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venerdì 25 settembre 2015

mercoledì 23 settembre 2015

CONFCULTURA

 QUI http://www.confcultura.it/it/musei-e-siti-in-gestione.htm

Musei e siti in gestione

Con l’emanazione della Legge n. 4/93 (Legge Ronchey) sono state istituzionalizzate nei musei, biblioteche ed archivi di Stato le attività volte ad informare il pubblico, ad accoglierlo nelle varie strutture e ad assisterlo tramite vari strumenti (guide, cataloghi, visite guidate, supporti audiovisivi, ecc) ma anche ad intrattenerlo in strutture di ristoro (bar e ristoranti) e ad offrirgli la possibilità di acquistare oggetti ispirati al patrimonio museale nei negozi dell’arte.

I siti in gestione

I Servizi aggiuntivi

(Art. 117 D. L. 22/01/2004, n. 42 - Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137)
  1. Negli istituti e nei luoghi della cultura indicati all'articolo 101 possono essere istituiti servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico.
  2. Rientrano tra i servizi di cui al comma 1: a) il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali; b) i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario; c) la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali; d) la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni; e) i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro; f) i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba; g) l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonche' di iniziative promozionali.
  3. I servizi di cui al comma 1 possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria.
  4. La gestione dei servizi medesimi e' attuata nelle forme previste dall'articolo 115. 5. I canoni di concessione dei servizi sono incassati e ripartiti ai sensi dell'articolo 110.
introiti

ELECTA GRUPPO MONDADORI ...L'ESPRESSO



Gennaio: il mese delle grandi speranze. A giorni il ministroDario Franceschinidovrebbe rendere noti gli strumenti con cui intende districare uno dei grovigli più spinosi del suo mandato: il gomitolo gordiano dei servizi aggiuntivi, le attività che ruotano attorno a monumenti e musei - dalle visite guidate ai libri, dalla ristorazione alla prevendita dei biglietti online - affidate in base a contratti scaduti da anni e prorogati o rappezzati fino ad oggi. A beneficio di pochi privati. E spesso a discapito del pubblico.



Il ministro si è deciso ad aprire queste finestre per avviare il tanto agognato new deal della “valorizzazione”, e promette (come d’altronde quasi tutti i suoi predecessori) di mettere mano alla giungla di ricorsi e rinvii in cui si sono ossidati i rapporti fra soprintendenze e imprese. Fra i pochi che ci guadagnano dall’attuale sistema, infatti, di certo non c’è lo Stato. Le aziende che noleggiano audioguide o vendono t-shirt di Leonardo nel cuore dei luoghi della cultura hanno incassato dal 2001 più di mezzo miliardo di euro. Grazie a una generosa ripartizione mai ritoccata, al ministero hanno versato meno di 75 milioni. Neppure il 15 per cento.



Dell’anomalia si sono accorti in parecchi: Corte dei conti, Antitrust, giudici amministrativi. Ma nulla ha impedito fino ad oggi che questa ricchezza si concentrasse nei bilanci di pochi. Società quali il gruppo Civita (che fa capo a Luigi Abete e Gianni Letta), Electa-Mondadori e Coopculture (affiliata alla rossa Lega delle cooperative) si spartiscono alcune delle principali cornucopie turistiche nazionali, come il Colosseo o gli scavi di Pompei. Dietro la triade politicamente corretta c’è poi una selva di soggetti grandi e piccoli che da Trieste a Reggio Calabria seguono ricami ogni volta diversi, rendendo impossibile comporre un quadro nazionale.

SOTTO IL SEGNO DI CONSIP
«Voglio trasparenza assoluta. Dobbiamo finirla con questi monopoli mascherati», batte i pugni Franceschini presentando a “l’Espresso” la sua idea di riforma: «Trovo assurdo che lo Stato non partecipi direttamente alla gestione della parte più redditizia dei musei. È un tema su cui stiamo lavorando dall’inizio del mio mandato e su cui non mi rassegno. Penso si debba tornare, almeno in un’opzione di scelta, alla titolarità pubblica». Il modello è la Francia, dove una società statale, la Rmn (Réunion des Musées Nationaux) compete con i privati per aggiudicarsi castelli e gallerie. L’opzione parigina sarebbe resa possibile in Italia proprio dal nuovo accordo, atteso a giorni, attraverso il quale verranno selezionate le aziende che si occuperanno dei servizi di base (pulizie, manutenzione) e delle attività rivolte ai visitatori. E pur considerandola «non ancora pronta», Franceschini ha già deciso quale sarà la pedina che rappresenterà lo Stato alla partita: Ales, una società dal passato tormentato contro cui gli operatori di mercato sono già pronti a dichiarare guerra.




