“Aridatece Cossutta”. Dalle scarpe fatte a mano di D’Alema al giubotto di Renzi: TROPPO FINTA PER ESSERE SINISTRA
“Aridateci Cossutta”. So che è un paradosso duro da digerire, ma quasi quasi ci manca quel bambino che abbiamo buttato via insieme all’acqua sporca del comunismo nel 2008: il bambino della sinistra radicale che dava un orizzonte alla rabbia sociale e una razionalità alle mille paure che sono oggi il potente carburante della destra. Finisce infatti, sfinita nel paradosso degli operai berlingueriani che domenica scorsa a Genova hanno votato Lega, l’epoca della sinistra che ha provato a liberarsi e a liberarci dall’ideologia, prima calzando scarpe fatte a mano e poi insalsicciandosi in giubbotti di pelle. Mai riuscendo però a diventare davvero moderna restando sinistra.
Proprio mentre l’Inghilterra riscopre la moralità sobria della sinistra pulita e dimessa e premia la trasandatezza autentica ma colta di Jeremy Corbyn che ha prosciugato il populismo britannico restituendo alla plebe il diritto di sentirsi popolo, muore nei vicoli e nei quartieri operai del Nord Italia, ammalati di destra, la sinistra “distinta” degli ex funzionari pervestiti da gran signori e dei ragazzi di improvvisato e bignamizzato sapere, fasciati però nei calzoni “slim fit” e “camisadi” di bianco, sempre più per benino e a modino. Un tempo il colletto era il ‘ button down’ del ‘tu vo fa l’americano’, quello di Veltroni clintoniano della terza via e dell’ulivo mondiale, e più recentemente è stato il colletto aperto dei giovani spavaldi, sfrontati e irriverenti che hanno surrogato con il twitter l’ inquietudine e la rapidità e l’efficienza dello studio, che era sempre stato patrimonio della sinistra, del militante con la casa foderata di libri. “Non sono laureato, ma amo la letteratura, la poesia e i libri” ha gridato il vecchio Corbyn ai ragazzi inglesi che ormai gli si stringono attorno come fosse Mick Jagger con la differenza che tutti fingono di non vedere i mille artifizi giovanilistici del cantante mentre di Corbyn invece applaudono proprio l’età raggiunta senza mai diventare un ex. E di nuovo vale il paragone tra le nostre metafore calcistiche, i giaguari da smacchiare, le battutine stizzose, e i corbyniani versi di Percy Bysshe Shelley (La maschera dell’anarchia”) al festival di Glastonbury : “Levatevi come leoni dopo il sonno, in numero invincibile! Fate cadere le vostre catene a terra come rugiada che nel sonno sia scesa su di voi: voi siete molti – essi sono pochi!”
Nella comunali di domenica, una lunga storia di sconfitte e di sconfitti – tutti sconfitti, specie quelli che ora rabbiosamente si disputano i resti – ha avuto il suo suggello finale, il bollo del decesso, il punto di non ritorno e pur senza avere mai ottenuto i trionfi lampeggianti dei Gherard Schroeder e degli Joschka Fischer, dei Tony Blair, dei Clinton e degli Obama.
Succede infatti che avvenimenti minori rivelino le verità più crudeli. Ebbene, nella capitale del mare, città del grande Meridione italiano, la città del pesce stocco alla messinese, dello scirocco e della vita lenta (macaia e maniman), dell’ Appennino che corre sino ai Nebrodi e dei marinai imperiali, in questo luogo-simbolo che ha accorciato le distanze tra Nord e Sud non c’è stato un normale, fisiologico ricambio amministrativo. E’ stata invece battuta – e dall’astensione che è grugno, stizza e rabbia molto più che dal centrodestra dell’inadeguato Toti – la sinistra delle barche a vela e dei consumi status symbol, della Smart e dell’aereo di Stato, dei fotografi personali, dal ritrattista di D’Alema (1997) a quello di Renzi (2016), la sinistra che in alto flirta con la finanza e in basso spaccia l’estetica del degrado per poesia e per “umanità”, la sinistra che doveva liberarci dai sentimenti e dalle emozioni sempre perdenti, dal camisaccio generoso dell’archeologia marxista, dalla bandiera prigione dalla quale tentiamo di evadere sin dai tempi dell’Eurocomunismo (1976) di Berlinguer, Marchais e Carrillo, quarant’anni di mal di testa appunto per spretarci dall’universo concentrazionario della fabbrica, dal mito della classe operaia, dalle pulsioni comunitaristiche: le sezioni, i compagni, il dopolavoro, i circoli e le sagre .
