serie di numeri: per un quarto dei 740 reclami di B’Tselem alle autorità militari a partire dal 2000, nessuna indagine è stata aperta; per l’altra metà, i reclami sono stati poi chiusi senza seguito; e solo in 25 casi, sono stati presi in considerazione gli atti d’accusa. E preparatevi: nel frattempo, le autorità militari hanno fisicamente perso traccia dei dossier di 44 casi – più dei 25 casi che sono stati rinviati davanti a un tribunale!
Israele insiste sul fatto che tutto questo è legale, sia secondo la legge israeliana che secondo il diritto internazionale. Ma non è così.
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Questo in pratica ha poca importanza, per impedire a Israele di perseguire la sua politica, perché, purtroppo, il diritto internazionale è privo di qualsiasi meccanismo di applicazione efficace. E in questo modo, la politica israeliana è applicata e promossa con un crescente sostegno della popolazione israeliana. Nonostante l’ampio consenso internazionale sul fatto che gli insediamenti siano illegali, come risulta anche dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, l’unica differenza che può essere misurata in questo settore è l’aumento del numero delle colonie e di coloni, sotto la cui ombra vivono palestinesi esposti a demolizioni o a deportazioni.
Signore e Signori,
B’Tselem lavora da 27 anni per indagare e denunciare le violazioni dei diritti umani nei territori occupati, per analizzare e interpretare i dati e sostenere, sia a livello locale come a livello internazionale, questi temi. Non ci pronunciamo pe una soluzione politica specifica; lottiamo contro le violazioni dei diritti umani. In realtà, evidenziamo a che punto Israele ha usato lo stesso “processo di pace” per guadagnare tempo – un sacco di tempo – poiché mette in campo sempre più fatti compiuti in territorio palestinese.
La missione di B’Tselem, che consiste nell’informare l’opinione pubblica israeliana dei modi in cui lo Stato opprime i palestinesi, continuerà fino a quando l’occupazione non cesserà. Siamo stati e resteremo sempre implacabili in questo tentativo, perché tale è l’obbligo morale che è alla base del nostro impegno. Ma dopo tanti anni, dobbiamo tirare fuori alcune conclusioni. Gli unici principi morali, non saranno sufficienti. Israele non cesserà di essere opprimente semplicemente svegliandosi una mattina e rendendosi conto della brutalità della sua politica. Decenni di falsi pretesti, di paure reali, di interessi economici e dogmi politici, hanno concorso ad evitare questa eventualità, mentre troppo raramente si fornivano ragioni in grado di dimostrare il contrario.
E a livello globale?
Sono passati sei anni e mezzo da quando il vice presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha avvertito che “lo status quo non è gestibile.” Senza dubbio, egli è stato solo sei anni e mezzo in anticipo nell’annunciare un simile avvertimento. Lo “status quo” – questo vettore di interessi di Israele che avanza sempre a scapito dei diritti dei palestinesi – si è dimostrato non solo sostenibile, ma in realtà fiorente.
Da quasi un anno, l’Unione europea ha avviato un “dialogo strutturato” con Israele, della durata di sei mesi, per porre fine alle demolizioni amministrative di case in Area C. Sei mesi più tardi, il dialogo non portò a nulla mentre le demolizioni divennero più numerose che mai, eppure l’Unione europea ha deciso, indovinate un po ‘: di estendere il dialogo. Se un numero senza precedenti di demolizioni può andare di pari passo con un programma di illimitato dialogo internazionale, perché fermare le demolizioni?
Senza dubbio, dal punto di vista internazionale, l’occupazione è gestibile. Lo è perché, finora, il mondo ha rifiutato di prendere misure efficaci.
Gli ultimi anni hanno reso ancora più doloroso il fenomeno. Il progetto a lungo termine di Israele di massimizzare i profitti derivanti dalla terra palestinese, riducendo al minimo lo svantaggio della presenza palestinese, è diventato ancora più palpabile che mai. Solo passando una mezza giornata in Cisgiordania, ci rendiamo conto della radicalizzazione dell’impresa che i governi israeliani, di destra, di centro e di sinistra, hanno messo in atto dal 1967. La stessa cosa è stata detta apertamente dai funzionari israeliani in pensione.