La nouvelle vague statalista dei beni culturali passa anche dalla struttura chiamata a elaborare criteri e contenuti delle nuove gare. Il compito è stato affidato alla Consip, la centrale d’acquisti per la pubblica amministrazione. La discesa in campo artistico dei burocrati del risparmio è dipinta dagli amanti del Rinascimento come la Golconda di Magritte: una calata dal cielo di uomini in nero, compratori di matite e contrattatori di pulizie inadatti a giudicare ciò che è meglio per il nostro patrimonio. Alle critiche i “signori con la bombetta” ribattono snocciolando promesse iperboliche: «È il progetto più bello e importante dei nostri 18 anni di storia», afferma entusiasta l’amministratore delegato di Consip, Domenico Casalino: «Il nostro obiettivo è far esplodere il fatturato dei monumenti dagli attuali 380 milioni stimati a livello nazionale a due miliardi e mezzo nel 2017». Le nuove gare, assicura, attrarranno società straniere e sapranno resistere ai ricorsi, a differenza di quelle bandite nel 2011 con nuove linee guida costate 200mila euro solo di consulenze e impallinate dai Tar di mezza Italia. Non sarà la sola apertura alla globalizzazione delle nostre bellezze: il governo ha appena fatto pubblicare sul settimanale “The Economist” il bando per la selezione di 20 super-manager di caratura internazionale per altrettanti super-musei nati per decreto poco prima di Natale (fra i quali ci saranno poli come gli Uffizi, Brera, la Reggia di Caserta).

SPRECO CAPITALE
L’annunciata rivoluzione non sarà impetuosa: per avere risultati concreti bisognerà aspettare la primavera del 2016. Un anno almeno sarà necessario, dicono da Consip, per selezionare le aziende e poi permettere ai soprintendenti di elaborare i progetti, pubblicare i bandi, fronteggiare eventuali ricorsi... Potrà quindi sonnecchiare ancora per un po’ anche Roma, caso emblematico dei grovigli arrugginiti rappresentati oggi dai servizi aggiuntivi. Nella Città eterna, che ogni anno richiama oltre 12 milioni di visitatori, lo Stato racimola solo le briciole dal tourbillon di acquisti culturali. Nel 2013 fra visite guidate, merchandising, prenotazioni, spuntini e caffè, monumenti e musei statali hanno incassato oltre 17 milioni di euro. Introiti virtualmente balsamici per le finanze esangui del Mibact, ma finiti quasi tutti nelle tasche dei privati: 15 milioni sono rimasti ai concessionari. Il Colosseo, icona universale dell’antica Roma, è anche l’emblema del suo paradosso, l’incapacità di farsi ricca col proprio patrimonio: otto milioni infatti sono stati trattenuti dai concessionari e solo 1,2 sono andati alla soprintendenza. Appena il 13 per cento, una delle quote più basse in Italia fra i grandi catalizzatori di presenze.

Non solo. Per quanto strano possa apparire, da audioguide e visite guidate (che solo nell’Anfiteatro Flavio valgono tre milioni l’anno) alle casse pubbliche non finisce nemmeno un centesimo. La ragione? L’accordo coi privati non prevede royalties per queste voci. Come contropartita, la Soprintendenza archeologica ha ottenuto un servizio di guardaroba gratuito in quattro musei e visite istituzionali in tutte le lingue quando ci sono ospiti di riguardo. Non proprio lo stesso peso, forse, sulla bilancia.

Si resta interdetti anche all’ingresso della Domus aurea, la meravigliosa dimora di Nerone per il cui ripristino lo Stato ha speso 18 milioni di euro e ora chiede aiuto sul Web ai cittadini in modo da ottenere i restanti 31 milioni necessari. Oggi che i turisti arrivano a frotte e potrebbero contribuire alla rinascita, la soprintendenza incassa soltanto quattro euro su 12 di ogni biglietto strappato. Così a brindare dell’avvenuto restauro, oltre a tutti gli appassionati, sono soprattutto i concessionari: la berlusconiana Electa-Mondadori e la rossa Coopculture, a dimostrazione che nella capitale le larghe intese non sono una novità, visto che l’affidamento risale al 1997 e dal 2009 va avanti a colpi di proroghe.