E siamo naufragati, invece, nel micro deposito di Paperone, negli invincibili rancori personali da borghesi piccoli piccoli, ai quali si è aggiunto ieri un eterno ritorno di Romano Prodi che, invitato da Renzi a stare lontano, si è arrabbiato, ma con la metafora coloniale della tenda e del beduino, quasi ci fosse davvero uno scontro “culturale” tra vecchio e nuovo, come se Renzi fosse ancora il simpatico giovanotto che sfacciatamente voleva impadronirsi del mondo e quell’altro il capo perdente ma scorbutico che si allontana malinconico come l’Humphrey Bogart di Casablanca :”sposterò la tenda più lontano senza difficoltà. Intanto l’ho messa nello zaino”. E sembra di rivivere l’ardente scontro(sempre negato) tra Massimo e Romano, quando era comunque meglio avere torto con Prodi che ragione con D’Alema.
Sono decenni che la sinistra cerca la modernità di Schumpeter contro il denaro mammona di Lenin , e siamo finiti invece nella devozione all’ usura delle banche che sono le sole imprese che in Italia non falliscono mai. Ed è stata sconfitta nelle amministrative la sinistra che doveva liberare la scuola dalla burocrazia, dalle cartacce e dagli istogrammi e l’ha consegnata ai presidi sceriffi, negando ai professori, che della sinistra italiana sono ancora il popolo, una vera rivalutazione dello stipendio più basso d’Europa. Eppure era di sinistra pensare che non esistesse un altro modo di iniziare una riforma della scuola se non restituendo agli insegnanti l’antico decoro, se non sottraendoli alla condizione di nuovo proletariato, a un destino di sradicati, cultori di malessere, massa di manovra per ogni genere di demagogia. E si potrebbe a lungo continuare con tutte le sconfitte della sinistra vestita di destra.
E’ vero che la parola comunismo è ormai solo antiquariato e divertimento intellettuale per vecchi professori, ma l’affezione leghista dei ceti deboli e dei poveri, il populismo e il vaffa, l’angosciante vittoria nelle città rosse e nei quartieri operai di un centrodestra spennato fa venire voglia di allestire quel teatrino di “Good Bye, Lenin!” e far finta , come i laburisti in Inghilterra, che ci sia ancora un’utopia da fantasticare. E, come scrisse il regista di quel film cult, riportare in scena il paradiso “che nella realtà non era mai esistito”.
Proprio mentre l’Inghilterra riscopre la moralità sobria della sinistra pulita e dimessa e premia la trasandatezza autentica ma colta di Jeremy Corbyn che ha prosciugato il populismo britannico restituendo alla plebe il diritto di sentirsi popolo, muore nei vicoli e nei quartieri operai del Nord Italia, ammalati di destra, la sinistra “distinta” degli ex funzionari pervestiti da gran signori e dei ragazzi di improvvisato e bignamizzato sapere, fasciati però nei calzoni “slim fit” e “camisadi” di bianco, sempre più per benino e a modino. Un tempo il colletto era il ‘ button down’ del ‘tu vo fa l’americano’, quello di Veltroni clintoniano della terza via e dell’ulivo mondiale, e più recentemente è stato il colletto aperto dei giovani spavaldi, sfrontati e irriverenti che hanno surrogato con il twitter l’ inquietudine e la rapidità e l’efficienza dello studio, che era sempre stato patrimonio della sinistra, del militante con la casa foderata di libri. “Non sono laureato, ma amo la letteratura, la poesia e i libri” ha gridato il vecchio Corbyn ai ragazzi inglesi che ormai gli si stringono attorno come fosse Mick Jagger con la differenza che tutti fingono di non vedere i mille artifizi giovanilistici del cantante mentre di Corbyn invece applaudono proprio l’età raggiunta senza mai diventare un ex. E di nuovo vale il paragone tra le nostre metafore calcistiche, i giaguari da smacchiare, le battutine stizzose, e i corbyniani versi di Percy Bysshe Shelley (La maschera dell’anarchia”) al festival di Glastonbury : “Levatevi come leoni dopo il sonno, in numero invincibile! Fate cadere le vostre catene a terra come rugiada che nel sonno sia scesa su di voi: voi siete molti – essi sono pochi!”