Di recente, un ex comandante del Comando Centrale ha detto che: “. L’esercito è lì perché lo Stato non ha alcuna intenzione di lasciare”. Ma ora che i leader israeliani, attualmente al potere, dal Primo Ministro fino a chi si trova in fondo alla scala, hanno smesso in tempo reale di fingere, riconoscendolo esplicitamente con tanto di chiarezza formale – certamente sembrava che, finalmente, ci sarebbero state delle implicazioni. Era ingenua questa speranza? Forse.
Mentre una chiarezza senza precedenti nel linguaggio degli israeliani ha ridotto il divario tra ciò che essi fanno e la vuota retorica dei negoziati e della diplomazia, la risposta globale è stata, beh! ancora una volta un nuovo rapporto. Le demolizioni sono aumentate, rendendo il 2016 l’anno peggiore mai registrato in questo settore. Mi sento in dovere di chiedere: Quante altre case palestinesi devono essere demolite prima che si sia capito che le parole non confermate dai fatti non fanno che suggerire a Israele che può continuare?
Signore e Signori,
La realizzazione dei diritti umani non deve più aspettare. I palestinesi hanno il diritto alla vita e alla dignità, hanno il diritto di determinare il proprio futuro. Questi diritti sono stati ritardati da troppo tempo. E ritardare la giustizia equivale a negare la giustizia.
Come Martin Luther King ci ha insegnato: “Sappiamo per dolorosa esperienza che dall’oppressore la libertà non viene mai concessa volontariamente “. La realtà che la comunità internazionale deve affrontare è questa: la mancanza di azione non solo dà all’oppressore la possibilità di continuare senza dover subire troppe ripercussioni, ma concede all’oppressore il potere di decidere quando sarà il momento giusto per iniziare a prendere in considerazione le alternative. “Aspettate” chiede Israele, “Ora non è il momento giusto.” Ma “aspettate” significa quasi sempre “Mai”, risponde Martin Luther King, ” è sempre il momento giusto per fare ciò che è giusto.” E quel momento è adesso: il momento finale che ha come scopo l’agire.
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha non solo il potere: voi avete la responsabilità morale ed una reale opportunità di agire con impegno urgente, prima che giunga la data simbolica del mese di giugno 2017 quando inizierà la seconda metà di questo primo secolo, di rivolgere al mondo, agli israeliani e ai palestinesi, un messaggio chiaro, supportato da un’azione internazionale: Israele non può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Israele non può occupare un popolo per cinquant’anni e chiamarsi democrazia. Non si possono violare i diritti di milioni di persone e chiedere vantaggi a livello internazionale, giustificati dalle parole vuote di un impegno per dei valori condivisi di diritti umani.
Israele è un paese sovrano, fondato secondo la legittimità internazionale conferitale da una decisione storica dalla stessa istituzione nel 1947. Sono un cittadino di questo paese. Questo è il mio paese. Quel paese che nella maggior parte della sua esistenza, ha avuto dal mondo il permesso di occupare un altro popolo. Ho vissuto tutta la mia vita, ogni giorno della mia vita con questa realtà. Milioni di israeliani e palestinesi non conoscono altra realtà. Abbiamo bisogno del vostro aiuto. Cinquanta anni di occupazione “temporanea” sono troppo lunghi per far si che anche una sola persona in questo pianeta accetti un simile ossimoro. I diritti dei palestinesi devono essere tradotti in azione. L’occupazione deve finire. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve agire. E il momento di agire è ora.
Tradotto dall’inglese in francese da Philippe DAUMAS e dal francese in italiano da Anissa Manca.
FONTE: http://www.assopacepalestina.org/2016/11/israele-e-palestina-loccupazione-dura-solo-perche-il-mondo-si-rifiuta-di-agire/
domenica 13 novembre 2016
Viaggiatori on the road: Chuquicamata, dove tutto è grande!
Viaggiatori on the road: Chuquicamata, dove tutto è grande!: Chuquicamata , detta anche Chuqui , è la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo. Si trova in Cile nella Regione di Antofaga...
VENERDÌ 21 DICEMBRE 2012
Chuquicamata, dove tutto è grande!
Chuquicamata, detta anche Chuqui, è la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo. Si trova in Cile nella Regione di Antofagasta, a 15 km a nord di Calama e a 245 km a nord-est del capoluogo Antofagasta.
E’ lunga 4,5 km e larga 2.5 km e supera i 1000 metri di profondità.
È possibile visitarla lasciando un contributo libero, basta mettersi in lista presso la CODELCO, la società statale che la gestisce.