PARADOSSI NAZIONALI
«Nessuno però considera gli investimenti che i privati devono sostenere ogni anno per le strutture e la promozione nei musei», sostiene Patrizia Asproni, presidente di Confcultura, l’associazione di Confindustria che riunisce gli operatori del settore: «Noi svolgiamo servizi che lo Stato non è in grado di fare». In ogni caso, non è detto che debba andare sempre come a Roma. Da Pompei, ad esempio, al ministero va oltre un terzo dei proventi: la biglietteria della città sepolta frutta 20 milioni di euro l’anno e ai privati resta solo il 7 per cento (uno dei tassi più bassi di tutta Italia), gli incassi delle audioguide vengono ripartiti a metà, mentre caffetteria e ristorante pagano un canone mensile da 37 mila euro. Quasi il triplo di quanto versa Electa per gestire i bookshop del cuore archeologico di Roma, che pure fruttano cinque milioni l’anno grazie a siti deluxe quali il Colosseo e i Fori. Oltre alla percentuale sui ricavi, infatti, a volte le aziende pagano pure un contributo stabile. A Venezia, per il circuito che comprende le Gallerie dell’Accademia, Ca’ d’Oro e Casa Grimani, alla soprintendenza viene riconosciuto un quarto degli introiti e un assegno fisso di 125mila euro all’anno. Come a Brera.

Da Napoli a Venezia i confronti possono apparire paradossali. E non sono i soli. Gli Uffizi, nonostante la mole assicurata di turisti e profitti, trattengono solo il 14,2 per cento dei ricavi e riconoscono ai privati il 25 per cento degli incassi da biglietteria (il massimo, per legge, è il 30). Al Cenacolo di Milano, al contrario, la soprintendenza trattiene il 90 per cento dei guadagni d’ingresso e ben il 44,6 delle vendite di poster, calamite e riproduzioni dell’Ultima Cena. Significa che lo Stato nel 2013 ha ricevuto 725mila euro su 1,6 milioni fatturati intorno al capolavoro di Leonardo, mentre dal porto romano di Ostia antica, che ha incassato poco meno (un milione), ne sono arrivati appena 92mila: il 9 per cento.

Se nella capitale non si riesce a ottenere di più, ancora meno è riconosciuto allo Stato per la conservazione di una delle più alte testimonianze del Rinascimento: ad Arezzo solo un euro ogni 20 “guadagnati” dagli affreschi di Piero della Francesca nella Basilica di San Francesco va alle casse pubbliche. Il resto rimane ad un’associazione d’imprese composta da Mosaico, Munus e da una cooperativa locale. Munus è una società di Alberto Zamorani, l’ex manager statale coinvolto nel ’92 in Mani Pulite ed è detenuta al 100 per cento dalla stessa Mosaico, i cui proprietari risultano Giulia e Giovanni Zamorani.

CHI TIENE I CONTI?
A chiedere spiegazioni su questo rebus di spettanze e contributi, si ottiene sempre la stessa risposta: «È quello che prevede il contratto». Il riferimento è però magari a rapporti ingessati da un decennio. Quando si è trattato di prorogare lo status quo, poi, lo Stato si è dimostrato spesso disponibile ad andare incontro ai privati. Raro il contrario.

Nel 2003, all’atto di rinnovare il contratto firmato quattro anni prima, i gestori della biglietteria della Reggia di Caserta chiesero aiuto alla soprintendenza: i visitatori calavano e non erano più sostenibili le condizioni pattuite. La percentuale riconosciuta all’azienda fu così più che raddoppiata e portata dall’11 al 25 per cento. Nel 2009, a causa dell’emergenza rifiuti, anche gli altri concessionari ottennero uno “sconto” che tuttora consente loro di versare il 15 anziché il 25 per per cento degli incassi. Il principio non pare essere reversibile: nelle ultime stagioni i proventi sono tornati a salire (quasi due milioni di euro al botteghino dal 2010 in poi) ma la ripartizione non è stata ritoccata. «È vero, bisognerebbe rivedere le percentuali ma in attesa della riforma siamo tutti nel limbo», ammette il soprintendente Fabrizio Vona.