Nella comunali di domenica, una lunga storia di sconfitte e di sconfitti – tutti sconfitti, specie quelli che ora rabbiosamente si disputano i resti – ha avuto il suo suggello finale, il bollo del decesso, il punto di non ritorno e pur senza avere mai ottenuto i trionfi lampeggianti dei Gherard Schroeder e degli Joschka Fischer, dei Tony Blair, dei Clinton e degli Obama.
Succede infatti che avvenimenti minori rivelino le verità più crudeli. Ebbene, nella capitale del mare, città del grande Meridione italiano, la città del pesce stocco alla messinese, dello scirocco e della vita lenta (macaia e maniman), dell’ Appennino che corre sino ai Nebrodi e dei marinai imperiali, in questo luogo-simbolo che ha accorciato le distanze tra Nord e Sud non c’è stato un normale, fisiologico ricambio amministrativo. E’ stata invece battuta – e dall’astensione che è grugno, stizza e rabbia molto più che dal centrodestra dell’inadeguato Toti – la sinistra delle barche a vela e dei consumi status symbol, della Smart e dell’aereo di Stato, dei fotografi personali, dal ritrattista di D’Alema (1997) a quello di Renzi (2016), la sinistra che in alto flirta con la finanza e in basso spaccia l’estetica del degrado per poesia e per “umanità”, la sinistra che doveva liberarci dai sentimenti e dalle emozioni sempre perdenti, dal camisaccio generoso dell’archeologia marxista, dalla bandiera prigione dalla quale tentiamo di evadere sin dai tempi dell’Eurocomunismo (1976) di Berlinguer, Marchais e Carrillo, quarant’anni di mal di testa appunto per spretarci dall’universo concentrazionario della fabbrica, dal mito della classe operaia, dalle pulsioni comunitaristiche: le sezioni, i compagni, il dopolavoro, i circoli e le sagre .
E siamo naufragati, invece, nel micro deposito di Paperone, negli invincibili rancori personali da borghesi piccoli piccoli, ai quali si è aggiunto ieri un eterno ritorno di Romano Prodi che, invitato da Renzi a stare lontano, si è arrabbiato, ma con la metafora coloniale della tenda e del beduino, quasi ci fosse davvero uno scontro “culturale” tra vecchio e nuovo, come se Renzi fosse ancora il simpatico giovanotto che sfacciatamente voleva impadronirsi del mondo e quell’altro il capo perdente ma scorbutico che si allontana malinconico come l’Humphrey Bogart di Casablanca :”sposterò la tenda più lontano senza difficoltà. Intanto l’ho messa nello zaino”. E sembra di rivivere l’ardente scontro(sempre negato) tra Massimo e Romano, quando era comunque meglio avere torto con Prodi che ragione con D’Alema.
Sono decenni che la sinistra cerca la modernità di Schumpeter contro il denaro mammona di Lenin , e siamo finiti invece nella devozione all’ usura delle banche che sono le sole imprese che in Italia non falliscono mai. Ed è stata sconfitta nelle amministrative la sinistra che doveva liberare la scuola dalla burocrazia, dalle cartacce e dagli istogrammi e l’ha consegnata ai presidi sceriffi, negando ai professori, che della sinistra italiana sono ancora il popolo, una vera rivalutazione dello stipendio più basso d’Europa. Eppure era di sinistra pensare che non esistesse un altro modo di iniziare una riforma della scuola se non restituendo agli insegnanti l’antico decoro, se non sottraendoli alla condizione di nuovo proletariato, a un destino di sradicati, cultori di malessere, massa di manovra per ogni genere di demagogia. E si potrebbe a lungo continuare con tutte le sconfitte della sinistra vestita di destra.
E’ vero che la parola comunismo è ormai solo antiquariato e divertimento intellettuale per vecchi professori, ma l’affezione leghista dei ceti deboli e dei poveri, il populismo e il vaffa, l’angosciante vittoria nelle città rosse e nei quartieri operai di un centrodestra spennato fa venire voglia di allestire quel teatrino di “Good Bye, Lenin!” e far finta , come i laburisti in Inghilterra, che ci sia ancora un’utopia da fantasticare. E, come scrisse il regista di quel film cult, riportare in scena il paradiso “che nella realtà non era mai esistito”.