Poco lontano dal grande cratere in perenne escavazione sorge un grande villaggio ormai fantasma, in cui vivevano circa 25mila tra operai, minatori e le loro famiglie.
Era un campamento simile a una piccola città con tutto quello che serviva alla popolazione, ma poi tutti vennero trasferiti a Calama dove vennero costruiti alcuni quartieri con questo scopo; gli ultimi se ne andarono nel 2008.
Vi lavorano 18mila persone, 24 su 24, che estraggono 1500 tonnellate di rame al giorno (!) di cui il 45% viene esportato in Asia (il 22% alla Cina). Le stime indicano che se ne potrà estrarre ancora per i prossimi 50 anni. Si capisce che con il prezzo del rame alle stelle questa voce funga da traino all’intera economia cilena.
I mezzi di scavo e di trasporto la percorrono grazie a un sistema viario a gradoni che si sviluppa su più livelli, collegati tra loro da brusche rampe discoscese, sino al piano che costituisce la profonda base. Le ruote di questi mastodontici automezzi misurano tre metri di diametro e sono azionati da un motore indipendente.
Nella miniera operano un centinaio tra autocarri pesanti ed escavatori a cucchiaio, che lavorano duramente per estrarre e trasportare giornalmente circa 600.000 tonnellate di minerale di rame. Per far fronte a una simile quantità, ciascun ribaltabile deve poterne trasportare almeno 400 tonnellate a ogni viaggio.
Per le società minerarie, gli investimenti nelle apparecchiature mobili sono spesso la voce di spesa più elevata. Le ruote dei ribaltabili impiegati a Chuquicamata costano 12.000 euro cadauna, mentre un escavatore a pala costa circa 20 milioni di euro.
La nazionalizzazione delle miniere di rame fu formalizzata nel 1971, con una riforma costituzionale che sancì la partecipazione dello stato nelle riserve di rame del paese in misura del 51 percento. La Codelco nacque nel 1976 e, da allora, è cresciuta sino a diventare il principale produttore di rame del mondo, con circa il 20 percento delle riserve mondiali e una produzione che, nel 2008, è stata pari a 1,5 milioni di tonnellate di rame pregiato.
Uno degli obiettivi principali della Codelco è produrre rame al minor costo possibile per la popolazione cilena, a cui si affiancano altri intendimenti cruciali. Nel 2003 la società ha approvato la sua “Politica per lo Sviluppo Sostenibile”, la quale sancisce l’importanza di perseguire gli obiettivi economici nel rispetto dei principi di sviluppo sostenibile e responsabilità sociale.
In linea con tali finalità, la società stabilisce quanto segue: “La missione della Codelco consiste nello sviluppare, in modo solerte e responsabile, tutte le capacità nell’attività mineraria e in quelle correlate al fine di massimizzare nel lungo termine il proprio valore economico e il contributo allo stato del Cile”. La Codelco è andata ben oltre questo proposito: nel 2008, la frequenza degli incidenti è stata la più bassa nella storia aziendale e, nello stesso anno, si è scelto di investire 36 milioni di euro in progetti ambientali.
“A Chuquicamata, sostenibilità e sicurezza sono i principi guida. Quando arriva un nuovo minatore, prima si parla di lui e solo dopo dei processi”
foto e video: viaggiatori on the road
VENERDÌ 21 DICEMBRE 2012
Chuquicamata, dove tutto è grande!
Chuquicamata, detta anche Chuqui, è la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo. Si trova in Cile nella Regione di Antofagasta, a 15 km a nord di Calama e a 245 km a nord-est del capoluogo Antofagasta.
E’ lunga 4,5 km e larga 2.5 km e supera i 1000 metri di profondità.
È possibile visitarla lasciando un contributo libero, basta mettersi in lista presso la CODELCO, la società statale che la gestisce.
Poco lontano dal grande cratere in perenne escavazione sorge un grande villaggio ormai fantasma, in cui vivevano circa 25mila tra operai, minatori e le loro famiglie.
Era un campamento simile a una piccola città con tutto quello che serviva alla popolazione, ma poi tutti vennero trasferiti a Calama dove vennero costruiti alcuni quartieri con questo scopo; gli ultimi se ne andarono nel 2008.
Vi lavorano 18mila persone, 24 su 24, che estraggono 1500 tonnellate di rame al giorno (!) di cui il 45% viene esportato in Asia (il 22% alla Cina). Le stime indicano che se ne potrà estrarre ancora per i prossimi 50 anni. Si capisce che con il prezzo del rame alle stelle questa voce funga da traino all’intera economia cilena.