LA SCOMMESSA DEI PICCOLI
Nelle realtà marginali, dove non ci sono appetiti da soddisfare, capita che i grandi nomi non nutrano alcun interesse alla partita. Così ci si arrangia come si può. Con risultati magrissimi, come nel caso dell’archeologico La Civitella, a Chieti, un museo di nuova generazione con tanto di laboratorio e auditorium per conferenze. Quando fu inaugurato, una quindicina d’anni fa, richiamò 20 mila visitatori. Poi è scivolato ai 6 mila attuali (di cui un migliaio appena paganti). Non c’è da stupirsi, dunque, se nel 2013 l’accordo con la libreria cittadina per il bookshop ha fruttato appena 30 euro e 9 centesimi.

Viste le cifre così modeste, più che far cassa l’obiettivo può diventare allora solo quello della legge Ronchey che nel 1993 ha istituito i servizi aggiuntivi: ampliare la fruizione del patrimonio culturale. È il progetto del Molise, dove il direttore regionale Gino Famiglietti ha affidato la gestione di scavi e musei a una cooperativa di laureati under 40: la Memo cantieri culturali, formata da archeologi e storici dell’arte, che paga un canone agevolato di 3400 euro all’anno, un quinto dell’ultimo incasso realizzato. «La scommessa non è fare più soldi, perché è impensabile riuscirci coi luoghi minori», spiega Famiglietti, «ma aumentare i visitatori creando un indotto per un turismo che non sia mordi e fuggi. E dare la possibilità di svolgere questo lavoro a chi ha studiato per farlo ma raramente ci riesce».

Aggiornamento del 12 gennaio 2015 ore 16,18Pubbliche e private virtù ai Musei statali di Arezzo


I musei italiani sono un affare solo per i privati

ELECTA GRUPPO MONDADORI - PRC CODESS - CIVITA - ZATEMA.