I mezzi di scavo e di trasporto la percorrono grazie a un sistema viario a gradoni che si sviluppa su più livelli, collegati tra loro da brusche rampe discoscese, sino al piano che costituisce la profonda base. Le ruote di questi mastodontici automezzi misurano tre metri di diametro e sono azionati da un motore indipendente.
Nella miniera operano un centinaio tra autocarri pesanti ed escavatori a cucchiaio, che lavorano duramente per estrarre e trasportare giornalmente circa 600.000 tonnellate di minerale di rame. Per far fronte a una simile quantità, ciascun ribaltabile deve poterne trasportare almeno 400 tonnellate a ogni viaggio.
Per le società minerarie, gli investimenti nelle apparecchiature mobili sono spesso la voce di spesa più elevata. Le ruote dei ribaltabili impiegati a Chuquicamata costano 12.000 euro cadauna, mentre un escavatore a pala costa circa 20 milioni di euro.
La nazionalizzazione delle miniere di rame fu formalizzata nel 1971, con una riforma costituzionale che sancì la partecipazione dello stato nelle riserve di rame del paese in misura del 51 percento. La Codelco nacque nel 1976 e, da allora, è cresciuta sino a diventare il principale produttore di rame del mondo, con circa il 20 percento delle riserve mondiali e una produzione che, nel 2008, è stata pari a 1,5 milioni di tonnellate di rame pregiato.
Uno degli obiettivi principali della Codelco è produrre rame al minor costo possibile per la popolazione cilena, a cui si affiancano altri intendimenti cruciali. Nel 2003 la società ha approvato la sua “Politica per lo Sviluppo Sostenibile”, la quale sancisce l’importanza di perseguire gli obiettivi economici nel rispetto dei principi di sviluppo sostenibile e responsabilità sociale.
In linea con tali finalità, la società stabilisce quanto segue: “La missione della Codelco consiste nello sviluppare, in modo solerte e responsabile, tutte le capacità nell’attività mineraria e in quelle correlate al fine di massimizzare nel lungo termine il proprio valore economico e il contributo allo stato del Cile”. La Codelco è andata ben oltre questo proposito: nel 2008, la frequenza degli incidenti è stata la più bassa nella storia aziendale e, nello stesso anno, si è scelto di investire 36 milioni di euro in progetti ambientali.
“A Chuquicamata, sostenibilità e sicurezza sono i principi guida. Quando arriva un nuovo minatore, prima si parla di lui e solo dopo dei processi”
foto e video: viaggiatori on the road
martedì 8 novembre 2016
domenica 2 ottobre 2016
INQUINAMENTO IN ITALIA
Inquinamento, gli ultimi dati fanno venire voglia di scappare dall’Italia
Posted on 1 ottobre 2016
E dalla Pianura Padana in generale. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, una delle aree più inquinate dell’intero continente europeo
Foto WHO
I dati diffusi dalla Oms, in quello che è considerato il più dettagliato studio finora mai condotto sull’argomento, lasciano senza parole. I giornali di tutto il mondo hanno ripreso la notizia, focalizzando sul proprio stato di salute locale. In generale, l’organizzazione sanitaria mondiale dice che il 92% delle persone sul globo, cioè oltre 9 persone su 10, respirano aria troppo inquinata, aria che danneggia la loro salute respiro dopo respiro. I morti che ne conseguono sono milioni, uccisi da solfati, nitrati e carbone che penetrano in minuscoli corpuscoli nel nostro corpo, fino a ucciderlo. I danni peggiori li subiscono, si sa, vecchi, bambini e donne gravide.
La nostra stampa riporta la notizia generale, dall’Ansa ai siti più letti, senza tuttavia entrare nello specifico di quella che per noi dovrebbe essere la vera notizia, di interesse pubblico. Abbiamo l’aria peggiore di tutta l’Europa occidentale, nessun angolo del nostro Paese può vantare zone “verdi”, cioè pulite, come invece hanno Francia, Spagna e soprattutto Gran Bretagna e Paesi scandinavi.
Tutto il nostro Paese è avvolto da una nebbia killer, mentre la Pianura Padana raggiunge i livelli record – il rosso – presente altrove ad esempio in Cina e India.
Considerando anche l’Europa dell’Est, il rosso si trova solamente nel sud della Romania e nel nord della Serbia. Scozia e Irlanda se la passano molto bene, come anche parti del sud della Francia e della Spagna, mentre, come detto, il colore verde non tocca nessun luogo dell’Italia.
LA COSTITUZIONE ...
12 ottobre: due punti di vista
Linda Cima
Sabato c’è l’ennesima manifestazione dei soliti noti a difesa della Costituzione…ne cito uno a caso: Gustavo Zagrebelsky. Caro Zagrebelsky, non ricordo neanche piu’ in tantissimi anni di partecipazioone come cittadina italiana non suddita ma con la schiena diritta, a quante manifestazioni io abbia partecipato a difesa della Costituzione, tante, troppe. Venire sabato di nuovo a manifestare mi sembra una cosa perfettamente inutile, inutile perché mentre voi manifestate, nulla cambia a livello politico, non vedo neanche la nascita di un nuoco soggetto politico che possa prendersi cura della difesa della Costituzione, salvo naturalmente il M5S, ma il M5S malgrado abbia preso 9 milioni di voti, sembra venga spesso ignorato e direi anche sbeffeggiato, perché a capo c’è un comico, ma pensi un po’ Zagrebelsky io mi sono dovuta affidare ad un comico per uscire dall’astensionismo, visto il cattivo odore, che proveniva dai partiti tradizionali. Quindi ribadisco che è perfettamente inutile venire sabato, sarebbe solo l’ennesima riunione in piazza dei soliti noti, senza la partecipazione del popolo, quel popolo che subisce il non rispetto di quella prima parte della Costituzione che è stata regolarmente violata e violentata, nessuna voce si è levata a difesa di questa parte di popolo che da anni e anni se la cava da solo senza i diritti che quegli articoli della Costituzione richiederebbero per tutti e non solo per una fetta di privilegiati. I sindacati si sono guardati bene dal pretendere di propagare questi diritti a tutti, anzi continuano a difendere gli ammortizzatori sociali che vanno solo ad una fetta di privilegiati, mentre i lavoratori appartenenti al 95% di piccole aziende al di sotto dei 15 dipendenti se perdono il lavoro si devono affidare alla Caritas anche se laici, oppure al suicidio, e sembra sia stato praticato abbastanza. Se non partiamo dal rispetto dalla prima parte della Costituzione per dare dignita’ alla gente con il lavoro, è inutile occuparsi della seconda parte, lo capisce vero Zagrebelsky ? Quindi penso che avrete pochissima partecipazione popolare per i motivi sopra esposti. Caro Zagrebelsky, il rinnovamento in Italia sta avvenendo solo grazie a quei 9 milioni di persone che con coraggio hanno votato un comico, e grazie a quel coraggio adesso abbiamo decine di giovani in Parlamento preparati e capaci, che fanno vera opposizione. Sabato io non ci sarò, e sara’ la prima volta che non partecipo, ma non credo che sarò l’unica…(…)
Anna Lombroso
Cara Linda, dubito che Zagrebelsky ti risponderà, sempre troppo grande è la distanza che separa chi ha ruolo e tribuna, sia pure moralmente ineccepibile e autorevole, dai comuni mortali. E non pretendo di parlare a suo nome, è che tra tanta barbarie è bello un dialogo tra amici. Per istinto non ho mai provato la dolceamara voluttà dello stare in perenne minoranza: qualche volta mi piacerebbe vincere. E non conosco la disillusione: forse perché raramente mi sono illusa e perché temo sempre che costituisca una scorciatoia per approdare sulle spiagge dorate dell’accidia, del risentimento e dell’autoassoluzione. Al tempo stesso, nutro una ormai consolidata ostilità per gli appelli degli intellettuali, temo sempre che qualcuno di loro risorga dalla tomba in un gran clangore di ossa per apporre la sua immancabile firma in calce, i venerabili maestri mi fanno venire l’orticaria, le liturgie officiate esemplarmente a scopo muscolare, didattico o simbolico mi sembrano sterili e anche ormai odiose se devo per giunta sborsare due euro per essere presa per i fondelli a uso di Renzi o simili.