ultura. Un capitolo importante dell’apparato statale, soprattutto quando si constata quanto poco il nostro paese investa in questo settore ( l’1,1% del PIL ).
Vista quindi la morìa di risorse, l’intero comparto soffre inevitabilmente di una crisi che non sembra avere fine. 
culturaTra le vittime, giusto per citare due settori, ci sono i musei e le aree archeologiche.
LA LEGGE RONCHEY. Il 14 gennaio 1993, forse per mettere un freno a questa situazione, si pensò di varare la cosiddetta Legge Ronchey fortemente voluta dalministro della Cultura a cui deve il nome.
Il provvedimento introduceva una misura importante: per la prima volta si apriva ilmercato dei servizi aggiuntivi dei musei e delle aree archeologiche pubbliche (quindi statali) ai privati, dando loro la possibilità di gestirli e di sviluppare imprenditorialità.
La legge non si limita poi solo all’ingresso dei privati nella gestione perché inserisce anche l’opportunità, per lo Stato, di costituire società pubbliche cui affidare la gestione dei servizi, con la stessa efficienza dei privati, e la programmazione negoziata per gli interventi congiunti tra pubblico e privato. 
In poco tempo si è sviluppato quindi, invece di una liberalizzazione del settore, una sorta di monopolio, mascherato da oligopolio, condito da conflitti d’interesse.
Lo scenario, ad oggi, è dominato da pochi grandi soggetti che singolarmente o attraverso associazioni temporanee d’impresa, si dividono la torta dei Beni Culturali dello Stato. Tra i tanti nomi, troviamo: Electa (gruppo Mondadori), PRC Codess, Civita e Zètema.
LA RELAZIONE DELLA CORTE DEI CONTI. L’attenzione sull’operato di queste e di altre aziende con gli stessi interessi, come ci si poteva aspettare, comincia quasi subito a farsi sentire.
Nel 2005, la relazione della Corte dei Conti “Indagine sulla gestione sui servizi d’assistenza culturale e d’ospitalità per il pubblico negli istituti e luoghi di cultura dello Stato” mette in evidenza una grave deriva monopolistica che l’operato di Civita e degli altri soggetti cominciano a imprimere al mondo della cultura: «Da una recente indagine commissionata dal Ministero per i beni culturali, risulterebbe che solo otto società concessionarie gestiscono oltre il 90 per cento dei servizi nei musei, delle quali una soltanto è presente in ben 24 musei, con ricavi che si avvicinano al 24 per cento degli introiti totali».
Nel Libro Bianco “La valorizzazione della cultura fra Stato e mercato”, redatto da Confindustria con la collaborazione di Confculturanel febbraio 2008, si parla di concentrazioni ancora più gravi, una volta prese in esame le 130 concessioni nazionali. Di queste «le concessioni ad associazioni temporanee di imprese (ATI) risultano essere 108, mentre quelle a raggruppamenti (RTI) sono appena 2 e le restanti 20 concessioni sono individuali. Concentrando l’attenzione solo sulle ATI, 39 (pari al 30%) fanno riferimento ad un unico gruppo imprenditoriale […] e non sono rari anche fenomeni di incrocio tra partecipazioni societarie delle imprese concorrenti e tra membri dei consigli di amministrazione e tra manager delle diverse imprese». 
Oggi, a titolo esemplificativo, vi raccontiamo la storia di due delle quattro aziende che vi citavamo poc’anzi: Zètema e Civita.timthumb
ZÈTEMA. Zètema è una società partecipata oggi al 100% da Roma Capitale ed opera da anni proprio in ambito culturale. Leggiamo dal loro sito internet: «una mission votata ad ottenere una fruizione ottimale del patrimonio storico artistico della Città ed un business incentrato sulla gestione di attività e servizi culturali e turistici, oltre che sull’organizzazione di eventi.
L’attività di progettazione, manutenzione e conservazione, e catalogazione per conto della Sovraintendenza Comunale, la gestione della Rete dei Musei Civici, nonché di diversi spazi cittadini dedicati allo spettacolo, alla cultura ed all’accoglienza turistica, sono oggi affidati alle nostre competenze di Società che opera in questo settore già dal 1998».
L’azienda però non è sempre stata pubblica. Nel 1998 infatti, l’anno della creazione, ifondatori erano tre soggetti privati: Acea, Costa Edutainment e Civita. Su quest’ultimo ente torneremo più avanti perché entrerà prepotentemente nella nostra storia.
Giovanna Vitale, dalle colonne dell’edizione online di Repubblica, definisce Zètema “per potere e capacità di spesa”, come “il tredicesimo assessorato di Roma”.
Sul sito dell’azienda c’è una pratica mappa che evidenzia la gestione di numerosi musei, siti archeologici e monumenti, case e luoghi della cultura, centri culturali delle periferie, ludoteche, case dei teatri e della drammaturgia. 
Presidente e Amministratore delegato di Zètema è Albino Ruberti, figlio dell’ex ministro socialista Antonio.
Ruberti è anche Segretario generale e Amministratore delegato di Civita Culture.
CIVITA. Nasce nel 1987 grazie al banchiere Gianfranco Imperatori. Il compito che si dà sin dalla sua costituzione è quella divalorizzare la cultura attraverso nuovi modelli di sviluppo