Ma il 12 sarò alla manifestazione. Mi mancheranno i sentimenti di una volta: quell’entusiasmo che deriva dal riconoscersi, la festosità di incontrarsi tra affini, il clima da scampagnata di festa e di lotta, il senso di appartenenza, sorprendente per chi è stato sempre un po’ estraneo e apocalittico, il camminare a fianco di “compagni”, ma forse più che la nostalgia per quel sentire, mi mancherà l’io di allora, che anche la nostalgia non è più quella di un tempo. Lo so, andare alla manifestazione fa un tutt’uno col “voto inutile” che ostinatamente continuo a offrire sull’altare egocentrico della propria coscienza da pacificare. Ma l’antipolitica, quella vera, quella di un ceto incapace e protervo, inadeguato e ambizioso, vorace e indifferente, assoggettato e prepotente, ci ha espropriato di tutto. Da cittadini ci ha ridotto a spettatori delle loro “imprese”, televisive e politiche, da elettori ci ha retrocesso a notai chiamati a legittimare solo formalmente le loro scelte obbligate. Ci hanno tolto il gusto del ragionare insieme, perché insieme ci stanno solo loro in opache alleanze e consorterie chiamate variamente larghe intese o governi di salute pubblica.
Pubblica? ormai ci hanno tolto anche il senso di quell’aggettivo, criminalizzato come sinonimo di sperpero, corruzione, inettitudine, malversazione, in favore di un progressivo privato, dinamico, profittevole e ardito. Ci hanno levato anche il piacere di manifestare come si fece con un milione di persone in una bella giornata di sole, ci hanno rubate le piazze del 25 aprile e del 1° maggio, ché pare che riscatto e lavoro possano essere solo commemorati, per perpetuare quella narrazione pubblica secondo la quale ci sarebbe bisogno di ricomporre le fratture, di pacificare, di andare avanti dimenticando quello che c’è prima e dietro, per neutralizzarne la potenza, rimuoverne gli effetti, cancellarne simboli e contenuti, prima tra tutti la più allegorica e fondamentale, la Costituzione. A questa finzione di democrazia, svolta a porte chiuse, le piazze che si addicono sono quelle oceaniche a pagamento, quelle delle belle famiglie che lavano i panni sporchi in case e ville appartate e protette, quelle dei fan di un condannato che tiene sotto scacco un intero paese, un terrorista che ricatta i suoi partner, le istituzioni, i partiti e le assemblee rappresentative, con messaggi e slogan golpisti ed eversivi, quelle di una maggioranza che non lo è nemmeno numericamente ma che lo diventa grazie allo stravolgimento delle regole, al berciare più forte, alla palese illegittimità di elezioni impari e alla conservazione di un sistema che abroga il potere di scelta del popolo, non più sovrano.
È per riprendercela per un giorno, la piazza, sperando sia per sempre, che vado alla manifestazione del 12. Magari come dici tu ci sarà poca gente, magari non mi riconoscerò in un’èlite togata, in parole d’ordine troppo caute, magari mi disturberà qualche ambizione enfatica, qualche protagonismo, insomma quelle nostre malattie infantili. Ma spero ci sarà qualcuno che rappresenta il lavoro umiliato e deriso, qualcuno che ci ricorderà che la Costituzione che vogliono abbattere toglie legittimità alle leggi razziali e impone come dovere il diritto ad essere accolti. Ci sarà qualcuno che ci rammenterà che è su quella Carta, per la quale è stato versato tanto sangue ma si sono illuminate tante speranze, che hanno giurato governi infedeli, sleali e alla lunga illegali e allora bisogna ridarle la forza che deve avere, perché così ci si riprende la sovranità espropriata. Ci sarà qualcuno che ribadirà che la Costituzione vuole cambiarla, per cancellarla, chi vive nell’illegalità e ne ha fatto sistema di governo, chi la odia perché rappresenta un ostacolo non solo formale alle licenze, agli abusi, alle leggi ad personam, all’avvilimento del parlamentarismo, al conflitto di interesse. E se non me le dirà nessuno tutte queste cose, io le so, come le sai tu, come le sanno i pochi o tanti che saranno là e che non credono alla formula magica per la quale sono evaporate le differenze e con esse sono scomparse le ideologie di destra e di sinistra. Non è così, la destra c’è con la sua oscura potenza eretta sui suoi capisaldi di sempre: autoritarismo, umiliazione delle regole, odio per la rappresentanza, razzismo, xenofobia, asservimento funzionale allo sfruttamento, annichilimento della partecipazione, disprezzo per i diritti. È contro quella destra che in questi anni ci sono stati soggetti sociali e collettivi che hanno “ripesttato” la Costituzione : 27 milioni di persone coi referendum hanno detto no al nucleare, no alle leggi ad personam, sì all’acqua pubblica. E la Fiom ha fatto garantire attraverso le leggi e la Costituzione il diritto alla rappresentanza nelle fabbriche. Una garanzia che vale non solo per i propri iscritti, ma per tutti i lavoratori e i sindacati e quindi per tutti noi. E ci sono cittadini che in suo nome combattono concretamente per la legalità, e saranno in piazza così come alla Costituzione fanno riferimento Emergency per il diritto universale alla salute, l’Arci per la promozione della cultura. Insomma una piazza c’è già, la loro, la nostra, quella della sinistra Se non vi piace il nome, cambiatelo, ma non cambiate le sue stelle polari alle quali dobbiamo guardare, sempre le stesse, perché tramontate le ideologie, bisogna salvaguardare le idee, le radiose visioni, le utopie, anche se sono diventate domestiche, apparentemente antiche, perché dobbiamo ricominciare ad aspirare all’uguaglianza, alla solidarietà, alla libertà.
mercoledì 28 settembre 2016
mercoledì 21 settembre 2016
RAPPORTO ESPAD...ALCOL E DROGHE TRA GLI ADOLESCENTI...
FUMATORI ADOLESCENTI, L’ITALIA (PURTROPPO) È PRIMA IN EUROPA
- Scritto da Marta Albè
L’Italia ha raggiunto un primato purtroppo negativo per quanto riguarda gliadolescenti e il fumo. Infatti il nostro Paese è il primo in Europa per il numero di adolescenti fumatori.
Si tratta di quanto emerge dal rapporto Espad - European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs che per la sesta volta dal 1995 ha raccolto i dati relativi alla diffusione di fumo, alcol e droghe tra gli adolescenti.
La ricerca è stata condotta tra gli adolescenti delle scuole di 35 Paesi europei. La percentuale di adolescenti fumatori in Italia è del 37%, ben al di sopra del campione generale europeo che tocca il 21%.
Nella classifica degli adolescenti fumatori subito dopo l’Italia troviamo la Bulgaria e la Croazia, con il 33%, mentre agli ultimi posti ecco l’Islanda e la Norvegia che con il 6% e il 10% sono i Paesi europei dove la percentuale di adolescenti fumatori è inferiore.
Il sondaggio tiene conto anche dell’età in cui i giovanissimi cominciano a fumare. In Italia, ma anche in Francia, a Cipro e in Romania, gli adolescenti tendono ad accendere la prima sigaretta quando non hanno ancora compiuto 13 anni.
La ricerca non riguarda soltanto le sigarette ma anche l’uso della cannabis tra i giovani. Per quanto riguarda la cannabis, il Paese con più adolescenti che ne fanno uso è la Repubblica Ceca, con il 37%. In Italia invece la percentuale da questo punto di vista è del 15% per quanto riguarda gli adolescenti che hanno fumato cannabis negli ultimi trenta giorni.
Leggi anche: FUMO E SIGARETTE: LE NUOVE NORME IN 7 PUNTI
Tra gli adolescenti si sta inoltre diffondendo il consumo delle nuove droghe psicoattive(Nps) che sono più diffuse rispetto ad altre droghe già note, come ecstasy, anfetamina, cocaina e Lsd. La percentuale degli adolescenti che hanno assunto droghe psicoattive negli ultimi 12 mesi è del 5% in Irlanda e in Italia, del 6% in Bulgaria e Croazia e dell’8% in Polonia e in Estonia.
Inoltre, per quanto riguarda il consumo di alcolici, dalla ricerca emerge che tra gli adolescenti europei è diminuito dal 56% al 48% per quanto riguarda l’uso corrente e dall’89% all’80% nel consumo una tantum. In Italia in ogni caso l’84% degli studenti ha bevuto alcolici almeno una volta nella vita.
Infine, oltre al problema del fumo e dell’abuso di alcol e droghe tra gli adolescenti, la ricerca si sofferma sui rischi per i più giovani legati ad internet e al gioco d’azzardo. In Italia gli adolescenti si connettono ad internet 6 giorni su 7 in media, usano soprattutto i social network e le app per giocare, solo il 3% riferisce di aver giocato abitualmente e di frequente d’azzardo.
Riconoscete queste abitudini nei vostri figli e negli adolescenti di oggi?
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