Con il tempo Civita amplia però il suo campo di azione e comincia a mirare alla gestione dei servizi culturali. Nel 1997 parte dalla gestione dei poli museali con la Centrale Montemartini, a Roma.
Nel 1998 c’è la tappa importante della fondazione di Zètema e nel ’99 quella di Civita Servizi, costola di Civita che si occupa proprio della gestione di servizi culturali e che in seguito cambierà nome in Civita Cultura. 
Nel 2000 Civita taglia un nuovo traguardo con l’ingresso nella gestione dei servizi dei Musei Capitolini.
Sergio Rizzo è tra i primi che nel 2003, dalle pagine de Il Corriere della Sera, alza i riflettori sul potere che l’associazione comincia ad avere: «A qualcuno, fra gli invitati alle frequenti presentazioni di libri che si tengono nella grande sala che su quel terrazzo si affaccia, è capitato talvolta di domandarsi: «Ma chi paga?». Per poi immediatamente rimuovere dalla mente quel pensiero, dopo aver letto la sterminatalista dei soci. Comincia dall’Abb, la multinazionale svizzero-foto_n_1_foto_di_fulvio_fugallitedesca dell’energia, e finisce con Wind, la compagnia telefonica dell’Enel. In mezzo ci sono tutti: Alitalia,Generali, Rai, Mediaset, Philip Morris, Aeroporti di Roma, Capitalia, Bulgari,Poste italiane, Ferrovie dello Stato, Fincantieri, Ibm, Lottomatica, Mediolanum,Telecom Italia. Non mancano alcune fra le principali Fondazioni bancarie. Né qualche editore. Ma nemmeno le Università. Né enti pubblici, come l’Enea o il Consiglio nazionale delle ricerche. In tutto sono la bellezza di 113».
Il 2005 è l’anno delle prime importanti acquisizioni societarie. La prima della lista èIngegneria della cultura, società che si occupa dei servizi nei musei del TrivenetoIl 13 dicembre 2007 c’è lo “sbarco” in Sicilia, con l’apertura di Civita Sicilia s.r.l. , progetto voluto da Civita, dalla Fondazione Banco di Sicilia e dal Banco di Sicilia – Gruppo Unicredit per gestire i Beni culturali anche nella regione amministrata oggi da Rosario Crocetta.
Passa un anno e Civita Servizi mette un piede in musei come la Galleria Borghese di Roma e la Galleria Nazionale di Urbino, grazie all’acquisizione di una quota azionaria nella società Gebart.
Ingegneria per la Cultura nel frattempo cambia nome in “Civita tre Venezie”.
Tempo 12 mesi e Civita raccoglie il capitale di maggioranza di Opera Laboratori Fiorentini, società che gestisce, tra gli altri, laGalleria degli Uffizi.
Poco tempo dopo si rinnovano, in seguito al decesso del fondatore Gianfranco Imperatori, i vertici di Civita. Alla presidenza viene designato Gianni Letta, braccio destro di Berlusconi e più volte sottosegretario alla Presidenza del ConsiglioPer il ruolo di Segretario Generale viene scelto Albino Ruberti, amministratore delegato di Zètema sin dalla sua fondazione e di Civita Cultura srl (ex Civita Servizi) dal 2006.
Come presidente di Civita Cultura, la scelta ricade su Luigi Abete, Presidente della Bnl e di Cinecittà Studios.
IL CONFLITTO D’INTERESSI. Uno dei problemi che si possono in alcuni casi incontrare quando la gestione di risorse è così imponente, è il classico conflitto d’interesse, che questa volta investe l’uomo chiave di Civita (ente privato) e Zètema (100% Roma Capitale, quindi pubblica): Albino Ruberti.
Ruberti in Civita ricopre, come dicevamo, l’incarico di Segretario Generale. Secondo lo statuto dell’associazione, articolo 10, il Segretario: “è incaricato della gestione e della amministrazione dell’Associazione nei limiti dell’ordinaria IMG20101004123615894_900_700amministrazione, con un limite di spesa determinato dal Consiglio di Amministrazione […] è incaricato della custodia dei fondi e del patrimonio dell’Associazione e sovrintende la gestione finanziaria”. Di fatto, quindi, è colui che tiene “i cordoni della borsa”. 
In Zètema, invece, Ruberti è stato promosso recentemente alla carica di Presidente, mantenendo quella di Amministratore delegato. 
Veniamo al caso in questione. Civita mette a disposizione dei cittadini una carta, la Carta Civita, dal costo di 11 euro, per pagare con un prezzo ridotto l’ingresso, in 12 regioni italiane, di musei, siti archeologici e teatri che aderiscono o per usufruire di altri tipi di scontri e promozioni.
Nulla da eccepire, se non fosse che, sul territorio romano, ben 18 su 27 dei musei e siti convenzionati (uno, il Museo della Civiltà del Lavoro, lo hanno chiuso recentemente) sono gestiti proprio da Zètema, società – oggi pubblica – amministrata sempre da Ruberti.
Intendiamoci, ovviamente non c’è nulla di penalmente rilevante in quello che abbiamo raccontato o comunque non sta a noi dirlo. Non è riscontrabile neanche un’incompatibilità di cariche, come dichiarato dallo stesso interessato con una lettera inviata alla Direzione Generale del Campidoglio il 25 luglio 2013.
Cosa rimane allora? Una questione di inopportunità? Attendiamo lumi.

CIVITA - GIANNI LETTA


Gianni Letta (Foto Ansa)Gianni Letta (Foto Ansa)
ROMA - Gianni Letta è il nuovo presidente di Civita, l'associazione che si occupa della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale operando sul territorio. L'ex sottosegretario succede ad Antonio Maccanico. A darne notizia è stato lo stesso Letta aprendo l'assemblea dei soci di venerdì mattina, che si è svolta alla presenza del sindaco di Roma, Ignazio Marino, e del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
Nicola MaccanicoNicola Maccanico
MACCANICO VICEPRESIDENTE - «Maccanico - ha detto Letta - è stato un servitore dello Stato e ha guidato questa associazione nel migliore dei modi. Ha organizzato mille iniziative». Nicola Maccanico (già direttore generale della Warner Bros Italia) è stato eletto nuovo vicepresidente.
COSA E' CIVITA - «Il nome Civita trae origine dalla parola latina "civitas" che indica la città intesa come luogo di appartenenza e convivenza civile» si legge sul sito di Civita«Un'idea significativa che da sempre ispira Civita, nata nel 1987 per far fronte al degrado di Civita di Bagnoregio, antico borgo dell'Alto Lazio». L'associazione, che negli anni ha ampliato l'area del proprio operato, intervenendo sul tutto il territorio nazionale, è oggi divisa in due realtà: l’Associazione Civita e Civita Cultura (già Civita Servizi).
La Domus di Palazzo ValenitniLa Domus di Palazzo Valenitni
MOSTRE E VISITE GUIDATE - Tra le iniziative di Civita a Roma e nel Lazio al momento ci sono: le visite guidate a Castel Sant'Angelo(tutti i giorni dalle 20.30 all’una di notte), la visita guidata nella villa romana sottostante Palazzo Valentini, la mostra sui fumetti di Bonelli a Palazzo Incontro. Inoltre Civita promuove il percorso della via Francigena (da Roma a Brindisi) in collaborazione con il Touring, la Rai e le Regioni.
L'INVESTIMENTO IN CULTURA - L’impegno che Civita vuole perseguire, a fianco delle Istituzioni e delle oltre 160 imprese associate, è «l'investimento in cultura, come opportunità per la crescita non solo civile ma anche economica del nostro Paese». Tra le proposte ci sono l'innovazione del sistema delle concessioni, l'aumento della competitività che prevede anche nuove ipotesi di gestione integrata tra Amministrazione pubblica e operatori privati. Una proposta di Civita riguarda anche la revisione delle tariffe dei biglietti con aumento di 1 euro per gli istituti statali, mentre uno sgravio introducendo facilitazioni in favore di particolari categorie di utenza selezionate su base sociale (disoccupati, redditi bassi, ecc.) o territoriale (residenti), secondo un approccio inclusivo capace di stimolare anche la fruizione da parte di nuovi segmenti di pubblico.
 (modifica il 6 luglio 2013)
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martedì 22 settembre 2015

IGNAZIO MARINO...TORNO SUBITO...

Franco Bechis per “Libero Quotidiano”

Non c' è solo il vizio americano che sembra essergli venuto da questa estate. Ignazio Marino scappa dai suoi compiti istituzionali da più di un anno, e non solo per volare Oltreoceano nei momenti più difficili. Fra il 12 settembre 2014 e l' 11 settembre 2015 il governo della città di Roma si è riunito in tutto 67 volte, più di una convocazione di giunta alla settimana.

Nel 55,22% dei casi però il capo di quel governo, il sindaco Marino, era assente e non ha partecipato alla riunione. Il sindaco ha presieduto la giunta in 30 casi, in altri 36 lo ha fatto il vicesindaco di turno, che per alcuni mesi è stato Luigi Nieri di Sel - poi dimessosi per l' inchiesta su Mafia Capitale - e da qualche mese è Marco Causi, l'uomo che il Pd ha mandato a commissariare Marino.

IGNAZIO MARINO PRIMA DELLA TINTAIGNAZIO MARINO PRIMA DELLA TINTA
In un caso- il 20 febbraio scorso - i lavori di giunta sono stati aperti dal vicesindaco Nieri, l' ordine del giorno è stato via via approvato e solo alla fine è giunto trafelato Marino, che era già praticamente mancato a tutte o quasi le riunioni di giunta di gennaio, allungandosi evidentemente il generoso periodo di ferie che già si era presa la giunta che dovrebbe governare la capitale.
 
Per fare un parallelo che rende l' idea, è come se da quando è arrivato a palazzo Chigi Matteo Renzi avesse disertato più della metà dei consigli dei ministri, lasciando decidere ad altri colleghi in sua assenza il decreto sugli 80 euro, la riforma del job act, il varo del testo originario dell' Italicum, la riforma della pubblica amministrazione e così via.
 
MARINOMARINO
Marino si è comportato proprio così: nei verbali di giunta il suo nome è citato sempre come sindaco della città (anche se esercitata così a singhiozzo, sarebbe la carica a cui è stato eletto sia pure da meno di un terzo di cittadini romani), ma quando poi si va a leggere l' elenco dei partecipanti reali alla riunione di giunta, una volta su due il nome del sindaco non c' è. Non partecipa, e non si sa se sia assente giustificato perché preso da altri impegni istituzionali, se sia in lunga vacanza o se semplicemente abbia deciso di bigiare la noiosa incombenza come fanno i ragazzini a cui va di traverso la scuola.

marino bill de blasioMARINO BILL DE BLASIO
Certo le assenza coincidono soprattutto con i periodi "feriali". Marino quasi sempre è mancato alle riunioni di giunta intorno all' ultima Pasqua, ha bigiato parecchie volte nei mesi di luglio e agosto, lo ha fatto a cavallo dei mesi di dicembre 2014 e gennaio 2015. È possibile che le ferie abbiano tenuto lontano il sindaco della capitale dai suoi doveri istituzionali (ma le riunioni di giunta hanno comunque una sospensione nei periodi di vacanza). Altre volte semplicemente il sindaco ha bigiato. E lo ha fatto anche quando all' ordine del giorno c' erano da approvare dossier tutt' altro che banali e prendere decisioni essenziali per la vita della città.
 
MARINO GABRIELLIMARINO GABRIELLI
Il sindaco di Roma non c' era quando per la prima volta la giunta ha approvato il piano di investimenti del Giubileo (6 agosto scorso). Ora il sindaco vorrebbe vedere il Papa che ha tutti i giorni vicino a casa in quel di Filadelfia. Ma quando si è trattato di controllare gli stanziamenti e gli appalti del prossimo giubileo, Marino ha disertato. Non c' era il 27 agosto quando si è esaminato il provvedimento sull' impatto giubilare su traffico e inquinamento di Roma, non c' era lo scorso 11 settembre quando bisognava approvare i lavori giubilari sulle aree verdi della capitale.
 
ignazio marino viaggiIGNAZIO MARINO VIAGGI
Si vede che l' anno Santo non va tanto a genio al sindaco. Che ha una vera e propria repulsione anche per i provvedimenti anti-corruzione. Sì, certo, Marino ha concesso decine di interviste, comparsate tv e dichiarazioni sul gran lavoro che lui starebbe facendo per combattere Mafia Capitale e il malaffare che albergava sul comune di Roma. Lui parla, ma quando c' è davvero da prendere una decisione, il sindaco diserta regolarmente la giunta.

Non c' era il 15 dicembre scorso quando all' indomani dell' esplosione della clamorosa inchiesta romana la giunta ha dovuto approvare il proprio piano triennale anti-corruzione, con le norme sulla trasparenza e integrità. Marino le conoscerà a memoria, ma non le ha votate, lasciando il compito come sempre al vicesindaco. Il piano poi è stato rafforzato sensibilmente, con nuovi elementi, ed è tornato in giunta capitolina per le correzioni il 25 maggio scorso.

Ma anche in questa occasione Marino ha bigiato i lavori, non votando e lasciando solo il vicesindaco con qualche assessore. Nemmeno un mese dopo - il 18 giugno - in giunta è arrivato il protocollo di intesa fra comune di Roma e Autorità anti-corruzione guidata da Raffaele Cantone. Marino non si è presentato in giunta, e il protocollo è stato messo ai voti dal vicesindaco.
 
IGNAZIO MARINO SUB ALLE BAHAMASIGNAZIO MARINO SUB ALLE BAHAMAS
Il sindaco non c' era quando si è approvato il piano sul decoro cittadino, quando si è trattato di dare indicazioni per le assemblee di molte partecipate, quando si è definito il modello educativo e scolastico della città di Roma, quando si sono approvate alcune delle delibere più delicate sulla emergenza abitativa. Altre volte invece non si è tirato indietro. Come il 30 gennaio, quando la giunta ha approvato la convenzione per una nuova apertura in piazza della Repubblica di uno store del gruppo Eataly di Oscar Farinetti. Certe volte non si può proprio mancare...
 
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